Conversione del Decreto dignità – sgravi contributivi e modifiche in materia di lavoro

Con la definitiva approvazione della Legge di conversione del cd. “Decreto dignità” – D.L. n. 87/2018 – molti sono stati i correttivi e le integrazioni. In particolar modo, in materia di lavoro si possono notare diverse modifiche che andranno notevolmente a incidere non solo sull’occupazione ma anche sugli adempimenti amministrativi e sugli accorgimenti che aziende e operatori del settore dovranno mettere in atto al fine di rispettare le regole ora introdotte

Con la definitiva approvazione della Legge di conversione del cd. “Decreto dignità” – D.L. n. 87/2018 – molti sono stati i correttivi e le integrazioni. In particolar modo, in materia di lavoro si possono notare diverse modifiche che andranno notevolmente a incidere non solo sull’occupazione ma anche sugli adempimenti amministrativi e sugli accorgimenti che aziende e operatori del settore dovranno mettere in atto al fine di rispettare le regole ora introdotte.

La conversione del D.L. n. 87/2018

Con la votazione del Senato del 7 agosto 2018, il Decreto Legge n. 87 dello scorso 12 luglio 2018, cd. “Decreto dignità”, è stato definitivamente convertito in Legge con modifiche, con 155 voti favorevoli, 125 contrari e un astenuto, e precisamente è stato convertito con la Legge n. 96 del 9 agosto 2018. Rispetto alla versione iniziale del Decreto, con la Legge di conversione sono state apportate numerose e specifiche modifiche con riferimento a diversi temi e – dove necessario – delle correzioni, ma soprattutto sono state integrate alcune disposizioni in modo tale da garantire una reale tutela dei lavoratori.

Tra i temi trattati da tale Decreto – anche nella versione definitivamente approvata dal Parlamento – un ruolo estremamente importante rivestono le modifiche in materia di lavoro, le quali grande dibattito hanno generato tra esperti e operatori del settore, ma anche tra le diverse forze politiche in gioco. Rispetto alla versione iniziale del D.L. 87/2018 diversi sono stati i cambiamenti e le modifiche, per cui è opportuno andare ad analizzarli uno per uno e comprendere come cambia l’impianto normativo con l’ulteriore correttivo introdotto con la suddetta L. n. 96/2018.

Le modifiche al tempo determinato

Come già accennato, fin dalla originaria versione del D.L. n. 87 del 12 luglio 2018, tante sono le novità apportate da parte del Decreto dignità alle regole in materia di lavoro. Tra queste rivestono un peso estremamente importante sicuramente le modifiche apportate al contratto a tempo determinato: infatti, già nella sua versione iniziale, tale Decreto comportava la diminuzione del termine massimo del contratto a tempo determinato, fissato in 24 mesi piuttosto che ai 36 mesi iniziali, oltre che il criterio – non nuovo nel nostro ordinamento – della causalità del contratto a tempo determinato. Ciò significa che il contratto di lavoro a termine con il Decreto dignità, anche nella sua versione modificata dalla Legge di conversione, comporterà un limite massimo per il contratto di lavoro a tempo determinato di 24 mesi, che verranno scanditi in due diversi periodi:

  • fino ai primi 12 mesi di contratto non sarà necessario inserire una causale al contratto di lavoro a tempo determinato;
  • in caso di superamento dei dodici mesi, ovvero in caso di proroghe e rinnovi, l’instaurazione del contratto di lavoro a tempo determinato, sempre nel limite massimo di 24 mesi totali – sarà possibile solo in caso di sussistenza di una delle seguenti condizioni:
    1. esigenze temporanee e oggettive, che siano estranee all’ordinaria attività, ovvero ancora esigenze specifiche di sostituzione di altri lavoratori;
    2. esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi, e comunque non programmabili, dell’attività ordinaria dell’azienda.

In caso di stipula di un contratto di durata superiore a 12 mesi in assenza delle causali, tale contratto si trasformerà in contratto a tempo indeterminato, ma solamente dalla data di superamento del termine dei dodici mesi e non fin dall’origine (modifica introdotta durante l’iter di conversione).

Tra le altre modifiche al contratto a tempo determinato è da ricordare che:

  1. diminuisce il numero delle proroghe del contratto a tempo determinato, che si riduce da 5 a 4. Il contratto a termine può essere rinnovato solamente in presenza di una delle causali individuate dal comma 1 dell’articolo 19 (citate sopra) e le proroghe massime sono così diventate 4 piuttosto che 5, nell’ambito di 24 mesi, non più nell’ambito di 36 mesi. Di conseguenza all’atto del superamento delle 4 proroghe, il contratto di lavoro si intenderà dal momento della quinta proroga, a tempo indeterminato;
  2. si ha un prolungamento del termine per l’impugnazione del contratto a tempo determinato, che aumenta da 120 a 180 giorni; tale termine maggiore dovrebbe permettere un migliore accertamento della veridicità delle causali, anche se il tema ha recato numerosi dibattiti in relazione all’aumento delle controversie in materia di lavoro e all’incapacità di avere regole e definizioni chiare con riferimento alle causali da apporre ai contratti, con l’eventuale rischio di un susseguirsi di contratti a tempo determinato fino a 12 mesi con diversi lavoratori, rimanendo così “esenti” dal rischio di dover giustificare le assunzioni con specifiche causali che potrebbero essere poi smontate in fase di giudizio;
  3. aumenta il contributo addizionale di cui all’articolo 2, commi 28 e 29 della L. n. 92/2012 in caso di rinnovo dopo il primo contratto, che è pari allo 0,5%; premettendo che tale maggiorazione non riguarda i rapporti a tempo determinato nel settore domestico (ai sensi di quanto chiarito da parte delle modifiche apportate con la Legge di conversione), si segnala che esso è un contributo a carico dei datori di lavoro, pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali: esso ha l’obiettivo di contribuire al finanziamento della NASPI. Tale contributo dell’1,40%, con la previsione di cui all’articolo 3, comma 2, D.L. n. 87/2018 è stato aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, compreso il caso della somministrazione, ma ad esclusione dei contratti di lavoro domestico.

È bene accennare al fatto che la Legge di conversione prevede una sorta di regime transitorio durante il quale particolari saranno le regole da seguire con riferimento all’instaurazione di contratti a tempo determinato: in sostanza dovrebbe generarsi una sorta di regime formato da quattro diversi archi temporali, in cui varranno regole diverse: su tale argomento è necessario però rimandare ai (quanto mai) auspicabili chiarimenti esplicativi da parte di INPS e Ministero del Lavoro.

Contratti stagionali

Una nota merita la gestione dei contratti di lavoro stagionali, in quanto è stata confermata la acausalità per tale tipologia di contratto: il nuovo comma 01 dell’articolo 21, D.Lgs. n. 81/2015, secondo quanto previsto dal D.L. n. 87/2018 convertito con modifiche dalla durante l’iter di conversione, prevede che i contratti stagionali possano essere rinnovati o prorogati anche in assenza di ragioni giustificatrici. Tali soggetti così non hanno come limite massimo quello dei 24 mesi di rapporto di lavoro.

Il contratto di lavoro deve inoltre risultare da atto scritto, ad eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni; il testo nella sua versione convertita ha previsto la possibilità di provare l’esistenza del termine documentandolo con qualsiasi riferimento diretto o indiretto, e dovrà necessariamente essere in forma scritta anche per i rapporti di lavoro legati alle attività stagionali. Resta fermo che copia del contratto di lavoro dovrà essere consegnata al dipendente entro i 5 giorni lavorativi successivi all’assunzione.

Esonero contributivo per l’assunzione di giovani

Un altro dei temi fondamentali trattati con la conversione del Decreto dignità (assente nel D.L. n. 87/2018) è sicuramente l’esonero contributivo per favorire l’occupazione giovanile: sono state così introdotte disposizioni che prolungano al 2019 e al 2020 le agevolazioni contributive inizialmente previste dai commi 100 e ss. dell’articolo 1, L. n. 205/2017, che diventano strutturali per i giovani fino a 30 anni, e per il 2018 anche per i soggetti che non hanno superato i 35 anni di età. La norma rinvia però ad un Decreto che dovrà essere emanato di concerto tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero dell’Economia, i quali dovranno provvedere entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione (12 agosto 2018).

Vediamo i tratti salienti dello sgravio contributivo:

  1. l’assunzione dovrà essere a tempo indeterminato a tutele crescenti, con un esplicito richiamo al D.Lgs. n. 23/2015;
  2. il beneficio sarà previsto per un massimo di 36 mesi;
  3. consiste nell’esonero dal versamento del 50% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, ad esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 3000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile.

Essa spetta ai datori di lavoro che assumono lavoratori con un’età inferiore a 35 anni che non siano mai stati occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso o con altro datore di lavoro, ad eccezione dei periodi apprendistato svolti presso un differente datore di lavoro, i quali non si siano in seguito trasformati in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il controllo sulla precedente instaurazione di contratti di lavoro a tempo indeterminato comunque potrà sempre essere effettuato tramite il sistema informativo INPS che già dà questa possibilità in relazione al bonus previsto dalla L. n. 205/2017.

Somministrazione di lavoro

Modifiche intervengono anche con riferimento alla somministrazione di lavoro: su tale tema è stata introdotta una percentuale di utilizzazione dei somministrati, affermando che – fermo restando il limite legale del 20% relativo al contratti a tempo determinato – il numero dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione a tempo determinato non potrà superare complessivamente il 30% del numero dei lavoratori in forza a tempo indeterminato presso l’utilizzatore alla data del primo gennaio dell’anno al quale si riferisce la stipula, con un arrotondamento all’unità superiore se il decimale è pari o superiore allo 0,5. Qualora l’attività sia poi iniziata in corso d’anno, il limite sarà calcolato al momento della stipula del contratto di somministrazione. Vengono ritenuti esenti dal limite quantitativo i lavoratori in mobilità, i soggetti disoccupati che fruiscono del trattamento di disoccupazione NASPI, i soggetti che godono di interventi integrativi salariali da almeno sei mesi, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

Prest.O con modifiche

Tra gli altri temi affrontati dal Decreto dignità nella versione convertita dopo il dibattito parlamentare merita certamente un cenno il lavoro occasionale: in particolare, novità sono state introdotte durante l’iter di conversione alle prestazioni occasionali in agricoltura e nel settore turismo.

Più nel dettaglio con tale correttivo le aziende alberghiere e le strutture ricettive operanti nel settore del turismo potranno utilizzare le prestazioni lavorative di:

  • giovani con meno di 25 anni di età regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado ovvero un ciclo di studi universitario;
  • soggetti titolari di pensione di vecchiaia o invalidità;
  • disoccupati;
  • percettori di prestazioni integrative del salario;
  • percettori di reddito di inclusione;
  • percettori di altre prestazioni di sostegno al reddito.

Il committente potrà così avvalersi del contratto di prestazione occasionale purché non abbia alle proprie dipendenze più di 8 lavoratori anziché 5 come per la generalità degli utilizzatori.

Con riferimento al settore agricolo la prestazione potrà essere comunicata entro un arco temporale non superiore a 10 giorni.

Aumento dell’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo

Il Decreto Dignità ha poi modificato anche il tema riguardante l’indennità risarcitoria in caso di licenziamenti illegittimi, la quale diviene più gravosa nei confronti dei datori di lavoro per i quali si sia accertato in giudizio che il licenziamento da essi comminato fosse illegittimo. Aumenta così l’indennità risarcitoria nei confronti dei licenziamenti qualora il licenziamento in questione sia risultato illegittimo a seguito di pronuncia del giudice, passando da una misura minima non inferiore a sei mensilità fino ad un massimo risarcibile di trentasei mensilità.

È stato però previsto in sede di conversione anche l’aumento della mensilità previste per l’offerta di conciliazione di cui all’articolo 6, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015.

Antonella Madia

23 agosto 2018