La rinunzia ai crediti vantata dai soci a favore della società è una procedura attivata di frequente in questi anni di crisi economica come strategia per eseguire aumenti di capitale senza dover versare ulteriore denaro da parte dei soci. Il tema è rilevante, con riferimento alle rinunce avvenute nel corso del periodo di imposta 2018, in vista della presentazione del modello Redditi 2019. Che impatto fiscale hanno tali rinunce?
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La rinuncia dei soci al credito impone particolari attenzioni fiscali in riferimento alla sopravvenienza attiva e all’istituto o teoria dell’incasso giuridico
Secondo l’Amministrazione finanziaria, i crediti rinunciati dai soci vanno portati ad aumento del costo delle relative partecipazioni, determinandosi, così, un arricchimento indiretto per i soci stessi, poiché la rinuncia ai crediti, correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa, presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e, quindi, l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta d’imposta.
In base alla giurisprudenza di legittimità, d’altro canto, la rinuncia al credito, al pari dell’incasso effettivo, è una manifestazione di disponibilità e godimento di ricchezza tale da integrare in testa al socio il presupposto del possesso del reddito: in altre parole, con la rinuncia è come se il credito entrasse istantaneamente a far parte del patrimonio del socio, il quale immediatamente ne disporrebbe, conferendo la somma alla società al fine di patrimonializzarla.
La teoria dell’incasso vuole evitare la asimmetria impositiva derivante dalla deduzione per competenza, da parte della società, del costo relativo all’operazione cui si riferisce il credito oggetto di rinuncia e dal mancato assoggettamento ad imposizione del socio, non avendo lo stesso incassato la relativa somma.
Con la risoluzione n. 124/E/ 2017, l’Agenzia ha affermato che la cosiddetta “tesi dell’incasso giuridico” resta valida anche dopo le modifiche recate dall’art. 13, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 147/2015 alla disciplina della rinuncia ai crediti da parte dei soci, dovendosi considerare come incassato agli effetti fiscali il credito oggetto di rinuncia.
Premessa sulla patrimonializzazione della società
La patrimonializzazione delle società, attraverso apposite rinunce da parte dei soci di crediti verso di esse, è un fenomeno molto diffuso.
La rinuncia da parte dei soci ai crediti vantati nei confronti della società partecipata è una situazione che si verifica con frequenza nelle diverse realtà societarie.
Un’operazione alla quale si ricorre sovente per ricapitalizzare (si veda nota 1) le società partecipate è costituita dalla rinuncia dei soci ai finanziamenti precedentemente effettuati.
La rinuncia dei soci al finanziamento, è un caso che impone,quindi, particolari attenzioni fiscali, in merito alla possibile sopravvenienza attiva Il tema è rilevante, con riferimento alle rinunce avvenute nel corso del periodo di imposta 2018, in vista della presentazione del modello Redditi 2019.
L’abuso del diritto configurava la sopravvenienza attiva imponibile della società prima delle novità introdotte dall’art. 13, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 147/2015?
-> E’ rilevante fiscalmente il comportamento dei soci, rinunzianti al credito, privo di razionale giustificazione economica poiché essi si sono spogliati di un ingente credito senza vantaggio alcuno?
-> Una società può fruire, senza valida giustificazione, della rinunzia dei soci ai crediti vantati nei suoi confronti, eliminando una posta di debito e incrementando il proprio patrimonio netto?
-> L’abuso del diritto supera il generalizzato regime di intassabilità della rinuncia dei soci ai crediti?
-> La remissione del socio al credito può costituire, per la partecipata, una sopravvenienza attiva imponibile (si veda nota 2) prima delle novità introdotte dall’art. 13, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 147/2015 (si veda nota 3)?
Orientamento recente del giudice di legittimità
Il socio che rinuncia a un ingente credito nei confronti della società, senza vantaggi o ragioni effettive, pone in essere un comportamento antieconomico che legittima la pretesa erariale nei confronti della società ,per mancata dichiarazione di sopravvenienze attive, in virtù del generale divieto di abuso del diritto.
La rinuncia di un ingente credito da parte del socio nei confronti della società, senza alcun vantaggio effettivo e in mancanza della dimostrazione dell’esistenza di valide ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino l’operazione, ravvisa un comportamento antieconomico che legittima la pretesa erariale in virtù del generale divieto di abuso del diritto.
Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15321 del 6 giugno 2019 per un periodo di imposta antecedente alle novità introdotte dall’art. 13, co. 1, lett. a), del D.Lgs. 147/2015 (si veda nota 4).
La Vicenda
La controversia è scaturita dal ricorso presentato da una società avverso un avviso di accertamento recante le risultanze di una verifica fiscale con cui i funzionari dell’Agenzia delle entrate avevano contestato, tra l’altro, la mancata dichiarazione di sopravvenienze attive derivanti dalla rinuncia a crediti da parte dei soci.
Secondo il fisco, nel caso di specie, non era applicabile il disposto di cui all’art. 88, comma 4 del TUIR (si veda nota 5), che non considera sopravvenienze attive le rinunce dei soci ai crediti, “sulla base della considerazione che il comportamento dei soci rinunzianti sarebbe privo di razionale giustificazione economica poiché essi si sono spogliati di un ingente credito senza vantaggio alcuno”.
Innanzi al giudice di legittimità la società ricorrente si è opposta alla tesi del fisco, asserendo che la valenza della norma di cui al citato art. 88 ha carattere oggettivo, legato esclusivamente all’esistenza del credito, risultando irrilevanti le ragioni per cui il socio ha rinunciato e se a tale rinunzia corrisponda o meno nei confronti del socio un effetto per lui direttamente favorevole.L’operazione contestata, pertanto, non presenterebbe alcun carattere di elusività, stante l’assenza di un vantaggio fiscale da parte dei soci.
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