La segnalazione di partita IVA cessata: il dilemma dello spesometro

stanno arrivando in redazione numerosi quesiti in cui ci si chiede come comportarsi nel caso in cui l’esito dell’invio di uno spesometro riporti una segnalazione per avvenuta cessazione di partita IVA da parte del fornitore del contribuente che ha effettuato l’invio: l’operazione sicuramente va attenzionata, ma non implica in sè la perdita della detraibilità dell’IVA o del costo

Abbonamenti a Commercialista Telematico | Software fiscali, ebook di approfondimento, formulari e videoconferenze accreditateIn quest’ultimo periodo stanno arrivando in redazione numerosi quesiti in cui ci si chiede come comportarsi nel caso in cui l’esito dell’invio di uno “spesometro” riporti una segnalazione per avvenuta cessazione di partita iva da parte del fornitore del contribuente che ha effettuato l’invio.

Il caso è quello del soggetto a cui l’Agenzia delle Entrate ha cessato d’ufficio la partita iva, ma che, non essendone al corrente, ha continuato ignaro ad utilizzare la sua vecchia partita iva, convinto che sia ancora valida, oppure di colui, che dopo la formale cessazione dell’attività, ha continuato ad operare e ad emettere fatture.

I clienti, inconsapevoli di ciò, hanno ovviamente registrato le fatture e, in occasione dell’invio del c.d. “spesometro”, si sono visti restituire la segnalazione di anomalia.

Ci sono state riportate proposte operative a cui difficilmente si può dare credito, prima tra tutte quella di non considerare detraibile l’iva della fattura, e addirittura indeducibile il costo relativo. In particolare, ci è stato segnalato come una rivista specializzata abbia indicato la via del ravvedimento operoso, in quanto l’IVA pagata risulterebbe detratta ma non spettante (articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997).

Tale lettura non pare minimamente condivisibile se, come accade nei casi non patologici, l’acquisto (di beni o servizi) è realmente avvenuto ed il cliente non era in grado, utilizzando l’ordinaria diligenza, di poter riconoscere che l’apparente “imprenditore” o esercente “arte o professione” con cui ha intrattenuto il rapporto, non fosse titolare di una regolare posizione iva.

La fattispecie, infatti, non ricade nel caso di inesistenza soggettiva o oggettiva dell’operazione, che legittimerebbe il diniego della detrazione, ma esclusivamente di violazione di norme procedimentali da parte del venditore/prestatore, che non inficiano l’effettività dell’operazione, realmente avvenuta ed esattamente tra quei soggetti.

Il diritto alla detrazione non può, pertanto essere messo in discussione in relazione all’acquirente/committente, alla luce dei precetti costituiti della normativa comunitaria, dalle norme nazionali, nonché dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

Tale diritto infatti spetta qualora il cessionario/committente dimostri la propria buona fede, che si configura laddove questi, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni «non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza» di partecipare all’illecito fiscale dell’emittente (caso che ricorre senza dubbio nella fattispecie descritta nel quesito).

Al riguardo, è appena il caso di rilevare che l’Iva è detraibile secondo le condizioni previste all’articolo 19 del Dpr. n. 633/72, in ossequio ai principi dell’art 168 della Direttiva 112/2006/UE. Tale norma, afferma che “….. è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.”

Qualora siano rispettate tali condizioni e l’operazione (acquisto o prestazione di servizi) sia realmente avvenuta tra le parti, nell’ambito di un attività del cedente/prestatore chiaramente riconducibile all’esercizio d’impresa o di arte o professione, pertanto, deve potersi concludere che al cliente del soggetto con partita iva cessata non possa essere negata la detrazione dell’imposta assolta.

Il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sulle operazioni realmente effettuate, correlate all’esercizio di una attività d’impresa o professionale trova, infatti, nei giudici comunitari una tutela particolarmente vasta, se si pensa che la Corte di Giustizia UE, con sentenza 3 marzo 2005, nella causa C-32/03, è arrivata ad affermare che la cessazione dell’attività non fa venir meno il diritto di continuare a detrarre l’iva sugli oneri che il soggetto è tenuto a sopportare per espressa previsione contrattuale, qualora si tratti di oneri ricollegabili all’attività commerciale svolta precedentemente e sia dimostrata l’assenza di intento fraudolento o abusivo.

Per quanto riguarda la deduzione del costo, si ritiene altresì che non ci possano essere dubbi in merito alla sussistenza dell’inerenza e degli altri requisiti fondamentali che la condizionano, ossia quelli previsti dall’articolo 109 comma 1 del Tuir: la competenza, la certezza nell’esistenza e l’oggettiva determinabilità nell’ammontare.

17 ottobre 2017

Filippo Mangiapane

Danilo Sciuto