Sono pienamente utilizzabili le prove acquisite dal pubblico ministero riferite all’esito di intercettazioni telefoniche dell’utenza del commercialista che consiglia operazioni illecite al suo cliente. La cura degli interessi patrimoniali del cliente non si configura qualora il consulente prospetta le “soluzioni” per il trasferimento del denaro all’estero derivante da redditi non dichiarati
Sono pienamente utilizzabili le prove acquisite dal pubblico ministero riferite all’esito di intercettazioni telefoniche dell’utenza del commercialista che consiglia operazioni illecite al suo cliente.
La cura degli interessi patrimoniali del cliente non si configura qualora il consulente prospetta le “soluzioni” per il trasferimento del denaro all’estero derivante da redditi non dichiarati. Sono questi alcuni dei principi espressi dai Giudici della III sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1288, depositata il 26 marzo 2018.
Ambito normativo
Come noto, l’art. 11, D.lgs. 10.03.2000, n. 74, punisce la sottrazione fraudolenta al pagamento dei debiti tributari riferiti ad imposte dirette ed iva. Recita il testo normativo “… Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad € 51.546,00, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva…”.
L’ipotesi di reato penale si configura qualora questi atti sono posti in essere da un contribuente nei confronti del quale sia già stata avviata una procedura di accertamento delle imposte: in tale circostanze, se i suggerimenti vengono forniti dal consulente – ideatore del sistema di frode –