La cessione di azienda con riserva della proprietà

un intervento di 9 pagine dedicato al particolare caso della cessione di azienda con riserva di proprietà: l’acquirente diviene proprietario solo all’atto del pagamento dell’ultima rata del prezzo

La cessione d’azienda può non riguardare la totalità dei beni e dei rapporti economico-giuridici organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, purché il complesso di attività cedute sia tale da potersi configurare come cessione di complesso aziendale relativo a singoli rami di impresa.

L’operazione di cessione d’azienda si caratterizza per:

  • l’onerosità della transazione, ossia la pattuizione di un corrispettivo dovuto dal cessionario;

  • il trasferimento a titolo definitivo della proprietà dell’azienda.

L’ipotesi tipica di cessione a titolo oneroso è rappresentata dalla compravendita, ma in tale fattispecie rientrano anche le permute (nelle quali il corrispettivo di cessione è in tutto o in parte costituito da un altro bene o da un servizio) e i conferimenti (nelle quali il corrispettivo è costituito da partecipazioni al capitale della società conferitaria dell’azienda).

Una recente risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, qui commentata, prende in considerazione la particolare casistica del contratto di cessione d’azienda con riserva di proprietà, che si risolve per inadempimento dell’acquirente.

In tale ipotesi, secondo l’Agenzia, è necessario attribuire all’azienda riconsegnata un valore pari al valore normale dei beni che la compongono e stornare il valore residuo del credito (derivante dalla cessione iniziale) per un importo pari al valore dell’azienda riconsegnata. Se il valore dell’azienda è inferiore al valore residuo del credito, la differenza costituisce una perdita su crediti deducibile ai fini. L’eventuale riduzione dell’indennità disposta dal giudice è invece assimilabile ad una rideterminazione del prezzo della cessione iniziale, che fiscalmente costituisce una sopravvenienza passiva deducibile.

Questioni fiscali

La cessione d’azienda a titolo oneroso rappresenta una fattispecie imponibile ai fini delle imposte sul reddito, dato che con essa i beni soggetti al regime del reddito di impresa fuoriescono dalla sfera giuridica del cedente, rendendo imponibili gli eventuali plusvalori latenti.

Con la cessione a titolo oneroso dell’azienda, il cedente realizza infatti un componente reddituale positivo (plusvalenza), o anche negativo (minusvalenza), fatta eccezione per i casi in cui venga ceduta l’unica azienda dell’imprenditore individuale, ovvero un’azienda pervenuta al cedente a titolo gratuito, mortis causa o per donazione da familiare, in assenza di esercizio di impresa da parte del cedente nel lasso di tempo intercorrente tra l’acquisizione a titolo gratuito e la cessione a titolo oneroso.

La cessione d’azienda può anche avvenire secondo la particolare formula della riserva di proprietà, che sotto il profilo civilistico, come si vedrà, prevede il trasferimento del bene in conseguenza dell’integrale pagamento del prezzo.

Il caso

Nell’ipotesi esaminata dall’Agenzia delle Entrate in sede di interpello ordinario, che è oggetto della risoluzione n. 91/E del 13.10.2016, è presa in considerazione una fattispecie relativa alla cessione di un’azienda (nel 2009) da parte della società istante a una società acquirente che successivamente (2013) aveva posto in essere una trasformazione regressiva da S.r.l. a S.a.s.


Tale trasformazione si era resa necessaria a seguito della riduzione del capitale della società al di sotto del minimo legale (art. 2482-ter c.c.).

 

In tale situazione, il ritardo nel pagamento di alcune delle rate alle scadenze previste avevano indotto la società istante a valutare lo scenario che si sarebbe potuto prospettare se il ritardo si fosse tradotto in un mancato pagamento di due rate – anche non consecutive – del prezzo pattuito.

Ciò avrebbe determinato la possibilità di far valere la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile, ovvero il provvedimento d’urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile, come contratto di compravendita.

Al riguardo, veniva chiesto all’Agenzia (tra gli altri quesiti) quale fosse il corretto trattamento per il credito ancora da incassare nei confronti della società acquirente, nonché quale fosse l’orientamento dell’Agenzia stessa in materia di responsabilità solidale per gli eventuali debiti fiscali contratti dall’acquirente.

Il momento in cui rileva il trasferimento

Nel rispondere, l’Agenzia richiama il codice civile (art. 1523), secondo il quale, nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna.

La compravendita con riserva della proprietà è altresì disciplinata, quanto agli effetti contabili, dal principio contabile OIC 13 sulle rimanenze (nelle quali i beni sono normalmente inclusi quando si verifica il passaggio del titolo di proprietà), nonché dal principio OIC 16 sulle immobilizzazioni materiali (la rilevazione iniziale dell’immobilizzazione materiale avviene nel momento in cui sono assunti sostanzialmente tutti i rischi connessi alla sua acquisizione) e dal principio OIC 19 sui debiti (se il titolo di proprietà è trattenuto dal venditore per ragioni di garanzia, come nel caso di vendita con patto di riservato dominio, il debito è iscritto in bilancio in quanto di solito in tali casi rischi, oneri e benefici significativi connessi alla proprietà sono stati trasferiti all’acquirente).

Ai fini della contabilizzazione, quindi, i principi contabili danno rilevanza non al momento del formale trasferimento della proprietà (pagamento dell’ultima rata), bensì a quello (anteriore) del trasferimento dei rischi e dei benefici.

Coerentemente con tale impostazione, le disposizioni fiscali, consistenti essenzialmente nell’art. 109, comma 2, lett. a), del TUIR, prevedono che i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o della spedizione per i beni mobili, e alla data della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale, senza tener conto delle clausole di riserva della proprietà.

Sulla base di tale ricostruzione, si evince che il momento di rilevanza fiscale del trasferimento coincide con la conclusione del negozio (e non al verificarsi dell’effetto traslativo, differito a mero scopo di garanzia).

Secondo l’Agenzia, che riafferma quanto precedentemente rilevato nella risoluzione n. 338/E del 1° agosto 2008, il legislatore ha ritenuto di dare tale sistemazione fiscale alla questione per evitare i possibili comportamenti elusivi dei contribuenti, giacché mediante la stipula di un contratto siffatto il momento del «realizzo» (con l’emersione della plusvalenza imponibile) avrebbe potuto essere posticipato al momento del successivo trasferimento formale della proprietà, al termine della durata del contratto di locazione.

L’irrilevanza della riserva di proprietà

Come precisato nella circolare n. 41/E del 13 maggio 2002 in materia di detassazione del reddito d’impresa (Tremonti-bis), il contratto di vendita con riserva di proprietà si caratterizza per il fatto che la proprietà si trasferisce con il pagamento dell’ultima rata di prezzo da parte dell’acquirente; fin dalla conclusione del contratto, tuttavia, gravano su quest’ultimo i rischi ed oneri, non solo di manutenzione e riparazione, ma anche fiscali, relativi al bene. Infatti, all’acquirente spettano immediatamente le facoltà e i poteri, di diritto sostanziale e processuale, caratterizzanti il diritto di proprietà.

La predetta circolare n. 41/E ha sostanzialmente equiparato la risoluzione della compravendita con riserva di proprietà per inadempimento del compratore e la cessione del bene.

Esiste pertanto un disallineamento tra la disciplina civilistica (secondo la quale il trasferimento della proprietà avviene con il pagamento dell’ultima rata) e quella fiscale (che fa produrre i relativi effetti a partire dal momento della stipulazione dell’atto di vendita).

Il ritrasferimento della proprietà fiscale

Alla luce di tali considerazioni, afferma l’Agenzia che l’eventuale risoluzione del contratto per inadempimento (mancato pagamento, da parte dell’acquirente, di almeno due rate di prezzo della compravendita) produrrebbe un ritrasferimento della proprietà fiscale dell’azienda all’originaria cedente. In sostanza, si verificherebbe un nuovo evento realizzativo (cessione d’azienda) di segno contrario rispetto a quello verificatosi a seguito della stipula del contratto di compravendita nel 2009.

Ciò porta l’Agenzia a concludere che, nel momento dell’eventuale riconsegna del complesso aziendale, conseguente all’esercizio della clausola risolutiva espressa o al provvedimento d’urgenza, la società istante dovrà:

  1. attribuire all’azienda riconsegnata un valore pari al valore normale dei beni che la compongono;

  2. stornare il valore residuo del credito (derivante dalla cessione del 2009) per un importo pari al valore dell’azienda riconsegnata.

Quindi:

  • se il valore dell’azienda sarà inferiore al valore residuo del credito, la differenza costituirà una perdita su crediti deducibile ai fini IRES ai sensi dell’art. 101 del TUIR, e indeducibile ai fini IRAP in quanto relativa ad un fenomeno non rilevante per la determinazione del valore della produzione netta;

  • se invece il valore dell’azienda sarà superiore al valore residuo del credito, emergerà una sopravvenienza attiva concorrente alla formazione della base imponibile ai fini IRES ai sensi dell’art. 88 del TUIR e irrilevante ai fini IRAP.

La riduzione dell’indennità

In base all’art. 1526 del c.c., il giudice ha il potere di ridurre l’indennità convenuta tra le parti per l’ipotesi di risoluzione del contratto. Tale riduzione, secondo l’Agenzia, è assimilabile ad una rideterminazione del prezzo originariamente convenuto.

Giacché questo prezzo rideterminato” assume rilevanza nella determinazione della plus o minusvalenza IRES derivante dalla cessione d’azienda, l’importo relativo alla eventuale riduzione dell’indennità costituisce per l’istante una sopravvenienza passiva deducibile ai sensi dell’art. 101 del TUIR. Anche tale sopravvenienza risulterà indeducibile ai fini IRAP, in quanto correlata ad un componente reddituale (plus / minusvalenza) che non ha assunto rilevanza nella determinazione della base imponibile di periodi di imposta precedenti.

Il rapporto di solidarietà

Secondo le disposizioni relative alle sanzioni tributarie amministrative (art. 14, D.Lgs. n. 472/1997), il cessionario è “responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

Queste disposizioni si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, compreso il conferimento.

Con riferimento alla cessione di azienda con riserva di proprietà, la Cassazione, con ordinanza n. 11972 del 9.6.2015, ha chiarito che il cessionario resta responsabile in solido per i debiti fiscali contratti dal cedente prima della cessione anche nell’ipotesi in cui il contratto venga risolto e l’azienda torni nella proprietà del cedente.

In campo tributario opera infatti una disciplina speciale rispetto a quella civilistica (Cass., sentenza n. 5979/2014).

Il ritrasferimento dell’azienda

Alla luce di tutte le considerazioni riportate sopra sull’irrilevanza fiscale della disciplina della vendita con riserva di proprietà e sugli ulteriori aspetti tributari della fattispecie, secondo l’Agenzia la restituzione dell’azienda alla cedente si qualificava fiscalmente come ulteriore trasferimento del complesso aziendale, in coerenza con l’indirizzo interpretativo della Suprema Corte si ritiene che la ratio antielusiva della norma recata dall’articolo 14 comporti la responsabilità solidale dei soggetti interessati.

La risoluzione del contratto è disciplinata, ai fini dell’imposta di registro, dall’art. 28 del D.P.R. n. 131/1986 (TUR), il cui comma 1 stabilisce che la risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso.

Se per la risoluzione è previsto un corrispettivo, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6, o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa”.

Quindi, in assenza di corrispettivo per la risoluzione del contratto, risulterà applicabile l’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro.

Per quanto concerne, invece, il trattamento applicabile, ai fini dell’imposta di registro, ai provvedimenti cautelari di cui all’art. 700 del codice di procedura civile, l’Agenzia osserva che tali provvedimenti, come pure le sentenze, vanno registrate in termine fisso, qualora abbiano contenuto definitorio analogo a quello riferibile alle fattispecie elencate nell’articolo 8 della Tariffa, parte I, allegata al TUR.

30 ottobre 2017

Fabio Carrirolo