La Cassazione fa venir meno le presunzioni fiscali nell’edilizia?

commento ad una recente sentenza della Cassazione che valuta in modo innovativo le presunzioni utilizzate dal Fisco per gli accertamenti immobiliari; gli indizi di anomalie storicamente analizzati sono: prezzi presenti nei preliminari più alti rispetto a quelli indicati in atti e mutuo erogato agli acquirenti superiore al prezzo indicato in atto

Con l’ordinanza n.26286 del 6 novembre 2017, la Corte di Cassazione sembra demolire alcune delle più rilevanti presunzioni operanti negli accertamenti che investono il mondo dell’edilizia.

Il fatto

La CTR della Toscana ha accolto l’appello proposto da una società di capitali avverso la sentenza di primo grado della CTP di Pisa, che aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRES, IVA ed IRAP, relativamente all’anno d’imposta 2005.

Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi:
1) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, laddove il giudice di merito ha ritenuto nella fattispecie in esame non fondato l’accertamento presuntivo analitico — induttivo nei confronti della società di costruzione. L’Amministrazione finanziaria, in particolare, si duole al riguardo dell’affermazione resa dalla sentenza impugnata secondo cui esiste l’astratta possibilità che il prezzo convenuto in preliminare sia difforme da quello poi indicato nel contratto definitivo a causa di fatti sopravvenuti;
2) nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione, laddove la CTR, denegando valore probatorio agli elementi presuntivi addotti dall’Ufficio, ha affermato che i mutui concessi dalla banche e le perizie effettuate per conto delle medesime al fine di stabilire il valore di un alloggio non avrebbero valore probatorio in quanto «le banche prima della crisi erano di manica larga»;
3) nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. laddove con la censurata affermazione la pronuncia impugnata abbia inteso richiamare un fatto “notorio”, poiché, così procedendo, il giudice di merito avrebbe posto a base della decisione impugnata una nozione di fatto notorio difforme da quella prevista dall’art. 115, comma 2, c.p.c. e comunemente interpretata.

Per la Corte il primo motivo è inammissibile. “Nel caso di specie l’elemento noto da cui muovere ai fini del ragionamento inferenziale è costituito dalla differenza, al ribasso, rispetto al prezzo, del prezzo definitivo rispetto a quello dei rispettivi preliminari, riscontrata in tre su quattro operazioni di compravendita precedute appunto da preliminare sulle nove compiute nell’anno di verifica”.

Detto fatto storico è stato esaminato dalla sentenza impugnata, che lo ha ritenuto insufficiente a legittimare la conclusione dell’Ufficio, avendo la CTR affermato che «per i contratti cui viene fatto riferimento al compromesso, si deve tener conto del fatto che, di norma, questo atto preliminare viene redatto e sottoscritto su progetto o quando ancora il manufatto è ancora allo stato grezzo, quindi vengono inserite delle opzioni, che poi potrebbero essere lasciate cadere di comune accordo», proseguendo quindi la pronuncia nella disamina delle condizioni che possono giustificare siffatta divergenza.

Il secondo ed il terzo motivo – congiuntamente esaminati – per la Corte sono infondati. “In primo luogo, riguardo al secondo motivo, deve precisarsi che l’anomalia motivazionale talmente grave da giustificare la prospettazione del vizio in termini di violazione di legge costituzionalmente rilevante deve riguardare la sentenza nel suo (unitario) percorso logico — giuridico, nel senso cioè che non sia riconoscibile la ratio decidendi sottesa alla pronuncia del giudice di merito (oltre alla già citata Cass. n. 8053/2014, si vedano ancora le ulteriori pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte 5 agosto 2016, n.16599 e 22 settembre 2014, n. 19881). Non è corretto, pertanto, ai fini della prospettazione del vizio, estrapolare dal contesto motivazionale della pronuncia impugnata, che fa riferimento, come si è visto, ad una serie di circostanze, un’unica affermazione, indubbiamente manifestata sul piano prettamente linguistico in forma discutibile, ma non priva in sé di valenza che, nel contesto degli ulteriori elementi presi in considerazione dal giudice tributario d’appello, faccia comprendere la ratio decidendi quanto al diniego dell’effettiva valenza presuntiva dei fatti addotti dall’Ufficio al fine di supportare i maggiori ricavi determinati con l’accertamento induttivo”.

Né la critica coglie nel segno in relazione al terzo motivo, “sia per il carattere in sé non decisivo del preteso fatto notorio ai fini della decisione assunta, sia perché è da escludersi che la relativa statuizione della CTR sia riconducibile ad opinioni sociologiche meramente soggettive, atteso che la pronuncia impugnata si è limitata in proposito ad evidenziare un dato di fatto largamente condiviso nell’esperienza comune, secondo cui l’erogazione dei finanziamenti immobiliari, prima della crisi economica del sistema bancario derivata dalla crisi dei Subprimes negli USA (2007-2008) di cui tuttora si risentono le conseguenze, fosse più agevole, nel 2005, anno dell’accertamento per cui è causa, di quanto non lo sia stato successivamente”.

Brevi note

La sentenza che si annota appare sicuramente particolare e per molti versi difforme da precedenti pronunce che investivano lo stesso settore edilizio, e fondate sui medesimi indizi presuntivi: prezzi presenti nei preliminari più alti rispetto a quelli indicati in atti e mutuo erogato agli acquirenti superiore al prezzo indicato in atto.

Nel controllo documentale su una impresa di costruzioni spesso emergono elementi incongruenti:
– omogeneità dei prezzi di vendita nei confronti delle persone fisiche, indipendentemente dalla superficie degli immobili;
– diversità di prezzi a secondo che l’appartamento venga venduto ad una persona fisica o ad una società;
– divergenza tra i corrispettivi di compravendita e l’importo dei mutui richiesti da taluni soggetti privati;
– prezzi indicati nelle inserzioni pubblicitarie notevolmente più alti rispetto a quelli dichiarati in atto.

Sul punto specifico rileviamo che secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 3092 del 26 luglio 2012) è legittima la rettifica dei ricavi dell’impresa di costruzioni che non fornisce adeguate spiegazioni sulle differenze di prezzi di vendita degli immobili fra quelli pubblicizzati e quelli contabilizzati. Nel caso di specie, l’Amministrazione Finanziaria contestava una sottofatturazione nelle vendite. In sede di controllo sostanziale erano infatti emerse numerose incongruenze, tra cui l’evidente differenza tra i prezzi di vendita pubblicizzati dalla società su una rivista specializzata e quelli desumibili sulla scorta dell’esame della contabilità, ed in particolare delle fatture emesse. Inoltre, un appartamento incluso in una villa bifamiliare risultava venduto a un prezzo superiore rispetto a quello applicato per una villa unifamiliare. La Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento emesso, affermando, fra l’altro, che “la società non ha dato nessuna convincente spiegazione circa le modalità di determinazione dei prezzi di vendita degli appartamenti, mentre la ricostruzione dei prezzi praticata dall’Ufficio è stata ritenuta attendibile, in quanto basata sul confronto non solo tra prezzi di vendita praticati dalla società tra tipologie omogenee di unità vendute ma anche tra prezzi di vendita praticati dalla parte e prezzi di mercato indicati da riviste del settore, così accertando ricavi non contabilizzati per un ammontare di oltre un milione di euro”.

Ed ancora ricordiamo che con la sentenza n. 5822 del 13 aprile 2012 (ud. 25 gennaio 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la ricostruzione operata dai giudici di appello che hanno puntualmente e logicamente motivato, indicando i vari elementi caratterizzanti l’accertata attività, valorizzando “oltre alle finalità esternate nell’atto di compravendita dell’immobile, il codice di attività denunciato, le emblematiche indicazioni contenute nel progetto di ristrutturazione presentato al Comune di Altamura, le indicazioni contenute nelle fatture relative ai lavori effettuati nell’immobile, la pubblicità promozionale inserita su Internet”.

E secondo la sentenza della Cassazione n. 26485/2016 le quotazioni dell’OMI, se corroborati dal mutuo erogato all’acquirente in misura maggiore rispetto al prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile, legittimano l’accertamento tributario; cosi come, viceversa, il mutuo erogato all’acquirente in misura maggiore rispetto al prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile, se corroborato dalle quotazioni OMI, o comunque da altri elementi, legittima l’accertamento (cfr. Cass. sent.n.5190/2017).
E ancora, con la sentenza n.11871 del 12 maggio 2017 la Corte prende atto che  “la CTR non esamina alcuno degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione, e non spiega le ragioni del rigetto, se non in modo assertivo, senza illustrare perché ne abbia escluso la rilevanza, laddove avrebbe dovuto esaminarli nel loro complesso, oltre che partitamente, ed esporre quale sia stato lo sviluppo logico giuridico della propria statuizione e gli elementi di fatto sui quali si sia fondata, debitamente comparandoli con quanto esposto dall’Ufficio. In realtà la CTR, sostanzialmente, si limita ad aderire alle prospettazioni della società e supporta la propria decisione sulla scorta di una asserita carenza di liquidità e di una generica libertà di contrattazione del prezzo, posta a giustificazione di un prezzo di vendita inferiore a quello di mercato, oltre su una differenza delle superfici accertate dall’Agenzia, senza nemmeno esplicitare sulla base di quali elementi di fatto sia pervenuta a tale convinzione”.

Così come particolarmente interessante appare il caso sottoposto ai massimi giudici nella sentenza n.13051 del 24 maggio 2017 (il valore di circa venti cessioni di fabbricati risultava nettamente inferiore al valore normale, e per una delle vendite il prezzo dichiarato era inferiore al mutuo ipotecario richiesto dall’acquirente). Osserva la Corte che, “la C.T.R. ha confermato i valori, come accertati dal primo giudice e conformi ai criteri propri della convenzione stipulata fra il costruttore e il Comune di …., sulla base di un complesso di elementi presuntivi, non superati da idonea prova contraria da parte del contribuente. In particolare: la mancata produzione di elementi concreti, atti a determinare il prezzo massimo per singolo immobile in relazione alla tipologia di edilizia residenziale convenzionata; l’ininfluenza delle argomentazioni, generiche e contrastanti con le risultanze della perizia di stima giurata, effettuate dal tecnico di parte, che ha valutato gli immobili proprio tenendo conto dei criteri indicati nella convenzione”.

E da ultimo, la discordanza tra il dichiarato in atto e quanto richiesto a titolo di mutuo è stata oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.20378 del 24 agosto 2017. Osservano i massimi giudici, “anche a voler escludere ogni rilevanza ai valori OMI, a fondare l’accertamento sarebbe stato comunque sufficiente lo scostamento tra mutuo erogato all’acquirente e prezzo dichiarato ciò non comportando violazione alcuna delle disposizioni civilistiche in materia di prova presuntiva (Cass. 26487-26485/2016). Vi erano poi anche ulteriori elementi indiziari (evidenziati in ricorso dall’agenzia delle Entrate: promesse di vendite stipulate con promissari acquirenti)”.

5 dicembre 2017

Gianfranco Antico