la cessione di licenza di taxi equivale a una cessione di azienda, con tutte le consguenze fiscali che comporta: approfondiamo insieme l'emersione di plusvalenze o minusvalenze, la definizione del valore di carico fiscale, la gestione dell'imposta di registro...
Nell’art. 2555 codice civile, l’azienda è definita come il “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.
Gli elementi centrali nella definizione del concetto di azienda sono costituiti:
- dal requisito dell’organizzazione dei beni, ossia il collegamento funzionale fra i beni di un complesso produttivo unitario;
- dal requisito della strumentalità per l’esercizio dell’impresa, nel senso che se è configurabile un’impresa senza azienda, non appare invece possibile parlare di azienda al di fuori di un contesto di tipo imprenditoriale.
In linea generale, la cessione dell’azienda è caratterizzata da:
- onerosità della transazione (pattuizione di un corrispettivo dovuto dal cessionario);
- trasferimento a titolo definitivo della proprietà dell’azienda.
In base a quanto affermato dalla Cass. nella sentenza n. 23143 del 4.10.2017, il trasferimento della licenza per l’esercizio dell’attività di taxi si configura come una cessione d'azienda, generatrice di plusvalenze imponibili ai fini dell'IRPEF.
La Cassazione ha affermato che la licenza taxi deve ritenersi un bene strumentale di natura immateriale, che attua la “cartolarizzazione” dell'azienda (del tassista-imprenditore), diventando presupposto strutturale ed elemento qualificante dell'esercizio dell'attività
Tale cessione, inserita in un contesto caratterizzato dal limitato numero di licenze rilasciate dai Comuni e riguardando un bene essenziale all'esercizio dell'attività imprenditoriale, deve ritenersi onerosa, in quanto rientrante tra i beni relativi all'impresa.
Caratteri della cessione d’azienda
La cessione d’azienda può non riguardare la totalità dei beni e dei rapporti economico-giuridici organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, purché il complesso di attività cedute sia tale da potersi configurare come cessione di complesso aziendale relativo a singoli rami di impresa.
L’ipotesi tipica di cessione a titolo oneroso è rappresentata dalla compravendita, ma in tale fattispecie rientrano anche le permute (nelle quali il corrispettivo di cessione è in tutto o in parte costituito da un altro bene o da un servizio) e i conferimenti (nelle quali il corrispettivo è costituito da partecipazioni al capitale della società conferitaria dell’azienda).
Sotto il profilo tributario, la cessione di azienda a titolo oneroso rappresenta una fattispecie imponibile ai fini delle imposte sul reddito, dato che con essa i beni soggetti al regime del reddito di impresa fuoriescono dalla sfera giuridica del cedente, rendendo imponibili gli eventuali plusvalori latenti.
Con la cessione a titolo oneroso dell’azienda, il cedente realizza infatti un componente reddituale positivo (plusvalenza), o anche negativo (minusvalenza), fatta eccezione per i casi in cui venga ceduta l’unica azienda dell’imprenditore individuale, ovvero un’azienda pervenuta al cedente a titolo gratuito, mortis causa o per donazione da familiare, in assenza di esercizio di impresa da parte del cedente nel lasso di tempo intercorrente tra l’acquisizione a titolo gratuito e la cessione a titolo oneroso.
La cessione d’azienda può anche avvenire secondo la particolare formula della riserva di proprietà, che sotto il profilo civilistico, come si vedrà, prevede il trasferimento del bene in conseguenza dell’integrale pagamento del prezzo.
Plus e minusvalenze
Con la cessione a titolo oneroso dell’azienda, il cedente realizza un componente reddituale positivo (plusvalenza), ovvero negativo (minusvalenza) nell’ambito del reddito di impresa, fatta eccezione per i casi in cui sia ceduta l’unica azienda dell’imprenditore individuale, ovvero un’azienda pervenuta al cedente a titolo gratuito, mortis causa o per donazione da familiare.
La plusvalenza da cessione dell’azienda a titolo oneroso, che trova le proprie regole fiscali, ai fini delle imposte sui redditi, nell’art. 86, c. 2, del TUIR, è pari alla differenza tra il corrispettivo pattuito al netto degli oneri accessori di diretta imputazione e il costo non ammortizzato dei beni costituenti l’azienda.
La plusvalenza non deve essere riferita ai singoli beni che compongono l’azienda ceduta, ma determinata unitariamente (la C.M. 21.3.1980, n. 9/9/252 ha precisato che le eventuali minusvalenze non sono separatamente deducibili dai redditi della società cedente, ma concorrono come voci negative nella sommatoria che porta alla determinazione della plusvalenza unitaria).
Per quanto attiene al momento impositivo, nell’ambito del reddito di impresa opera il principio di competenza, di cui all’art. 109, c. 2, lett. a, TUIR stabilisce che, con riferimento alle cessioni aventi per oggetto complessi aziendali, il presupposto imponibile si considera integrato:
- alla data di stipulazione dell’atto;
- oppure, se successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale, fermo restando che non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà.
La relativa plusvalenza (art. 86, c. 2, TUIR) può essere determinata attraverso l’individuazione di due termini di confronto:
- il corrispettivo;
- il costo non ammortizzato.
Il concorso al reddito avviene nell’esercizio di competenza, a norma dell’art. 109, c. 2, del TUIR, senza che rilevi la circostanza che il corrispettivo della cessione sia regolato in un'unica soluzione o in forma rateale; la determinazione della plusvalenza tassata o della minusvalenza deducibile devono fare comunque riferimento all’intero corrispettivo indicato nel contratto.
Redditi diversi
In determinati casi, la cessione d’azienda produce plusvalenze imponibili come redditi diversi, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. h e h-bis, TUIR; le ipotesi considerate sono le seguenti:
- cessione dell’unica azienda precedentemente data in affitto o in usufrutto;
- cessione dell’azienda ricevuta per successione o per donazione da familiari.
Nel caso dell’unica azienda dell’imprenditore individuale che in precedenza fosse stata da questi concessa in affitto o in usufrutto a terzi, la produzione di redditi diversi, anziché di impresa, appare giustificata dalla circostanza che la persona fisica ha perso la qualifica di imprenditore fin dal momento in cui affitta o concede in usufrutto l’unica azienda di cui è titolare.
Nell’altra ipotesi sopra individuata (cessione di azienda ricevuta per successione o donazione), la produzione di redditi diversi è subordinata al mancato esercizio dell’impresa (per mezzo dell’azienda ricevuta a titolo gratuito) nell’arco temporale compreso tra l’acquisto a titolo gratuito e la cessione a titolo oneroso.
Quanto al momento impositivo, si rammenta che, per i redditi diversi, opera in linea generale il principio di cassa (per la cessione d’azienda, l’imponibilità si verifica nel periodo di imposta nel quale il corrispettivo viene effettivamente percepito dal cedente).
A norma dell’art. 71, c. 2, del TUIR, le plusvalenze indicate alle lettere h) e h-bis) dell’articolo 67 devono essere determinate a norma dell’art. 86 (e quindi secondo le modalità proprie del reddito di impresa); tale rinvio normativo, che comporta l’adozione delle modalità di calcolo che caratterizzano le plusvalenze nel reddito di impresa, non rende però applicabile anche il principio di competenza.
Per quanto stabilito dal comma 2 dell’articolo 17 del TUIR, inoltre, alcune tipologie di redditi, tra le quali figurano le plusvalenze realizzate mediante cessione onerosa di aziende possedute da più di 5 anni, sono soggetti a tassazione separata, se conseguiti da persone fisiche nell’esercizio di imprese commerciali, a condizione che ne sia fatta richiesta nel periodo d’imposta al quale sarebbero imputabili come componenti del reddito d’impresa. La tassazione separata decorre, dunque, dal momento in cui secondo competenza il reddito sarebbe imponibile, ovvero dalla data di stipula dell’atto, o dalla data successiva nella quale si producono i relativi effetti.
Il costo fiscalmente riconosciuto
La plusvalenza imponibile generata dalla cessione dell’azienda corrisponde al divario esistente tra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito dal cedente e il costo complessivo non ammortizzato delle singole attività che compongono l’azienda o il ramo d’azienda ceduto al netto del valore delle passività accollate dal cessionario.
Per costo non ammortizzato delle attività cedute e valore delle passività accollate si intende il valore fiscalmente riconosciuto in capo al cedente, il quale può non coincidere con i valori contabili risultanti da bilancio.
La determinazione della plusvalenza imponibile deve essere quindi preceduta da quella del valore fiscalmente riconosciuto dei singoli elementi dell’attivo e del passivo che compongono il complesso aziendale oggetto di cessione.
Nella determinazione del costo fiscalmente riconosciuto dei beni materiali ammortizzabili nel periodo di imposta interessato dalla cessione devono essere considerati i relativi ammortamenti per dodicesimi, dalla data iniziale dell’esercizio alla data di cessione.
Plusvalenze nell’ambito del reddito di impresa
Nel sistema del reddito di impresa, cioè per quelle cessioni che non rientrano tra le ipotesi viste sopra di imponibilità a titolo di redditi diversi (art. 67 TUIR), le plusvalenze derivanti da cessioni di aziende possono essere assoggettate a tassazione ai fini delle imposte sul reddito:
- per intero nel periodo di imposta di realizzo;
- per quote costanti (pari ad 1/5 del totale) nel periodo di imposta di realizzo e nei quattro successivi;
- mediante tassazione separata.
La modalità ordinaria di tassazione delle plusvalenze derivanti da cessioni d’azienda è quella prevista dal primo periodo dell’art. 86, c. 4, del TUIR, ossia per intero nel periodo di imposta di realizzo come componenti positivi del reddito di impresa.
Il secondo periodo dell’art. 86, c. 4, prevede che, in alternativa alla tassazione integrale nel periodo di imposta di realizzo, le plusvalenze da cessione di aziende che risultano essere possedute da almeno 3 anni (nel caso delle società sportive professionistiche, da un anno) possono concorrere a formare il reddito d’impresa per quote costanti nel periodo d’imposta di realizzo e nei successivi, ma non oltre il quarto.
L’opzione per la rateazione della plusvalenza deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è stata presentata, la plusvalenza concorre integralmente alla formazione del reddito nell’esercizio in cui è stata realizzata.
La tassazione separata è prevista, per le plusvalenze in esame, ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. g, del TUIR, anche se tale possibilità è concessa solo all’imprenditore individuale, in relazione alle aziende possedute da almeno 5 anni.
Tale sistema di imposizione presuppone, da parte dell’imprenditore individuale:
- una specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi del periodo di realizzo, con la compilazione dell’apposito quadro del modello;
- la contestuale effettuazione (nel caso di impresa in regime di contabilità ordinaria) di una variazione in diminuzione dell’utile civilistico, nel quadro destinato alla determinazione del reddito di impresa, per l’intero ammontare della plusvalenza realizzata.
Ai sensi dell’art. 21, c. 1, secondo periodo, del TUIR, in caso di tassazione separata, l’imposta è determinata applicando sulla plusvalenza imponibile l’aliquota marginale in vigore nel periodo di realizzo corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nei due periodi di imposta antecedenti.
La licenza taxi
Nella sentenza qui commentata la Cassazione ha affermato che la licenza taxi è un bene strumentale di natura immateriale, che attua la cartolarizzazione dell’azienda e ne consente il trasferimento.
L’art. 9 della legge 15.01.1992, n. 21 (“Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”) consente il trasferimento della licenza taxi su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata (purché iscritta nell’apposito ruolo e in possesso dei requisiti previsti), se il titolare stesso si trova in almeno una delle seguenti condizioni: sia titolare di licenza o di autorizzazione da cinque anni; abbia raggiunto il sessantesimo anno di età; sia divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia, infortunio o ritiro definitivo della patente di guida.
Nel caso specifico, la licenza era stata ceduta in conseguenza dell’aggravarsi delle condizioni di salute del contribuente: tale condizione rappresentava secondo la Cassazione il presupposto per la trasferibilità della licenza, da richiedersi alla competente autorità comunale per rilasciare la licenza alla persona designata dal cedente (volturazione) nelle ipotesi previste dal richiamato art. 9.
Tale cessione, inserita in un contesto caratterizzato dal limitato numero di licenze rilasciate dai Comuni e riguardando un bene essenziale all’esercizio dell’attività esercitata dal tassista, deve ritenersi onerosa e rientrante tra i beni relativi all’impresa, il cui realizzo genera una plusvalenza imponibile.
La vicenda
La decisione della Cassazione qui ripresa e commentata (Cass. n. 23143/2017), relativa agli aspetti reddituali della cessione della licenza taxi, trae origine da un contenzioso di merito innescato da un avviso di accertamento riferito al periodo di imposta 2002. Con tale atto impositivo l’Agenzia delle Entrate aveva contestato, appunto, l’omessa dichiarazione della plusvalenza generata a seguito della cessione della licenza taxi.
In particolare, la CTR aveva ritenuto fondato l’accertamento induttivo, che faceva riferimento a studi specifici sull'argomento e ai dati reperiti presso le associazioni di categoria, in quanto il trasferimento della licenza andava configurato come cessione di azienda, e la plusvalenza realizzata doveva ritenersi rientrante nel reddito di impresa, imponibile ai sensi degli articoli 86 e 58 del TUIR e tassato a norma dell'art. 17, c. 1, lett. b, e c. 2, del TUIR.
Contro la sentenza di merito il contribuente aveva proposto ricorso per cassazione sulla base, principalmente, dei seguenti motivi:
- violazione di legge (art. 7, legge n. 212/2000; art. 3, legge n. 241/1990), per asserita mancanza di motivazione dell'avviso di accertamento, basato su informazioni generiche;
- motivazione contraddittoria, laddove la CTR aveva riconosciuto l'esistenza di un vizio di motivazione dell'accertamento, ma lo aveva ritenuto sanato in sede contenziosa;
- omessa valutazione di un fatto decisivo, non avendo fornito la CTR alcun elemento utile per comprendere l'iter logico-giuridico seguito, in mancanza di specifico riferimento a riscontri oggettivi e alle presunzioni cui la CTR faceva solo generico riferimento;
- omessa valutazione di un fatto decisivo, dedotto fin dal primo grado di giudizio, in ordine alla gratuità della cessione, come tale non soggetta a plusvalenza, in quanto determinata da problemi di salute del ricorrente.
La Corte ha ritenuto di trattare congiuntamente, per la loro evidente connessione, i primi due motivi, e ha affermato la fondatezza del terzo motivo, in quanto la CTR non aveva indicato i dati concreti da cui aveva tratto il convincimento circa la congruità dei valori accertati dall'ufficio. La Commissione avrebbe invece dovuto valutare la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a base dell'accertamento, esponendo adeguatamente l'esito di tale giudizio nella motivazione e tenendo conto degli elementi probatori a discarico offerti dal contribuente.
Quanto al quarto motivo di ricorso, la Corte ne ha dichiarato l’infondatezza (non avendo il contribuente fornito la prova della gratuità della cessione), respingendolo.
La soluzione fornita
Secondo quanto la Corte argomenta, l’attività esercitata dal tassista è di natura imprenditoriale, e quindi basata sul principio di economicità (art. 2195 c.c.). Si tratta, nello specifico, di un piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.; Cass. n. 21123/2010), e in particolare di imprenditore artigiano, come qualificato dall'art. 7, c. 1, lett. a, della legge 15 gennaio 1992, n. 21.
In tale contesto, la licenza taxi costituisce secondo la Corte un bene strumentale immateriale, “che finisce col cartolarizzare l'azienda, diventando presupposto strutturale ed elemento qualificante dell'esercizio dell'attività”.
Per espressa previsione dell'art. 9 della citata legge n. 21/1992, il trasferimento della licenza è possibile, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata (purché iscritta nell'apposito ruolo di cui all'art. 6 ed in possesso dei requisiti prescritti), se il titolare stesso si trova in almeno una delle condizioni ivi previste, tra cui (lett. c), quella in cui “sia divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia, infortunio o per ritiro definitivo delia patente di guida”.
Lo stato di salute invalidante del contribuente, quindi, non può quindi costituire, come aveva affermato il ricorrente, una prova della gratuità della cessione. Al contrario, tale condizione costituisce il presupposto per la trasferibilità della licenza, da richiedersi alla competente autorità comunale per rilasciare la licenza alla persona designata dal cedente (volturazione) nelle ipotesi previste dal cit. art. 9, in un contesto che si presume oneroso, giacché (notoriamente) esiste un vero e proprio mercato di rivendita delle licenze taxi.
Il motivo di ricorso è stato pertanto respinto con assorbimento del quinto motivo, con il quale si era asserita l’omessa motivazione sulla richiesta riduzione delle sanzioni, discendendo l'applicazione della sanzione dall'accertamento dell'omessa dichiarazione di plusvalenza tassabile.
Infine, con il sesto motivo di ricorso era stata denunciata l’omessa motivazione sulla prescrizione del diritto di credito, ritualmente proposta: anche tale motivo è stato respinto in quanto infondato, a parte i profili di inammissibilità per mancanza di autosufficienza, dato che non erano stati indicati gli atti dei giudizi di merito nei quali la doglianza era stata proposta.
Per quanto sopra affermato, il ricorso è stato accolto con riferimento al terzo motivo, mentre sono stati dichiarati inammissibili il primo e secondo motivo e rigettati il quarto e il sesto motivo, assorbito il quinto. La sentenza di merito è stata cassata con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla CTR del Lazio.
L’imposta di registro
La Cassazione, con ordinanza 05.04.2017, n. 8769, si è anche espressa in merito al trattamento della cessione di licenza di taxi ai fini dell’imposta di registro.
Al riguardo, si registrava giurisprudenza di merito (CTP Milano, sentenza n. 1886/8/15) secondo la quale detta licenza, costituendo un provvedimento formato dalla PA, non poteva essere oggetto di accordo tra privati (determinandosi nullità per impossibilità dell’oggetto – art. 1346 c.c., ovvero per contrarietà della causa all’ordine pubblico e a norme imperative, ai sensi dell’art. 1343 c.c.).
Il trasferimento in questione non poteva quindi configurarsi come cessione d’azienda (dovendosi escludere che la licenza taxi potesse costituire un bene, inteso come cosa che possa essere oggetto di diritti), bensì come contratto atipico (art. 1322 c.c.) volto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento, in quanto finalizzato ad agevolare il subentro nella licenza di taxi secondo la prescrizione del regolamento comunale.
La CTR di Roma aveva invece ritenuto in almeno due occasioni (sentenze n. 234/29/11 e n. 603/14/12) che si trattasse di un atto equiparabile ad una cessione d’azienda. Di conseguenza, se il contribuente ometteva di dichiarare la plusvalenza realizzata, l’ufficio fiscale doveva ritenersi autorizzato ad accertarla con procedimento induttivo.
Per quanto riguarda i precedenti in sede di legittimità, la sentenza n. 2050 del 27.1.2017 ha ritenuto sussistere una cessione di azienda verbale, imponibile ai fini dell'imposta di registro, nel caso specifico in cui, a seguito della morte del titolare della licenza taxi, i coeredi avevano richiesto l'intestazione della licenza ad un solo coerede, rinunciando ai propri diritti su di essa.
Se quindi il trasferimento della licenza taxi corrisponde a un trasferimento di azienda, il relativo contratto verbale sconta l’imposta di registro a norma dell’art. 3, c. 1, lett. ), del TUR, secondo il quale sono soggetti a registrazione i contratti verbali di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato.
Ai sensi del successivo art. 15, in mancanza di richiesta da parte dei soggetti obbligati, la registrazione è eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta. In tale caso dovrebbe essere applicata l’aliquota del 3% (art. 9 Tariffa, parte I, allegata al TUR).
Considerazioni di sintesi
In conclusione, può affermarsi che la cessione della licenza taxi, secondo la Corte di Cassazione, corrisponde a una cessione dell’azienda del tassista (piccolo imprenditore artigiano), dotata di un proprio valore di scambio / di mercato e suscettibile di ricevere una valutazione dall’ufficio, che, se sussistono i presupposti per l’accertamento induttivo (omessa dichiarazione della plusvalenza), potrà fare ricorso ad ampie presunzioni.
In verità, l’ufficio potrebbe operare mediante presunzioni anche nel contesto dell’accertamento analitico – induttivo, in caso di dichiarazione della plusvalenza ritenuta infedele, ma in tale ipotesi il ragionamento trasfuso delle motivazioni dell’accertamento, pur presuntivo, dovrebbe essere dotato dei caratteri della gravità, della percezione e della concordanza.
È innegabile, comunque, che la legge quadro n. 21/1992 (art. 9) contempli l’ipotesi del trasferimento della licenza, anche se sottoposto a una serie di vincoli (iscrizione dell’acquirente nel ruolo e possesso dei relativi requisiti; titolare cedente in possesso della licenza da 5 anni, ovvero raggiungimento del sessantesimo anno di età, o sopraggiunta inabilità / inidoneità al servizio). Giacché la cessione si presume onerosa, come sopra rilevato, essa fa sorgere la plusvalenza (ai fini sia delle imposte sui redditi, sia dell’imposta di registro).
13 novembre 2017
Fabio Carrirolo
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