Indagini bancarie: i prelevamenti non giustificati delle imprese

il problema dei prelevamenti non giustificati da parte dell’imprenditore, rilevati nel corso di indagini bancarie: la complessa norma, gli interventi della giurisprudenza, il problema della soglia dei prelevamenti ammissibili, le metodologie di controllo dell’Agenzia e della Finanza

Commercialista Telematico | Software fiscali, ebook di approfondimento, formulari e videoconferenze accreditateLe indagini bancarie finanziarie sono uno strumento ritenuto particolarmente incisivo per l’individuazione delle manifestazioni di capacità contributiva non dichiarate dai contribuenti. Sono state quindi spesso enfatizzate come la chiave per garantire un maggior recupero dell’evasione, ma nella realtà pratica la sola indagine finanziaria non è sufficiente. Inoltre, a questa modalità istruttoria si associano alcune criticità tecniche e operative (disomogeneità e carattere “massivo” dei dati acquisiti, tempi, garanzie da fornire…).

Sotto il profilo strettamente giuridico è inoltre emersa, tra le modificazioni normative intervenute e le alterne pronunce giurisprudenziali, la questione della rilevanza dei prelevamenti, cioè delle movimentazioni “in uscita” dai conti, quali ricavi presunti dell’impresa.

La questione può essere meglio inquadrata alla luce degli orientamenti recentemente forniti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza.

Il vantaggio dei controlli di tipo bancario/finanziario risiede, per il fisco, nella possibilità di individuare direttamente i flussi e le disponibilità di mezzi finanziari, da questi risalendo (in via presuntiva) al presupposto impositivo (cioè al possesso di redditi imponibili secondo le norme del TUIR, nonché a un maggior volume di affari ai fini dell’IVA).

Le norme che legittimano l’amministrazione finanziaria a controllare i conti e i rapporti intrattenuti dai contribuenti con istituti di credito e altri intermediari sono riconducibili:

  • per l’IVA, all’art. 51, c. 2, n. 7, del D.P.R. n. 633/1972;

  • per le imposte sui redditi, agli artt. 32, c. 1, n. 7, e 33, cc. 2, 3 e 6, del D.P.R. n. 600/1973.

In tale contesto, vengono assunte come entrate fiscalmente imponibili sia le movimentazioni in entrata (presunti “incassi in nero”), sia quelle in uscita (presunti “pagamenti in nero”, a loro volta produttivi di ricavi non contabilizzati).

Tale situazione, finalizzata a contrastare un’evasione particolarmente sfuggente, richiede da parte dei contribuenti una prova contraria veramente difficile da fornire, se l’analisi riguarda uno o più annualità con numerosissime movimentazioni in entrata e in uscita, a ciò aggiungendo anche, oltre al conto o ai conti principali, tutte le varie ipotesi di movimentazione che rientrano nello “scandaglio” del fisco (ad esempio le operazioni allo sportello).

La penalizzazione per il contribuente può rivelarsi enorme, dal momento che le risultanze dell’indagine finanziaria (appunto, in assenza di prove valide da parte del contribuente) conducono a una sommatoria di entrate e uscite, cioè a un potenziale “raddoppio” della base imponibile reale, e che a questo recupero a imposizione poi si dovrebbero aggiungere le sanzioni (nel caso della dichiarazione infedele, dal 90% al 180% dei maggiori imponibili accertati).

A ogni modo, vale rammentare che quelle impiegate nell’indagine bancaria (che richiede necessariamente in contraddittorio tra contribuente e fisco) sono presunzioni legali relative. Le dimostrazioni in grado di escludere l’operatività delle presunzioni possono essere fornite dal contribuente sia in sede di verifica, sia successivamente, avanti l’ufficio accertatore. Inoltre, è chiaro che con maggior estensione e maggiori garanzie le stesse prove possono essere prodotte in sede giurisdizionale, se viene proposto ricorso.

Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza 18.9.2013, n. 21302, tale sentenza è in linea con Cass. nn. 1739/2007, 9573/2007, 21125/2010 e 21132/2011), è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non devono essere recuperati a tassazione.

Questo può essere fatto (alternativamente) in due modi:

  • dimostrando che il contribuente ha già tenuto conto di tali proventi nelle dichiarazioni;
  • dimostrando che si è trattato di movimenti in entrata e in uscita non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili.

L’intervento della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale (sentenza n. 228/2014) si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dei controlli bancari / finanziari relativi ai lavoratori autonomi, con specifico riferimento alla possibilità di qualificare i prelevamenti come compensi non contabilizzati.

Al riguardo, la Corte ha osservato che, anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo presentano aspetti di affinità, quest’ultima categoria si differenzia abbastanza da far ritenere arbitraria una presunzione in forza della quale i prelevamenti sono assunti come compensi dell’attività esercitata dal contribuente.

Detta presunzione si giustifica infatti per l’impresa (connotata dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi), ma non anche per quelle attività che sono caratterizzate dalla preminenza dell’apporto del lavoro proprio e dalla marginalità dell’apparato organizzativo, come accade soprattutto nelle professioni intellettuali.

La non ragionevolezza della suddetta presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria, assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.

D’altronde, secondo la Corte Costituzionale, occorre considerare che le più recenti evoluzioni normative hanno imposto la tracciabilità dei movimenti finanziari, rendendo difficile ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad investimenti nell’ambito della propria attività professionale, a sua volta produttivi di un reddito.

La norma viene corretta…

La disposizione normativa che autorizza le indagini bancarie finanziarie (art. 32 D.P.R. n. 600/1973) è stata oggetto di correzione a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, con innovazioni che hanno inciso sulla presunzione prelevamenti = ricavi, non solamente per i lavoratori autonomi (produttori di “compensi”), ma anche per le imprese.

L’innovazione cui si fa riferimento è stata apportata dall’art. 7-quater del D.L. 22.10.2016, n. 193, convertito con modificazioni della legge 1 dicembre 2016, n. 225, e ha decorrenza dal 03.12.2016. Queste le previsioni:

  • è stata eliminata la presunzione sui prelevamenti (ma non sui versamenti) per i lavoratori autonomi (artisti – professionisti);
  • sono state introdotte, sempre relativamente ai prelevamenti e non ai versamenti, delle soglie minime di ammontare al cui superamento le movimentazioni assumono rilevanza per il controllo.

Il testo vigente dell’art. 32, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, a seguito delle modificazioni che hanno tenuto conto della pronuncia della Consulta, è il seguente: (gli uffici possono) “invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche relativamente ai rapporti ed alle operazioni, i cui dati, notizie e documenti siano stati acquisiti a norma del numero 7), ovvero rilevati a norma dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili. Le richieste fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anche dal contribuente o dal suo rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto ad avere copia del verbale”.

Secondo il testo previgente (fino al 2.12.2016), invece, anche i prelevamenti costituivano ricavi presunti, sia per le imprese che per i lavoratori autonomi, senza previsione di alcuna soglia minima di ammontare.

 

In sintesi

In sintesi:

  • una serie di evidenze (dati e notizie relative a rapporti di tipo finanziario) “sono poste a base” di rettifiche e accertamenti;
  • i prelevamenti sono anch’essi posti come “ricavi”, se effettuati per importi superiori ai 1.000 euro giornalieri e, comunque, ai 5.000 euro mensili.

La prima previsione (entrate = redditi), nel testo vigente, si riferisce a tutti i contribuenti; la seconda (uscite = redditi), chiaramente, ai soli contribuenti che realizzano ricavi, cioè alle imprese.

Secondo la lettera della norma:

  • i “dati ed elementi” rilevati sono “posti a base” delle rettifiche e degli accertamenti: non viene detto come, a quale titolo, né se in modo analitico, combinandosi con i componenti reddituali noti: si tratta quindi di una previsione ampia, che astrattamente legittima l’ufficio a combinare in qualsiasi modo tali dati ed elementi nella ricostruzione, con l’unico limite costituito dalla prova fornita dal contribuente;
  • tali dati ed elementi sono altresì assunti come “ricavi” se riferiti a “prelevamenti o … importi riscossi”, e purché superiori alle soglie indicate. In questo caso, il componente reddituale in cui l’imponibile presunto va a confluire si qualifica solamente come “ricavo” (escludendo quindi le plusvalenze, le sopravvenienze…, e anche, chiaramente, i compensi dei lavoratori autonomi).

La Corte di Cassazione ha in seguito sottolineato che i prelevamenti di denaro effettuati dai lavoratori autonomi e non giustificati nel loro utilizzo non costituiscono reddito nemmeno per il passato, in considerazione dell’effetto retroattivo della sentenza della Consulta (Cass. 10.6.2015, n. 12021). Analoghe considerazioni sono contenute nella più recente sentenza n. 19806 del 9.8.2017.

Questioni di prova

Un’altra sentenza, Cass. 09.08.2017, n. 19810, ha preso posizione circa la questione della prova delle movimentazioni fornita dal contribuente in relazione a prelevamenti bancari non giustificati, relativi al periodo di imposta 2005.

In questa pronuncia, la Corte ha cassato la sentenza di merito favorevole al contribuente (titolare di reddito di impresa) perché non risultava adeguatamente motivata la “causale” dei prelevamenti.

Nel caso specifico, la CTR aveva ritenuto assolto l’onere probatorio da parte del contribuente, in quanto questo aveva dimostrato “la riconciliabilità dei movimenti bancari ai documenti contabili”, e soprattutto che i contanti erano stati prelevati per assolvere una serie di fatture “regolarmente quietanzate”, “cosicché nella specie la pretesa fiscale non risultava assistita da alcun elemento indiziario che corroborasse la presunzione dell’ufficio, fondata esclusivamente sulla entità dei prelevamenti, gran parte dei quali ritenuti giustificati”.

Avverso la sentenza di merito aveva proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affermando che:

  • l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e la corrispondente norma IVA dell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972 non pongono a carico dell’amministrazione, oltre alle presunzioni legali ivi previste, la produzione di ulteriori elementi indiziari;
  • la sentenza era insufficientemente motivata: ciò perché i prelevamenti effettuati dal conto corrente bancario del contribuente erano incongrui rispetto agli importi delle fatture e i beneficiari erano indicati solo genericamente.

Secondo la Corte, la CTR aveva deciso correttamente in quanto, al fine di superare la presunzione legale, non è sufficiente fornire “una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente” o del defluirne, “ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica”:

  • nel primo caso (versamenti) “della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività con conseguente non rilevanza fiscale”;
  • nel secondo caso (prelevamenti) che “ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”, ad esempio perché utilizzati per pagare determinati beneficiari, quindi per sostenere dei costi contabilizzati, anziché costituire acquisizione di utili.

Nel caso di specie, il criterio utilizzato dall’Agenzia delle Entrate era stato quello normativamente previsto: era quindi venuto a spostarsi sul contribuente l’onere di dimostrare l’utilizzo dei prelevamenti riscontrati sul conto corrente bancario. Ciò che nel caso in esame non risultava avvenuto “mediante la prospettazione di prove dotate di necessaria specificità ed analiticità.

Il contribuente risultava infatti aver offerto solo argomentazioni generiche e astratte circa l’utilizzo delle somme prelevate per il pagamento in contanti di una serie di fatture passive elencate in un prospetto, ma senza una qualche riconciliazione tra la somma degli importi prelevati e di quelli fatturati (i primi erano di molto inferiori ai secondi).

Come afferma la Suprema Corte, è pur vero che il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, ma queste ultime devono essere attentamente verificate dal giudice, “il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative”.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha accolto i motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ha cassato la sentenza con rinvio alla CTR Puglia, tenuta a rivalutare la vicenda alla stregua dei principi enunciati.

 

 

Le soglie minime per i prelevamenti

C’è poi da considerare la questione dei limiti ora imposti dal legislatore per poter attribuire rilevanza alla presunzione sui prelevamenti: 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili. Ma si tratta di due limiti che operano congiuntamente o in modo disgiunto? E al loro superamento assumono rilevanza tutti i prelevamenti, anche inferiori, oppure questi ultimi restano “esenti” come in una sorta di franchigia?

Secondo una lettura “logica” della norma, dato che i prelevamenti assumono rilevanza se superano i 1.000 euro al giorno e “comunque” i 5.000 euro mensili, dovremmo evincerne che, ad esempio:

  • cinque singoli prelevamenti di 999 euro (totale = euro 4.995) non assumono rilevanza;
  • i cinque prelevamenti suddetti, più un successivo prelevamento di 6 euro, renderebbero operante la presunzione prelevamenti = ricavi, anche se solamente per le imprese e non anche per i lavoratori autonomi, fatta salva la puntuale dimostrazione fornita dal contribuente (secondo la lettera della norma, tale dimostrazione deve riguardare il beneficiario, ma sembra difficile ritenere che non abbia a oggetto anche la causa / motivazione).

Non risulta tuttavia chiaro se la presunzione operi per l’intero ammontare delle movimentazioni complessive (5.001 euro nell’arco del mese), ovvero solamente per 1 euro (eccedenza rispetto alla soglia di 5.000 euro).

 

Le nuove soglie: indicazioni dell’Agenzia delle Emtrate

Circa l’operatività delle nuove soglie introdotte con riguardo ai prelevamenti, l’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni con la propria circolare n. 8/E del 07.04.2017.

Al paragrafo 19.1 di tale circolare, è stato affermato che:

  • la presunzione relativa ai prelevamenti si applica per le imprese agli importi superiori a 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili, mentre è inapplicabile nei riguardi degli esercenti arti e professioni;
  • a partire dal 03.12.2016 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 225/2016), in sede di accertamento si considerano quindi ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi nei limiti previsti dalla nuova disposizione.

Seguendo la testuale formulazione della circolare, si evince che la presunzione sui versamenti si applica per le imprese solo agli importi superiori alle soglie minime. Vale a dire che:

  • se nel giorno x vengono prelevati 1.005 euro, l’importo concorrente alla presunzione sarà di 5 euro;
  • se nel giorno x + 1 vengono prelevati 900 euro, non scatterà alcuna presunzione;
  • se nel giorno x + n, a seguito di vari prelevamenti, viene superata la soglia di euro 5.000 nel mese, la presunzione si applica all’eccedenza.

Rimane da capire, tuttavia, se i prelevamenti extrasoglia che già sono stati conteggiati, come i 5 euro del giorno x, vengano nuovamente conteggiati come parte dell’eccedenza che si registra nel giorno x + n rispetto alla soglia dei 5.000 euro nel mese.

Presumibilmente, l’eccedenza rispetto alla soglia 2 (5.000 euro) dovrebbe essere conteggiata una volta sola, il che richiederebbe lo scomputo di quanto già precedentemente considerato come “ricavo presunto” al superamento della soglia 1 (1.000 euro). È però chiaro che questa affermazione, per potersi ritenere sostenibile, dovrebbe essere accreditata da un orientamento ufficiale.

Inoltre, come osserva la Guardia di Finanza (vedasi qui avanti), la presenza di una soglia mensile di 5.000 euro opera nel senso che al suo superamento nel corso del mese i contribuenti siano tenuti a giustificare (indicandone il beneficiario) anche i prelevamenti che non superano la soglia giornaliera di 1.000 euro.

 

Le istruzioni operative della Guardia di finanza in merito alle indagini finanziarie

Ulteriori indicazioni provengono dalla Guardia di Finanza, e sono contenute nella circolare del Corpo n. 109546 del 07.04.2017.

Al riguardo, passando in rassegna le evoluzioni della normativa a seguito della sentenza delle Corte Costituzionale, osserva la circolare che la previsione riguardante le rettifiche di “reddito” fa rinvio “indiscriminato” agli accertamenti di cui agli artt. da 38 a 41 del D.P.R. n. 600/1973, che riguardano anche i contribuenti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili: si rileva che tale presunzione che la presunzione riferita ai versamenti ha quindi effetto sulla generalità dei contribuenti, e non soltanto nei riguardi di imprenditori e professionisti.

Al riguardo viene richiamata la conforme sentenza della Corte di Cassazione n. 2432 del 31.10.2017.

Con riferimento invece alla seconda presunzione, relativa ai prelevamenti, la Guardia di Finanza osserva che questa risulta limitata nell’oggetto (riferendosi ai soli prelevamenti o importi riscossi dai conti) e anche sotto il profilo soggettivo (limitandosi ai soli imprenditori, titolari di ricavi, mentre i professionisti ne sono stati esclusi a seguito delle modifiche normative di cui si è detto sopra).

La circolare prosegue rilevando che la Consulta aveva fondato il proprio convincimento circa la non ragionevolezza della presunzione sul fatto che i professionisti si avvalgono di un regime di contabilità semplificata, caratterizzato da una “fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”. Tale situazione, però, detto incidentalmente, è anche tipica di molte piccole imprese.

Osserva inoltre la Guardia di Finanza che, anche anteriormente all’intervento della Corte Costituzionale, l’amministrazione finanziaria aveva sostenuto “un orientamento volto a temperare la rigidità di tale automatismo presuntivo, rigettando un approccio acritico e meccanicistico e sensibilizzando i verificatori a non trascurare le eventuali dimostrazioni di natura presuntiva a sostegno dell’irrilevanza fiscale dei prelevamenti per importi esigui e occasionali, anche in considerazione del tenore di vita del contribuente”.

Nel contesto dell’art. 32 innovato, afferma la circolare che:

  • nei confronti della generalità dei contribuenti, continua a operare la presunzione legale relativa per cui i versamenti non giustificati vengono considerati alla stregua di redditi non dichiarati;
  • nei confronti dei soli imprenditori, anche i prelevamenti non giustificati vengono considerati ricavi.

In considerazione della natura procedurale della disciplina delle indagini finanziarie e delle relative presunzioni, alle modifiche è riconosciuto carattere retroattivo, con applicazione diretta a tutti i periodi di imposta ancora accertabili.

Per quanto riguarda le nuove soglie, al di sotto delle quali non opera alcun automatismo probatorio, viene osservato che la modifica apportata “è funzionale a ricondurre entro i criteri della ragionevolezza e della proporzionalità il contraddittorio con l’amministrazione finanziaria in fase di indagini finanziarie”.

La circolare della Guardia di Finanza afferma che tra le due franchigie sono tra loro in un rapporto di progressività, nel senso che il limite mensile di 5.000 euro esprimerebbe un tetto massimo per i prelevamenti giornalieri per importi inferiori a 1.000 euro.

La franchigia di 5.000 euro non sarebbe quindi un bonus sui prelevamenti da riconoscersi in ogni caso, bensì una limitazione a tutela dell’interesse fiscale.

Secondo la circolare, quindi, il contribuente continua ad essere gravato dall’onere di indicazione del soggetto beneficiario per i prelevamenti, sempreché non risultino dalle scritture contabili:

  • eccedenti la soglia giornaliera di euro 1.000, anche se inferiori a quella di euro 5.000 mensili;
  • di importo inferiore a euro 1.000, che nel complesso superino la soglia mensile di 5.000 euro.

Se, quindi, nel corso della singola mensilità, viene superato il limite di 5.000 euro, la presunzione legale si applica su tutti i prelevamenti eccedenti quest’ultima soglia.

11 ottobre 2017

Fabio Carrirolo

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