Buoni pasto elettronici: prassi e parere dell'Agenzia Entrate

Continua il nostro approfondimento sui buoni pasto elettronici.

Nella 1a parte dell’approfondimento abbiamo parlato delle caratteristiche dei buoni pasto e della normativa di riferimento. Se non hai letto la 1a parte puoi trovarla qui. 

 

In questa 2a parte trattiamo dei seguenti: 
  • PRASSI AGENZIA DELLE ENTRATE
  • PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
  • Circolare del 23/12/1997 n. 326 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. III D.Lgs. 2.09.1997, n. 314
  • Risoluzione 03/04/1996 N. 49//E, riguardo ai Servizi di mensa aziendale – IvA
  • Base imponibile
  • Circolare n. 126/Inps del 27.04.1994, avente per oggetto “Regime contributivo per la mensa, il vitto, il trasporto e relativi importi sostitutivi”
  • Circolare n. 15/Inps del 18.01.1994, avente per oggetto “Regime contributivo per la mensa, il vitto, l’alloggio, il trasporto, l’indennità di mensa e di trasporto” 
  • I.N.P.S. Servizio Riscossione Contributi e Vigilanza Reparto IV 27/4/4682 Mesaaggio T.P. n. 08781 del 10.11.88 58

 

 

Buoni pasto elettronici: prassi dell’Agenzia Entrate 

La R.M. 26/E del 09.03.2010, avente per oggetto “Risposte ai quesiti presentati in occasione del Forum lavoro del 17 marzo 2010 in materia di redditi di lavoro dipendente, riguardo ai TICKET RESTAURANT E INDENNITA’ SOSTITUTIVE DELLA MENSA AZIENDALE,

alla seguente Domanda:

D: Ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. c), del Tuir, le prestazioni sostitutive della mensa aziendale (c.d. ticket restaurant) non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro.

Si chiede di sapere se l’importo dei ticket restaurant che supera la soglia di esenzione di 5,29 euro, debba essere computata ai fini del raggiungimento della franchigia di esenzione dei fringe benefits – pari a 258,23 euro – prevista dal comma 3 dell’art. 51 del Tuir;

ha risposto che: L’art. 51, comma 3, ultimo periodo, del Tuir stabilisce che

“Non concorre a formare il reddito (di lavoro dipendente) il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000 (258,23 euro); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.

Tale ultima disposizione si riferisce esclusivamente ai compensi in natura e, in particolare, prevede l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente per i beni e i servizi di valore non superiore ad un determinato ammontare, stabilito in 258,23 euro.

La norma non riguarda, invece, le erogazioni in denaro per le quali resta applicabile il principio generale secondo cui qualunque somma percepita dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituisce reddito di lavoro dipendente ad eccezione delle esclusioni specificamente previste.

Per quanto concerne le prestazioni sostitutive di mensa aziendale erogate sotto forma di ticket restaurant, l’articolo 51, comma 2, del Tuir, stabilisce che le stesse fino a 5,29 euro sono escluse dalla formazione del reddito di lavoro dipendente dei lavoratori assegnatari, verificando tale limite rispetto al loro valore nominale.

L’evidenziazione del valore nominale porta, quindi, a ritenere che i ticket restaurant non costituiscano erogazioni in natura.

L’importo del loro valore nominale che eccede il limite di 5,29 euro non può, pertanto, essere considerato assorbibile dalla franchigia di esenzione prevista dal comma 3 dell’art. 51 e, quindi, concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

 

***

 

La Circolare 6/E del 03.03.2009, avente per oggetto “Ulteriori chiarimenti in merito al corretto trattamento fiscale delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande – Articolo 83, commi 28-bis, ter, quater, e quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, ha affermato, fra l’altro, quanto segue.

PREMESSA

Con circolare 5 settembre 2008, n. 53/E, sono stati forniti i primi chiarimenti in merito alle modifiche normative apportate al regime fiscale delle prestazioni alberghiere e delle somministrazioni di alimenti e bevande, introdotte dall’art. 83, commi da 28-bis a 28- quater, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

In considerazione della rilevanza delle predette modifiche e dei significativi impatti delle stesse sull’operatività delle imprese e dei professionisti, si forniscono con la presente ulteriori precisazioni in relazione a specifici quesiti posti all’attenzione della scrivente.

………

6. Servizio mensa

Domanda. Poiché l’art. 109, comma 5, del Tuir novellato dal D.L. 112/2008 limita al 75% la deducibilità delle sole spese per “somministrazioni” di alimenti e bevande, è legittimo ritenere che restino al di fuori della portata della norma le spese sostenute per la gestione diretta di un servizio di mensa aziendale?

Risposta. Il comma 28-quater, lett. a), dell’art. 83 del D.L. 112/2008, modificando l’art.109, comma 5, del TUIR, relativo alle norme generali sui componenti del reddito di impresa, ha stabilito che le spese per prestazioni alberghiere e per somministrazione di alimenti e bevande, a far data dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008, sono deducibili nella misura del 75% del loro ammontare. La disposizione stabilisce una deroga per le spese sostenute per somministrazioni di alimenti e bevande in occasione delle trasferte dei dipendenti fuori dal territorio comunale.

Si ritiene che l’ipotesi di spese sostenute da una impresa per la gestione diretta di un servizio di mensa aziendale non possa essere ricondotta alla fattispecie interessata dalla nuova disposizione. In questa ipotesi, infatti, le spese sostenute dal datore di lavoro riguardano l’acquisto di beni e servizi ed eventualmente quelle per la manodopera da utilizzare per la preparazione di pasti da somministrare e non l’acquisto di una somministrazione di alimenti e bevande.

 

Parimenti, nell’ipotesi in cui la mensa sia gestita da terzi, il costo relativo non subisce limitazioni alla deducibilità tenuto conto che lo stesso è sostenuto per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande.

 

7. Convenzione con un esercizio pubblico per la fornitura di un servizio di mensa esterna

Domanda. Il limite della deducibilità al 75% per le spese per “somministrazioni” di alimenti e bevande di cui all’art. 109, comma 5, del Tuir opera anche per le spese sostenute dall’impresa che stipuli un’apposita convenzione con un esercizio pubblico (ad esempio, un ristorante o un bar) per la fornitura di un servizio di mensa esterna?

Risposta. Si ritiene che anche l’ipotesi in cui l’impresa stipuli una convenzione con un esercizio pubblico per fornire un servizio di mensa esterna ai propri dipendenti non possa essere ricondotta alla fattispecie prevista dall’art. 109, comma 5, del Tuir, come modificato dal D.L. 112/2008.

Si rammenta, al riguardo, che secondo i chiarimenti resi nella circolare 23 dicembre 1997, n. 326 (par. 2.2.3), tra le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono
comprese, tra l’altro, le convezioni con i ristoranti.

In sostanza, la convenzione stipulata con un ristorante costituisce una delle modalità a disposizione del datore di lavoro per garantire alla generalità dei dipendenti il servizio di mensa.

Pertanto, l’importo che, in base alla convenzione stipulata, il datore di lavoro paga all’esercente un pubblico esercizio, quale corrispettivo per i pasti consumati dai dipendenti, costituisce un costo che non subisce limitazioni alla deducibilità in quanto lo stesso è sostenuto per l’acquisizione di un servizio di mensa (esterna), cioè di un servizio complesso, non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande.

 

8. Ticket restaurant acquistati dal datore di lavoro

Domanda. Le spese sostenute dal datore di lavoro per l’acquisto dei ticket restaurant sono soggette alla limitazione al 75% della deducibilità, prevista dagli articoli 54, comma 5, e 109, comma 5, del Tuir, per le spese per “somministrazioni” di alimenti e bevande?

Risposta. Atteso che la fornitura dei ticket restaurant rappresenta un servizio sostitutivo di mensa, si ritiene che la limitazione della deducibilità al 75% non sia applicabile alle spese sostenute dal datore di lavoro per il loro acquisto.

Tali spese, infatti, analogamente a quelle relative ad una convenzione con un esercizio pubblico, rappresentano il costo per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande.

 

9. Impresa distributrice di ticket restaurant

Domanda. L’impresa distributrice dei buoni pasto (società emittente) rimborsa ai pubblici esercizi convenzionati l’importo corrispondente ai ticket consegnati dai dipendenti come corrispettivo del servizio di somministrazione dei pasti.

Detto rimborso è soggetto al limite di deducibilità (75%) previsto dall’art. 109, comma 5, del Tuir, per le spese per “somministrazioni” di alimenti e bevande?

Risposta. Si ritiene che la limitazione della deducibilità non trovi applicazione in quanto l’importo che la società emittente dei buoni pasto corrisponde ai pubblici esercizi convenzionati, costituisce un costo per l’acquisizione di servizi (somministrazione di alimenti e bevande) che concorrono direttamente alla produzione dei ricavi della stessa società emittente.

Un’interpretazione logico sistematica della disposizione introdotta dall’art. 109, comma 5, del Tuir, porta a ritenere che la prevista riduzione della deducibilità della spesa operi solo nei casi in cui la stessa si riferisca all’acquisizione di servizi (alberghieri e di ristorazione) che, alla luce dell’oggetto dell’attività imprenditoriale, concorrono solo in maniera indiretta alla produzione dei ricavi.

Si ritiene, infatti, che la ratio perseguita dal legislatore sia intesa a limitare la deducibilità delle spese per prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande solo nelle ipotesi in cui può essere dubbia l’inerenza di dette spese all’esercizio dell’attività d’impresa (ovvero all’arte o alla professione).

Pertanto, la limitazione alla deduzione dal reddito delle spese in questione non si applica a fattispecie, come quello in esame, rispetto alle quali, l’inerenza delle spese alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande è indubbia, in quanto le stesse costituiscono l’oggetto dell’attività d’impresa.

 

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Con la Risoluzione 30 ottobre 2006, n. 118/E avente per oggetto “Redditi di lavoro dipendente – Determinazione del reddito – Buoni pasto al personale assunto con rapporto di lavoro part-time – Trattamento – Art.51, comma 2, lettera c), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – Istanza di interpello ex art.11 della L. 27 luglio 2000, n. 212, l’Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso Imposte sui redditi, ha affermato:

Con l’interpello …, concernente l’interpretazione dell’art. 51 dpr 917/1986, è stato esposto il seguente Quesito

La Federazione Alfa ritiene che, in materia di corretto trattamento fiscale da applicare ai buoni pasto, vi sia una contraddizione tra la risoluzione 15 dicembre 2004, n. 153/E, emanata dalla scrivente, e il D.P.C.M. 18 novembre 2005.

La Federazione istante fa presente, infatti, che, contrariamente a quanto affermato dalla scrivente con la risoluzione n. 153/E del 2004, sopra citata, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in discussione, prevede, all’art. 5, comma 1, lettera c), che al personale assunto con rapporto di lavoro part-time possono essere corrisposti comunque dei buoni pasto da parte del datore di lavoro, anche nell’ipotesi in cui l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo.

Atteso quanto sopra, la Federazione istante chiede di sapere se in tale ultima fattispecie trovi applicazione l’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir, o se i buoni pasto debbano concorrere alla formazione della base imponibile contributiva e fiscale, quali compensi in natura, del personale assunto con contratto a tempo parziale.

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente La Federazione istante non prospetta alcuna soluzione. Parere dell’Agenzia delle Entrate………, reso nel quadro dell’attività di consulenza generica disciplinata dalla circolare 18 maggio 2000, n. 99/E.

In via preliminare, occorre fare un breve richiamo alla normativa vigente in materia di determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Ai sensi dell’art. 51, comma 1, del Tuir,

“il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Lo stesso art. 51 del Tuir, al comma 2, lettera c), prevede poi che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente

“le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo complessivo giornaliero di lire 10.240 (5,29 euro), le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione”.

 

Tale ultima previsione normativa costituisce però una deroga al principio di onnicomprensività che caratterizza la tipologia di reddito in discussione ed è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto.

Nel caso specifico dei buoni pasto, si fa presente che gli stessi, rientrando tra le prestazioni sostitutive del servizio di mensa, sono esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, nei limiti sopra indicati.

In merito, la scrivente ha ritenuto opportuno precisare, con risoluzione n. 15 dicembre 2004, n. 153/E, che

“ove l’orario di lavoro non preveda la fruizione della pausa pranzo, i buoni pasto eventualmente corrisposti da parte del datore di lavoro, non essendo destinati a realizzare una prestazione sostitutiva del servizio di vitto, concorreranno alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (e della base imponibile contributiva), al pari degli altri compensi in natura percepiti”.

 

La stessa risoluzione n. 153/E del 2004 si rifà, peraltro, a precedenti documenti di prassi amministrativa quali, ad esempio, la circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, che, al punto 2.2.3., chiarisce che i buoni pasto devono

“consentire soltanto l’espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto”.

La scrivente ha espresso il parere sopra citato ritenendo che, in assenza di una specifica previsione in materia, solo i dipendenti che osservano un orario di lavoro che prevede una pausa per il vitto abbiano diritto ai buoni pasto.

Ciò premesso, va considerato che sono recentemente intervenute disposizioni normative che hanno rinnovato il comparto dei servizi sostitutivi di mensa aziendale mediante buoni pasto.

Al riguardo, gli artt. 14-ter et 14-vicies del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, inserito in sede di conversione della L. 17 agosto 2005, n. 168, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della P.A., al fine di concorrere al conseguimento di più elevati livelli di produttività, ha previsto l’emanazione di un decreto diretto, tra l’altro, a disciplinare le caratteristiche del buono pasto e la regolamentazione dell’utilizzo dello stesso da parte dei lavoratori dipendenti e delle categorie assimilate.

In esecuzione della predetta delega è stato emanato il D.P.C.M. 18 novembre 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 17 gennaio 2006, recante disposizioni in materia di affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa.

Tale decreto definisce, all’art. 2, comma 1, lettera c), il buono pasto come

“il documento di legittimazione, anche in forma elettronica”, avente determinate caratteristiche “che attribuisce al possessore, ai sensi dell’art. 2002 c.c., il diritto ad ottenere dagli esercizi convenzionati la somministrazione di alimenti e bevande e la cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo, con esclusione di qualsiasi prestazione in denaro”.

 

Lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede poi, all’art. 5, comma 1, lettera c), che i

“buoni pasto sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”.

 

La previsione normativa sopra citata prevede, di fatto, la possibilità che anche in favore dei dipendenti assunti a tempo parziale, con un’articolazione dell’orario di lavoro che non prevede una pausa per il pranzo, siano corrisposti buoni pasto da parte del datore di lavoro.

Si deve ritenere che la nuova normativa abbia tenuto conto del fatto che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili.

Atteso che l’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir fa espresso riferimento alle prestazioni sostitutive del servizio di mensa, ora disciplinate dal provvedimento in discussione, la scrivente ritiene che lo stesso provvedimento, pur non avendo natura tributaria, assuma rilevanza anche ai fini fiscali.

D’altra parte, la normativa fiscale non contiene una disciplina dettagliata delle prestazioni sostitutive di mensa limitandosi a prevederne la non concorrenza al reddito di nei limiti previsti.

La risoluzione 15 dicembre 2004, n. 153/E, deve, pertanto, ritenersi superata.

Ne consegue che, anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir.

Tali buoni pasto non concorreranno, quali compensi in natura, nei limiti dei 5,29 euro giornalieri, alla formazione della base imponibile contributiva e fiscale del lavoratore subordinato assunto con contratto a tempo parziale.

 

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Con la Risoluzione 63/E del 17/05/2005, avente per oggetto “Istanza di interpello – Articolo 11, L. 212/2000. XZ S.R.L. – Regime fiscale applicabile alla somministrazione di alimenti e bevande mediante un badge elettronico, denominato “Card”, l’Agenzia Entrate ha dato la risposta di seguito riportata al seguente quesito:

La XZ S.r.l., società esercente prestazioni di servizi sostitutivi di mense aziendali, ha chiesto di conoscere il corretto trattamento fiscale, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, applicabile alle cessioni di Card elettroniche ai datori di lavoro utilizzabili dai propri dipendenti, presso i vari esercizi convenzionati, per consentire ad essi l’accesso immediato e controllato al servizio di somministrazione di alimenti e bevande.

A tal fine, i datori di lavoro forniranno alla XZ S.r.l. i dati anagrafici dei dipendenti cui dovrà essere erogato il servizio di somministrazione, predeterminando il valore della prestazione sottesa.

Dal canto suo, la XZ S.r.l. procederà:

a) alla stampa ed alla opportuna codifica dei relativi badge, prima di consegnarli al datore di lavoro per la successiva distribuzione ai dipendenti che li utilizzeranno presso gli esercizi convenzionati;

b) alla installazione presso gli esercizi convenzionati di appositi terminali al fine di consentire il riconoscimento del dipendente utilizzatore del badge e l’accesso immediato e controllato al servizio di somministrazione.

L’esibizione del badge darà diritto ad una sola prestazione giornaliera, non ripetibile nell’arco dello stesso giorno lavorativo, secondo le modalità previste dalla legge o dal contratto (collettivo o aziendale) che regola il servizio di mensa per i dipendenti.

Inoltre, la card non consente al dipendente di ricevere somme di denaro, beni o prestazioni diverse da quelle stabilite nel contratto e registrate sulla card.

 

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

La società istante ritiene di poter ricondurre le prestazioni rese per il tramite della Card elettronica tra quelle previste per il servizio di mensa aziendale.

Per la XZ, infatti, alla predetta modalità di somministrazione di alimenti e bevande non può essere attribuita la natura di prestazione di servizi sostitutivi di mensa aziendale, in considerazione delle diverse caratteristiche insite nella card elettronica rispetto al Ticket restaurant.

Come chiarito dall’istante, infatti, l’utilizzo della card consente al dipendente di fruire della prestazione esclusivamente nel giorno in cui la stessa è maturata.

In altri termini, la mancata fruizione del servizio messo a disposizione dal datore di lavoro, nel giorno e nell’ora predeterminata, non genera, in capo al dipendente legittimato, alcun diritto.

Inoltre l’istante rileva che la card è strutturata in modo da individuare con precisione estrema i casi di un suo indebito utilizzo, così come pure le ipotesi in cui il dipendente ponga in essere artifici e/o raggiri riguardo allo strumento medesimo.

Per quanto riguarda la parametrazione del pasto mediante previsione e valorizzazione del contenuto dello stesso (con indicazione ad esempio di primo, secondo, frutta, ecc.), l’istante rappresenta che la stessa è tecnicamente possibile, ancorché non sia stata valutata come esigenza richiesta da un potenziale mercato.

Le menzionate caratteristiche delle card elettroniche valgono, secondo la società istante, a differenziare le stesse dai ticket restaurant, rendendo di fatto inapplicabile ad esse la normativa disposta per questi ultimi.

La tipologia di somministrazione oggetto del quesito verrebbe a caratterizzare una vera prestazione di mensa aziendale sia pure nella particolare specie di “mensa diffusa”.

Conseguentemente, ai fini Iva, alle prestazioni rese dalla XZ al datore di lavoro committente, trattandosi di attività riconducibili nell’ambito applicativo del n. 37 della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, si applicherà l’aliquota del 4%, che risulterà detraibile per il datore di lavoro.

Ai fini Ires, i costi per l’acquisto dei servizi in questione saranno interamente deducibili dal reddito d’impresa del datore di lavoro appaltante, quali costi inerenti ai sensi dell’art. 95 del Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR.

L’Iva corrisposta dalla XZ a fronte del servizio di somministrazione reso dagli esercenti convenzionati, sarà ugualmente detraibile ai sensi dell’articolo 19-bis 1, comma 1, lettera e), del dpr 633/1972.

Per quanto concerne l’imposta sul reddito delle società – Ires – invece, l’insieme dei corrispettivi conseguiti dalla XZ a fronte delle prestazioni rese saranno considerati ricavi ai sensi dell’articolo 53 del D.P.R. n. 917 del 1986.

 

 

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Nel quadro della disciplina del reddito di lavoro dipendente, la somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti, da parte dei datori di lavoro, ovvero l’erogazione agli stessi di somme finalizzate all’acquisto di pasti, è regolata dall’articolo 51 (già 48), comma 2, lett. c), del TUIR, che prende in considerazione distinte ipotesi, e precisamente:

  1. gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro;
  2. prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (Ticket restaurant);
  3. corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.

 

Prescindendo dalla ipotesi sub c) che non interessa il caso di specie, occorre sottolineare come la collocazione di una fattispecie di somministrazione in una delle due residue categorie – a) o b) – sia di estrema importanza in considerazione del fatto che a ciascuna di esse corrisponde un differente trattamento tributario.

Infatti, nell’ipotesi a) è sempre esclusa la emersione di un reddito di lavoro dipendente, mentre il datore di lavoro è pienamente legittimato a dedurre i costi sostenuti per la gestione (anche in appalto) della mensa ed a detrarre l’IVA a lui addebitata per rivalsa.

Nell’ipotesi b), invece, la concorrenza dei buoni al reddito di lavoro dipendente è esclusa solo fino all’importo di euro 5,29 (10.240 vecchie lire).

Da parte sua il datore di lavoro, fermo restando la deducibilità del costo sostenuto per l’acquisizione dei buoni, non è legittimato a detrarre l’IVA addebitata dalla società intermediaria.

Per verificare se una prestazione di somministrazione di alimenti e bevande è riconducibile all’una ovvero all’altra ipotesi, si deve avere riguardo non solo alle modalità attraverso le quali la somministrazione è operata ma anche alla presenza di eventuali convenzioni fra i partecipanti al contratto di somministrazione.

In relazione a quest’ultimo aspetto, con la circolare 16 luglio 1998, n. 188, il Ministero delle Finanze, commentando la formulazione dell’articolo 48, comma 2, lettera c), del TUIR, citato (attuale art. 51), ha ripreso il contenuto della circolare 23.12.1997, n.326,qualificando come mense aziendali anche gli esercizi pubblici, limitatamente alle prestazioni di somministrazione di alimenti e bevande realizzate sulla base di specifiche convenzioni con i datori di lavoro.

 

Dalla possibilità di attribuire la qualifica di mensa aziendale anche agli esercizi pubblici (ristoranti, bar, ecc.), sia pur subordinata alla condizione di una preventiva convenzione con il datore di lavoro, discende che, ai fini della corretta collocazione di una somministrazione in una delle due tipologie – servizi sostitutivi di mensa aziendale ovvero mense aziendali o interaziendali – si rende necessario esaminare compiutamente le modalità con cui la prestazione stessa viene resa.

Relativamente al caso prospettato dall’istante, concernente la somministrazione di alimenti e bevande a mezzo card elettroniche, deve rilevarsi che la disamina delle caratteristiche che contraddistinguono siffatta modalità di somministrazione – attinenti soprattutto allo strumento elettronico attraverso il quale il dipendente può accedere al servizio di somministrazione – induce a differenziarla da quella realizzata attraverso i ticket restaurant.

Se è vero, infatti, che anche le card elettroniche sono contraddistinte dai requisiti, individuati con la circolare 23 dicembre 1997, n. 326, propri dei ticket restaurant (non sono cedibili, né cumulabili, commerciabili, o convertibili in denaro) e dalla presenza di un intermediario che si frappone tra il datore di lavoro ed il soggetto che effettua la somministrazione, è altrettanto vero che le proprietà insite nelle card elettroniche sono tali, ed evidenti, da distinguere completamente le due tipologie di somministrazione.

Le card, infatti, operando su di un circuito elettronico, consentono di verificare in tempo reale l’utilizzo conseguente alla maturazione del diritto da parte del dipendente – una sola prestazione giornaliera limitatamente ai giorni di effettiva presenza in servizio e, al contempo, di scongiurare un loro eventuale utilizzo improprio e/o fraudolento: quale potrebbe essere, ad esempio, la richiesta di somministrazione in un giorno in cui il dipendente risulti ammalato o, semplicemente, in una fascia oraria diversa da quella prevista contrattualmente per la pausa pranzo.

L’utilizzo delle card, poi, non consente di posticipare nel tempo la fruizione della prestazione e, pertanto, il dipendente che, pur avendo maturato il diritto alla prestazione, non consuma il pasto, non potrà più recuperarlo nei giorni successivi, né al medesimo verrà riconosciuto altro analogo diritto riconducibile al servizio di mensa aziendale.

Le card, operando in tempo reale, non rappresentano titoli di credito, ma consentono unicamente di individuare il dipendente che quel giorno ha diritto a ricevere la somministrazione del pasto.

A tal fine, va precisato che nei confronti del dipendente la carta assume la funzione di rappresentare esclusivamente il pasto cui il soggetto interessato ha diritto (nei termini concordati tra datore di lavoro e XZ) e non il corrispondente valore monetario utilizzabile eventualmente per l’acquisto di beni diversi presso l’esercizio convenzionato.

Dalla funzione attribuita alle card elettroniche, di mero strumento identificativo dell’avente diritto deriva che le stesse non sono assimilabili ai ticket restaurant, ma piuttosto ad un sistema di mensa aziendale, che può essere definita “diffusa” in quanto il dipendente può rivolgersi ai diversi esercizi pubblici che avendo sottoscritto la convenzione sono abilitati a gestire la card elettronica.

Le prestazioni rese attraverso di esse, quindi, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, a prescindere dal superamento o meno del limite di 5,29 euro, di cui all’articolo 51, comma 2, lett. c), del Tuir (riferito esclusivamente alle prestazioni ed alle indennità sostitutive di mensa).

Resta inteso che nell’ipotesi in cui le card elettroniche venissero dotate di funzioni diverse – come ad esempio quelle di titoli di credito e/o documenti contenenti importi di spesa predeterminati – alle prestazioni ad esse collegate dovrà essere attribuita una qualificazione diversa, non potendo più la somministrazione essere considerata come svolgentesi nell’ambito di una mensa aziendale.

Una volta individuata la natura delle somministrazioni di alimenti e bevande a mezzo card elettroniche, il regime fiscale applicabile ad esse non presenta particolari difficoltà.

In tale ipotesi, infatti, in sede di fatturazione al datore di lavoro committente, la XZ applicherà l’aliquota del 4%, trattandosi di una fattispecie riconducibile nell’ambito applicativo di cui al n. 37) della Tabella A – Parte II – del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

L’Iva corrisposta alla XZ sarà detraibile per il datore di lavoro in ossequio al disposto di cui all’art. 19-bis 1, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 633 del 1972.

Resta fermo che il pubblico esercizio convenzionato per il servizio di somministrazione pasti reso ai dipendenti emette fattura nei confronti della XZ e non nei confronti del datore di lavoro e che pertanto in tale fase la fattispecie non può assumere la qualificazione di “mensa aziendale”.

 

Ne consegue che nei rapporti fra la XZ e l’esercizio convenzionato la misura dell’aliquota applicabile sarà del 10%, attesa la specifica regolamentazione contenuta al n. 121) della Tabella A – Parte III – dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972.

Infine, per quanto concerne l’imposta sul reddito delle società – IRES – l’insieme dei corrispettivi conseguiti dalla XZ a fronte delle prestazioni rese sarà considerato ricavo ai sensi dell’articolo 85 del TUIR.

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Circolare del 23/12/1997 n. 326 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. III – D.Lgs. 2.09.1997, n. 314 concernente armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali in materia di redditi di lavoro dipendente e assimilati, l’Agenzia Entrate ha fornito chiarimenti in ordine alla disciplina di armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali relative ai redditi di lavoro dipendente ed assimilati di cui al decreto legislativo in oggetto, emanato in attuazione delle disposizioni di delega contenute nell’art. 3, commi 19 e 134, della legge n.662/96.

In particolare, riguardo alle Somministrazioni in mense aziendali e prestazioni sostitutive

– punto 2.2.3, ha fornito i seguenti chiarimenti.

Con la lettera c) (del nuovo art.51 Tuir) e’ stata razionalizzata la disciplina delle spese per i pasti dei dipendenti.

In particolare, la novita’ consiste nell’avere esteso il trattamento fiscale delle somministrazioni in mense aziendali, gestite direttamente o da terzi, anche alle somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro e nell’aver previsto una soglia complessiva giornaliera, pari a lire 10.240, di non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente anche per le indennita’ di mensa oltre che per le prestazioni sostitutive del servizio di mensa, ad esempio, i ticket restaurant, per le quali l’articolo 3, comma 6, della L. 23.12.1996, n. 662 aveva gia’ fissato un importo massimo complessivo giornaliero, da calcolarsi con riferimento a ciascun giorno lavorativo, oltre il quale dette prestazioni sostitutive concorrevano a formare il reddito.

In tal modo, non costituiscono compensi in natura, a titolo di esempio, i pasti consumati dai camerieri o dal cuoco di un ristorante, dai collaboratori domestici, mentre concorrono a formare il reddito solo per la parte che eccede lire 10.240 le indennita’ di mensa corrisposte, ad esempio, ai lavoratori delle imprese edili o la panatica dei marittimi a terra.

Tenuto conto della nuova formulazione della norma, e’ opportuno precisare che tra le prestazioni di vitto e le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono comprese le convenzioni con i ristoranti e la fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti.

Si ritiene che la prestazione in questione debba comunque interessare la generalita’ dei dipendenti o intere categorie omogenee di essi.

Relativamente ai ticket restaurant (per i quali ai fini dell’esclusione si fa riferimento al valore nominale) va precisato che negli stessi deve essere individuabile un collegamento fra i tagliandi ed il tipo di prestazione cui danno diritto; i tagliandi devono recare sul retro la precisazione che non possono essere cedibili, ne’ cumulabili, ne’ commerciabili e ne’ convertibili in denaro; gli stessi, quindi, dovranno consentire soltanto l’espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto, ed essere debitamente datati e sottoscritti.

Va ricordato che l’art. 4 della L. 25.03.1997, n. 77, ha precisato che per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo buoni pasto di cui al D.M. lavoro e previdenza sociale 3 marzo 1994, pubblicato nella G.U. n. 66, del 21.03.1994, devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nonche’ le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato, effettuate da mense aziendali, interaziendali, rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi commerciali muniti di autorizzazione per la vendita, per la produzione, la preparazione e vendita di generi alimentari, anche su area pubblica e operate dietro commessa di imprese che forniscono servizi sostitutivi di mensa aziendale.

Benche’ la norma sembrasse assumere, all’epoca della sua emanazione, valore esclusivamente a fini previdenziali, non v’e’ motivo per non ritenerla ancora valida anche ai fini fiscali, tenuto conto che ora e’ stata effettuata l’unificazione delle basi imponibili.

Va, infine, precisato che il legislatore non ha dettato regole particolari in merito alle diverse opzioni disponibili per escludere il pasto del dipendente, in tutto o in parte, dalla formazione del reddito, si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro sia libero di scegliere la modalita’ che ritiene piu’ facilmente adottabile in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell’attivita’ svolta e che possa anche prevedere piu’ sistemi contemporaneamente.

Ad esempio, puo’ istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennita’ sostitutiva per un’altra ancora, oppure puo’ istituire il servizio di mensa e nello stesso tempo corrispondere un’indennita’ sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa.

 

Tenuto conto del tenore letterale della norma, e’, invece, da escludere che lo stesso dipendente, con riferimento alla medesima giornata lavorativa, possa fruire del servizio mensa e utilizzare anche il ticket restaurant o ricevere anche l’indennita’ sostitutiva del servizio di mensa, fruendo dell’esclusione dalla formazione del reddito di lire 10.240.

Analogamente, in presenza di indennita’ sostitutiva pari a lire 3.000 e ticket restaurant con valore nominale di lire 6.000, non e’ possibile, con riferimento alla stessa giornata, cumulare le due prestazioni sostitutive fino a raggiungere la predetta soglia di esclusione, ma e’ necessario assoggettare a tassazione integralmente una delle due.

 

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Risoluzione 03/04/1996 N. 49//E, riguardo ai Servizi di mensa aziendale – Iva – Base imponibile – l’Agenzia Entrate ha fornito la seguente risposta.

Con istanza del 15.02.1996 la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) ha chiesto chiarimenti in merito al trattamento tributario applicabile alle prestazioni di servizi sostitutivi di mensa aziendale finalizzati ad assicurare ai datori di lavoro, ma a beneficio dei loro dipendenti, somministrazioni di pasti, da parte di pubblici esercizi convenzionati, del valore, determinato in relazione ai prezzi praticati al pubblico, pari a quello indicato in un apposito documento denominato “buono pasto”.

Sostanzialmente vengono a instaurarsi due rapporti contrattuali:

  • il primo tra i datori di lavoro e le societa` emittenti di buoni pasto, con il quale queste si obbligano ad assicurare, mediante mense gestite direttamente o da terzi ovvero mediante pubblici esercizi convenzionati, il servizio di mensa.
  • Il secondo contratto e` stipulato tra le stesse societa` emittenti di buoni pasto e i pubblici esercizi che effettuano il servizio sostitutivo di mensa nei propri locali.

 

Nel primo rapporto contrattuale il prezzo di ogni pasto viene fissato, sulla base di trattativa commerciale, in misura pari, inferiore o superiore al valore facciale dei buoni pasto; nel secondo invece viene contrattualmente previsto in favore delle societa` emittenti di buoni uno “sconto incondizionato” rapportato allo stesso valore facciale del buono pasto.

Tanto premesso la Federazione istante ha chiesto di conoscere le modalita` di determinazione della base imponibile ai fini dell’IVA in relazione a entrambi gli anzidetti rapporti commerciali.

Al riguardo torna utile premettere che l’articolo 13, 1^ c., del dpr 633/72, che fissa le modalita` di determinazione della base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dispone, che questa e` costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali.

Pertanto, in ordine al primo rapporto la base imponibile da assoggettare all’IVA con l’aliquota ridotta del 4% stabilita dall’articolo 75, 3^ c., L. 413/91, e` costituita dal prezzo fissato tra le parti, non rilevando la circostanza che essa sia pari, inferiore o superiore al valore facciale indicato nel buono pasto.

Relativamente al secondo rapporto, nel cui ambito vengono poste in essere operazioni indicate nell’articolo 22, 1^ c., n. 2, del richiamato dpr 633/1972, la base imponibile va determinata applicando la percentuale di sconto al valore facciale del buono pasto e scorporando quindi dall’importo ottenuto l’imposta in esso compresa mediante l’applicazione delle percentuali fissate nel quarto comma dell’articolo 27 del medesimo decreto n. 633.

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Circolare n. 126/Inps del 27.04.1994, avente per oggetto “Regime contributivo per la mensa, il vitto, il trasporto e relativi importi sostitutivi” DD.MM. ex art. 17 del d.lgs. 503/1992, modificato dall’art. 11, comma 24, legge 24 dicembre 1993, n. 537, l’Inps ha chiarito quanto segue.

Con circolare n. 15 del 18.01.1994 e’ stato illustrato il regime contributivo, introdotto per la mensa ed il trasporto a decorrere dall’1.1.1994 dall’art.17, d.lgs. 503/1992, ed e’ stata preannunciata l’emissione di DD.MM. per la determinazione, in attuazione dell’art. 11, co. 24, della L. 24.12.1993, n.537, dei tetti entro i quali gli esoneri contributivi devono essere applicati.

Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, ha emesso i DD.MM. 3 marzo 1994, che stabiliscono quanto segue:

a) corrispettivo del servizio mensa, predisposto dai datori di lavoro, attraverso mense aziendali proprie o altrui, o attraverso mense interaziendali: esenzione totale

b) corrispettivo del vitto somministrato dalle aziende appartenenti al settore dei pubblici esercizi e degli alberghi: esenzione totale;

c) corrispettivo del servizio di trasporto, predisposto dai datori di lavoro: esenzione totale;

d) importo sostitutivo del servizio di mensa e vitto, previsto in sede contrattuale o da accordi integrativi: esenzione entro un valore massimo di L. 2.000 a pasto;

e) importo sostitutivo del servizio di trasporto predisposto, previsto in sede contrattuale o da accordi integrativi: esenzione entro un valore massimo di L. 25.000 mensili;

f) buoni pasto: esenzione entro un valore massimo di L.9.000 a pasto.

Si annota che:

1) i valori indicati e le esenzioni trovano applicazione a decorrere da gennaio 1994;

2) sono stati compresi nell’esonero da gennaio 1994 anche il corrispettivo del vitto somministrato dalle aziende appartenenti al settore dei pubblici esercizi e degli alberghi e l’importo sostitutivo di esso nel tetto prefissato;

3) e’ confermato che l’esclusione, nell’ambito dei tetti fissati, riguarda solo gli importi sostitutivi, la cui erogazione e’ prevista in sede di contrattazione, anche integrativa, a favore di chi non usufruisca del servizio predisposto per la generalita’ dei dipendenti;

4) resta ferma l’imposizione contributiva per la parte dell’importo eccedente i tetti ed ovviamente, per l’intero importo delle indennita’ di mensa e di trasporto, previste dalla contrattazione, senza l’istituzione del servizio. Si rammenta, inoltre, che il controvalore del servizio di trasporto, ai sensi dell’art. 6, comma 8 ter, della legge n.236/93 (cfr. circ. n. 188 del 3 agosto 1993) fa parte della retribuzione imponibile per il solo anno 1993;

5) l’importo massimo di L. 9.000 previsto per il buono pasto e’ riferito alla quota a carico del datore di lavoro, che non coincide necessariamente con il valore dello stesso, che puo’ comprendere anche un contributo a carico del lavoratore. A tale proposito si sottolinea come il decreto ministeriale, nell’equiparare il buono al servizio mensa, ha introdotto per il buono il tetto massimo per l’esenzione.

Tale equiparazione, peraltro, non comporta che si debba prescindere dai requisiti previsti dalla delibera del Consiglio di Amministrazione n. 195 del 28.11.1986, richiamata nella circolare 15 del 18.01.1994, i quali vanno verificati con riguardo alle condizioni di emissione dei titoli e non sono inficiati ai fini contributivi dai casi di uso improprio nelle fasi successive dell’utilizzo e della raccolta le cui conseguenze non possono farsi ricadere sul datore di lavoro.

Resta ferma l’imposizione contributiva per la parte, a carico del datore di lavoro, eccedente l’importo di L. 9.000 e per l’intero valore dei buoni pasto le cui condizioni di emissione non siano conformi ai requisiti illustrati, da ultimo, nella piu’ volte citata circolare n. 15 del 18.1.1994. L’eventuale quota di retribuzione trattenuta al dipendente a titolo di concorso di spesa al buono pasto (cosi’ come del resto per qualsiasi altro servizio) era e rimane soggetta a contribuzione alla fonte secondo le norme comuni.

 

***

 

Circolare n. 15/Inps del 18.01.1994, avente per oggetto “Regime contributivo per la mensa, il vitto, l’alloggio, il trasporto, l’indennita’ di mensa e di trasporto”, l’Inps ha chiarito quanto segue.

Con la circolare n. 188 del 3.08.1993 e’ stato gia’ illustrato il testo dell’art. 17 del d.lgs. 503/1992, che stabilisce, a decorrere dall’1.1.1994, l’esclusione dalla base imponibile dei corrispettivi dei servizi di mensa e trasporto, predisposti dal datore di lavoro con riguardo alla generalita’ dei lavoratori per esigenze connesse con l’attivita’ lavorativa, nonche’ dei relativi importi sostitutivi.
Sull’argomento si forniscono, di seguito, ulteriori istruzioni e precisazioni. 1) MENSA
La varieta’ delle situazioni contrattuali e normative esistenti rende necessario procedere ad una rapida disamina delle varie fattispecie che possono praticamente realizzarsi.
Infatti, i datori di lavoro provvedono a garantire il pasto attraverso:
a) l’istituzione di un servizio mensa, con la previsione o meno di una indennita’ sostitutiva per i dipendenti che non ne usufruiscono;
b) l’adozione dei “buoni pasto”.
Inoltre, la contrattazione collettiva puo’ prevedere l’erogazione ai lavoratori dell’indennita’
di mensa, indipendentemente dalla istituzione del servizio. Servizio mensa
A decorrere dall’1.1.1994, come gia’ precisato, non e’ assoggettato a contribuzione il valore convenzionale della mensa, ne’ l’importo sostitutivo di essa, previsto dalla contrattazione collettiva per chi non ne usufruisce.
Tale servizio ed il relativo importo sostitutivo devono essere previsti per la generalita’ dei dipendenti per esigenze legate all’attivita’ lavorativa.
1.2) Buoni pasto
Con la Circ. 822 del 27.01.1987 e’ stato gia’ comunicato che il Consiglio di Amministrazione, con la delibera n. 195 del 28.11.1986, ha equiparato, ai fini contributivi, l’adozione dei buoni pasto al servizio mensa vero e proprio, ritenendo ininfluente che i datori di lavoro garantiscano il pasto ai dipendenti nella mensa predisposta sul luogo di lavoro, ovvero attraverso i buoni pasto, utilizzabili presso mense aziendali altrui o interaziendali, pubblici esercizi o terzi ristoratori in genere.
L’adozione dei buoni pasto deve, ovviamente, caratterizzarsi di requisiti omogenei all’utilizzo di una mensa, per cui detti buoni, oltre a non essere spendibili come denaro liquido, devono essere debitamente datati e sottoscritti e rilasciati ai dipendenti per le giornate lavorative e per esigenze connesse all’attivita’ lavorativa.

 

Nella circolare sopra citata era stato precisato che il valore del buono pasto non deve essere rilevabile in via diretta ed immediata, in quanto non espresso in termini monetari, su alcuna delle facce del supporto cartaceo in cui il buono pasto si sostanzia. Inoltre, i buoni non devono essere cumulabili, ne’ cedibili, ne’ commerciabili o convertibili in denaro.

Si e’ pero’ avuto modo di riscontrare che alcune Sedi hanno addebitato i contributi sul valore commerciale dei buoni-pasto, ogni qualvolta e’ stato possibile rilevarlo, decodificando le cifre indicate sui buoni, magari con l’ausilio di accordi sindacali, che ovviamente quantificano detto valore.

Tale linea non e’ condivisibile dal momento che e’ scontato un rapporto monetario, sottostante al diritto incorporato nel buono, il cui valore non e’ comunque immediatamente rilevabile, proprio perche’ deve essere decodificato.

1.3.) Indennita’ di mensa

Non rientra nel campo di applicazione dell’art. 17 del D.lgs. 503/92 l’indennita’ di mensa, prevista dai contratti collettivi, laddove il servizio non sia stato istituito.

A tale conclusione si perviene non solo sulla base del tenore della norma, che considera essenzialmente il servizio istituito e l’importo sostitutivo di esso, ma anche per il valore sociale attribuito, sia in sede giurisprudenziale che in disegni di legge all’esame del Parlamento, alla necessita’ di garantire al lavoratore un pasto caldo, evitandone la monetizzazione.

A cio’ aggiungasi che spesso le indennita’ di mensa, previste dalla contrattazione senza l’istituzione del servizio, rappresentano un elemento vero e proprio della retribuzione, preso a base del calcolo anche di altri emolumenti, quali quelli per ferie e 13 mensilita’.

 

2) VITTO PER I DIPENDENTI DEI PUBBLICI ESERCIZI E DEGLI ALBERGHI.

Specifica regolamentazione è prevista per i dipendenti dei pubblici esercizi e degli alberghi, che consumano il pasto in ambito aziendale.

Tale fattispecie, non trovando un espresso riferimento nella disposizione contenuta nella prima parte dell’art. 17 del Dlgs. 503/92, deve ritenersi esclusa dal relativo campo di applicazione.

Il Ministero del Lavoro, di concerto con quello del Tesoro, potra’, peraltro, disporre l’esclusione dall’imponibile di tale elemento mediante il decreto previsto dallo stesso art. 17.

Pertanto, allo stato attuale, per tale categoria:

  • si confermano le disposizioni emanate con messaggio T.P. n. 08781 del 10.11.1988.
  • Si precisa, su conforme parere del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che il valore del vitto, fissato dai DD.MM. convenzionalmente per due pasti, puo’ essere diviso per due, qualora il dipendente abbia diritto ad un pasto solo.

 

***

 

I.N.P.S. Servizio Riscossione Contributi e Vigilanza Reparto IV 27/4/4682 Mesaaggio T.P. n. 08781 del 10.11.88, avente per oggetto “Adempimenti contributivi sul controvalore del vitto somministrato ai dipendenti dei pubblici esercizi e del valore del vitto e dell’alloggio usufruito dai dipendenti degli esercizi alberghieri”.

 

Come e’ noto, il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, nella seduta del 9.91976, delibero’ sulla base della pronuncia contenuta nella nota n.5/PS/35289 del 13.9.1973 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, l’esclusione dalla contribuzione del controvalore del vitto corrisposto al personale dipendente dai pubblici esercizi della ristorazione dietro pagamento di un prezzo convenuto; era, invece, previsto il pagamento dei contributi sul controvalore del vitto in caso di somministrazione gratuita di esso (vedi circ. n. 413 C. e V. del 19.10.1976, circ. n. 421 C. e V. del 21.1.1977 – MSG. T.P. n. 22310 del 30.3.1987).

A seguito di cio’, la Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (FAIAT) inoltro’ all’Istituto analoga richiesta di esclusione dall’obbligo contributivo del controvalore del vitto e dell’alloggio fruito dal personale dipendente degli esercizi alberghieri, sostenendo che il CCNL di categoria del 14.7.1976, nell’intento di unificare la disciplina del rapporto di lavoro nel settore alberghiero e di quello dei pubblici esercizi, non annoverava piu’ il vitto e l’alloggio fra gli elementi della retribuzione, analogamente a quanto stabilito nel CCNL del 13.3.1970 per il settore dei pubblici esercizi.

Inoltre, anche per i dipendenti degli esercizi alberghieri era previsto il pagamento di un prezzo convenuto per fruire delle prestazioni predette.

La richiesta della FAIAT, alla quale l’Istituto non ritenne di poter aderire autonomamente, venne, pertanto, sottoposta al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Nel frattempo la questione dell’imponibile contributivo sul controvalore del vitto, somministrato al personale dei pubblici esercizi e’ stata, peraltro, riconsiderata alla luce della delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto n. 195 del 28.11.1986.

Come e’ noto, con detta delibera e’ stato risolto il problema, in conformita’ agli orientamenti giurisprudenziali, nel senso dell’assoggettabilita’ a contribuzione del valore convenzionale della mensa stabilito con gli appositi decreti ministeriali, anche nel caso in cui i lavoratori concorrano alle spese con apporto uguale ai valori fissati con i predetti decreti, sempre che il concorso dei lavoratori stessi non sia di entita’ tale da costituire totale corrispettivo del servizio.

Interpellato al riguardo, il Ministero del Lavoro con lettera n. 6/PS/40259/RI del 13.4.1988, ha affermato, innanzitutto, la sostanziale affinita’ del settore alberghiero con quello dei pubblici esercizi e, quindi, ha espresso il parere che anche per questi settori gli obblighi contributivi sul valore del vitto e dell’alloggio debbono essere assolti sulla base dell’indirizzo ribadito in tema di erogazione del servizio di mensa.

Sulla base della suddetta pronuncia ministeriale, il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, nella seduta del 21 ottobre 1988, ha deliberato che a decorrere dal periodo di paga in corso al primo del mese successivo alla data di adozione della delibera (1 novembre 1988) il valore del vitto somministrato ai dipendenti dei pubblici esercizi nonche’ di quello del vitto e dell’alloggio somministrato ai dipendenti degli alberghi debba essere assoggettato ai contributi di previdenza e di assistenza sulla base dei valori stabiliti con i DDMM fatta eccezione per l’ipotesi in cui sia previsto a carico del dipendente il pagamento di un prezzo pari al valore reale delle prestazioni predette.

Le aziende sono, pertanto, tenute ad assolvere agli obblighi contributivi sulle voci di cui trattasi, a partire da quelli che si riferiscono al mese di novembre 1988 (da effettuare entro il 20 dicembre 1988).

 

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Con la Circolare 30 del 16/4/92 IVA, riguardo ai servizi sostitutivi delle mense aziendali – aliquota applicabile, l’Agenzia Entrate ha fornito dei chiarimenti.

E’ stata rappresentata alla scrivente l’esigenza che vengano forniti chiarimenti in ordine alla aliquota IVA applicabile e all’esercizio del diritto di detrazione relativamente rapporti che instaurano, nel settore della ristorazione collettiva, gli operatori che stipulano convenzioni da una parte con datori di lavoro che non dispongono di proprie mense aziendali e dall’altra con pubblici esercizi ai quali viene commessa l’effettuazione del servizio di mensa a favore di lavoratori dipendenti, previa presentazione di buoni pasto loro forniti da parte dei propri datori di lavoro.

In particolare è stato chiesto, di conoscere il trattamento di aliquota applicabile ad ambedue rapporti sopra evidenziati e se sussistono impedimenti alla detrazione dell’imposta addebitata a titolo di rivalsa in relazione alle operazioni stesse.

Al riguardo si fa presente che con l’art. 75 della L. 413/1991, il particolare settore della ristorazione ha trovato compiuta disciplina prevedendosi che:

a) le prestazioni di servizi sostitutivi di mense aziendali, oggetto dei contratti, anche di appalto, effettuate dalle aziende di ristorazione nei confronti dei datori di lavoro con l’utilizzazione di appositi buoni pasto sono soggette all’IVA con la medesima aliquota del 4% prevista al n. 37 della Tabella A, parte seconda, allegata al Dpr 633/1972, per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali;

b) le somministrazioni di alimenti e bevande rese nei pubblici esercizi su commissione delle imprese che effettuano i suddetti servizi sostitutivi di mense aziendali continuano ad essere assoggettate all’IVA con l’aliquota del 9% prevista al n. 121 della Tabella A, parte terza, allegata al cennato decreto n. 633;

c) i datori di lavoro non hanno titolo alla detrazione dell’imposta assolta per le somministrazioni di alimenti e bevande da chiunque effettuate, a meno che non si versi nell’ipotesi in cui le dette somministrazioni siano rese nei locali dell’impresa datrice di lavoro (mensa interna) o in locali adibiti, sulla base di specifica autorizzazione amministrativa, a mensa aziendale o interaziendale (mensa esterna). La limitazione alla detrazione non si applica, altresì all’imposta addebitata per rivalsa dagli esercenti pubblici esercizi nei confronti delle aziende che forniscono i servizi sostitutivi di mense.

E’ appena il caso di precisare che le somministrazioni di alimenti e bevande rese in pubblici esercizi a beneficio di lavoratori dipendenti sulla base di contratti stipulati direttamente dai propri datori di lavoro con gli esercenti sono assoggettate all’aliquota IVA del 4%, il cui ammontare, come già detto, non è detraibile da parte degli stessi datori di lavoro.

Naturalmente, sui corrispettivi pagati dal dipendente al pubblico esercizio per le somministrazioni da questi rese in eccedenza all’importo stabilito nella convenzione e risultante dal buono pasto si rende applicabile l’aliquota IVA del 9%.

Il medesimo articolo 75 prevede inoltre che qualora anteriormente alla entrata in vigore della citata legge n. 413/91 ai descritti rapporti siano state applicate discipline diverse da quelle anzi cennate, sia in ordine all’aliquota IVA che alla detrazione, non si fa luogo ad accertamenti, né a rimborsi di imposte pagate, né a variazioni di cui all’articolo 25 del ripetuto decreto n. 633/72.

 

A cura di Antonino Pernice 

22 settembre 2018

 

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