Il diritto alla deduzione della perdita su crediti è subordinato alla verifica di una eventuale inattività del creditore. L’assenza dell’avvio di procedure idonee alla riscossione del credito, benché prescritto, impedirebbe infatti la deducibilità fiscale della posta contabile.
E’ questa la rigida soluzione interpretativa adottata dall’Agenzia delle entrate, in una recente risposta ad interpello.
Prescrizione di crediti
La prescrizione dei crediti verso clienti è disciplinata dal Legislatore civilistico dall’art 2946 c.c. secondo il cui disposto «ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge».
Come osservato poi dal successivo art. 2943 c.c. «la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio […] dalla domanda proposta nel corso di un giudizio […] e da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore».
Il codice Civile sancisce il termine prescrizionale ordinario di dieci anni (che si riduce a 5 anni per la somministrazione di beni e servizi da cui scaturiscano pagamenti periodici ex art 2946 c.c.).
Alla prescrizione di ogni azione finalizzata a soddisfare il credito, quindi, consegue la perdita di qualsiasi diritto giuridico, economico e patrimoniale sullo stesso.
L’effetto della prescrizione del diritto di esecuzione del credito iscritto in bilancio determina dunque la cristallizzazione della perdita emersa, rendendola definitiva ([1]).
Deducibilità dei crediti prescritti: normativa fiscale
In tema di perdite su crediti il comma 5 dell’art. 101, D.P.R. 22.12.1986, n. 917, stabilisce come regola generale che tali perdite sono deducibili se risultano da “elementi certi e precisi”.
Il citato comma 5 stabilisce poi che:
“Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto”.
La Circolare Ministeriale n. 26/E/2013
A tal proposito, la C.M. n 26/E/2013 ha chiarito che,