Studi di settore, accertamento motivato

L’amministrazione finanziaria deve sempre motivare l’accertamento spiegando le ragioni per cui non ha accolto le giustificazioni proposte dal contribuente. L’obbligo di motivazione ha carattere generale e formale e non può essere limitato alle sole ipotesi in cui il contribuente abbia fornito la prova dei fatti che giustificano lo scostamento dei ricavi dalle risultanze degli studi di settore

Studi di settore, accertamento motivatoL’amministrazione finanziaria deve sempre motivare l’accertamento spiegando le ragioni per cui non ha accolto le giustificazioni proposte dal contribuente.

L’ obbligo di motivazione ha carattere generale e formale e non può essere limitato alle sole ipotesi in cui il contribuente abbia fornito la prova dei fatti che giustificano lo scostamento dei ricavi dalle risultanze degli studi di settore (Cass. n. 29323/2018).

Natura giuridica: studi di settore e nuovi indicatori (ISA)

Gli studi di settore, introdotti dal 1993, sono indici rilevatori di una possibile anomalia della condotta fiscale, derivante dallo scostamento delle dichiarazioni dei redditi del contribuente relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica fissa come il livello “normale” in riferimento all’attività svolta.

I parametri elaborati con gli studi di settore consentono, quindi, di valutare i ricavi o i compensi che possono imputarsi al contribuente attraverso analisi economiche e tecniche statistico-matematiche.

Gli studi di settore comunque saranno sostituiti dal 2019 dai nuovi indicatori sintetici di affidabilità fiscale o di compliance (ISA), introdotti dalla legge n. 193/2016.

Ma almeno per quest’anno si farà ancora ricorso agli studi di settore in quanto un apposito emendamento alla legge di Bilancio per il 2018 (n. 77.115 VI Commissione Finanze Camera – comma 513-bis ) ha rinviato l’applicazione dei nuovi indicatori al 2019.

Il legislatore ha inteso introdurre gli ISA al fine di una valutazione dei compensi e dei ricavi più equa, rappresentando un indice per quei contribuenti che nel corso degli anni si sono rivelati più virtuosi. Pertanto tra l’anno in corso e il 2019 ci sarà una fase transitoria in cui gli ISA subentreranno agli studi di settore fino a sostituirli definitivamente.

In sostanza i nuovo indici costituiscono dei parametri di giudizio che valutano il livello di affidabilità del contribuente (scala da 1 a 10) che consente allo stesso, mediante un sistema premi, di ottenere rimborsi più veloci ed evitare gli accertamenti fiscali.

Essi si applicano ai titolari di imprese e ai titolari di lavoro autonomo, con esclusione, come accadeva in precedenza, per coloro che hanno iniziato o cessato l’attività nel corso del periodo di imposta o con un totale di ricavi o compensi dichiarati superiori a 5.164,569 euro.

L‘Agenzia delle Entrate ha chiarito sul proprio sito che con i nuovi indici si vuole favorire l’assolvimento degli obblighi tributari e incentivare l’emersione spontanea di redditi imponibili per le categorie degli esercenti di attività di impresa, arti o professioni, anche attraverso efficaci forme di assistenza (avvisi e comunicazioni in prossimità di scadenze fiscali) ad aumentare la collaborazione fra contribuenti e Amministrazione finanziaria.

In particolare, gli indici sono indicatori che, misurando attraverso un metodo statistico- economico, dati e informazioni relativi a più periodi d’imposta, forniscono una sintesi di valori tramite la quale sarà possibile verificare la normalità e la coerenza della gestione professionale o aziendale dei contribuenti.

Nell fattispecie in esame la società, esercente attività di ristrutturazione e manutenzione immobiliare, ha impugnato l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004, basato sull’applicazione degli studi di settore.

Le Commissioni tributarie di primo e secondo grado accoglievano il ricorso; in particolare la sentenza di appello motivava che “giusta o errata che possa apparire la giustificazione addotta dalla società ricorrente, non è possibile discuterne nel merito perché essa non è stata considerata nella motivazione dell’accertamento che per ciò è illegittimo”.

La Suprema Corte ha affermato che l’obbligo di motivazione dell’atto di accertamento basato sull’applicazione degli studi di settore, allorché ci sia stato il contraddittorio preventivo, richiede per l’Ufficio finanziario l’obbligo di esporre i motivi per cui sono state disattese le contestazioni sollevate del contribuente.

Tale obbligo ha natura generale e formale, e non vale solo per le ipotesi in cui il contribuente fornisca la prova della esistenza dei fatti che giustificano lo scostamento dei ricavi rispetto alla risultanza degli studi di settore, ovvero che le obiezioni mosse dal contribuente siano “serie” secondo la valutazione dell’ufficio.

I giudici di legittimità non hanno accolto, ritenendola illogica, l’interpretazione limitativa fornita dall’Agenzia delle entrate diretta ad affermare che l’obbligo di motivazione sussiste solo nei casi in cui il contribuente abbia dimostrato di aver dichiarato ricavi inferiori a quelli ricavati dallo studio di settore.

Allo stesso modo è da respingere la tesi diretta a limitare l’obbligo di motivazione dell’ufficio alle sole ipotesi in cui le giustificazioni addotte dal contribuente siano “serie”, così facendo verrebbe introdotto un tasso di arbitrarietà incompatibile con la natura dell’obbligo posto a carico dell’ufficio di esporre le ragioni per cui le giustificazioni rese dal contribuente siano state disattese.

Per quanto sopra i giudici hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate non pronunciandosi in tema di spese di lite per assenza di attività difensiva della società intimata.

Giurisprudenza

Qualora l’amministrazione abbia ottemperato all’obbligo di valutare gli studi di settore al caso concreto, in contraddittorio con il contribuente, ed abbia esaminato le giustificazioni addotte, dandone conto nella motivazione nell’accertamento, nessun altro incombente sussiste a carico dell’ente impositore (Cass. n. 9671/2017).

Il contribuente in sede di contraddittorio deve provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione del professionista/impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo considerato, mentre la motivazione dell’atto non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dello “standard” prescelto e le ragioni per cui sono state disattese le giustificazioni (cfr. Cass. n 11633/2013; contra Cass. n. 17807/2017).

L’onere della prova, in caso di accertamento basato sugli indici di capacità contributiva, per eventuali incongruenze contabili spetta all’amministrazione finanziaria; quest’ultima deve provare le varie incongruenze contabili emerse in sede di accertamento, tenendo conto anche della realtà socio-economica in cui opera l’impresa (CTP Rieti. n. 184/2016).

La procedura di accertamento basata sull’applicazione dei parametri o studi di settore nasce solo in esito al contraddittorio da attivare in modo obbligatorio con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. L’ufficio finanziario deve dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso oggetto dell’accertamento motivando l’atto impositivo, mentre al contribuente fa carico la prova dell’esistenza di condizioni che escludono l’impresa dall’area dei soggetti a cui sono applicabili gli standard.

La motivazione dell’atto non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dello “standard” prescelto e le ragioni per cui sono state disattese le giustificazioni fornite dal contribuente (Cass. n. 8918/2018).

La giurisprudenza di merito ha ritenuto che in tema di accertamento tributario basato sull’applicazione dei parametri o studi di settore, l’agenzia delle entrate deve adeguatamente motivare l’atto impositivo.

La stessa amministrazione deve valutare l’applicabilità degli studi di settore al caso concreto in contraddittorio con il contribuente e deve esaminare le giustificazioni addotte dallo stesso dandone conto nella motivazione dell’avviso di accertamento (CTP Rieti, n. 257/2017).

Davide Di Giacomo

1 dicembre 2018