se il contribuente riceve un questionario dal Fisco, la risposta è un atto quasi obbligatorio: la mancata risposta, infatti, permette al Fisco di far partire un accertamento induttivo
Con l’ordinanza n. 20303 depositata il 23 agosto 2017, la Corte di Cassazione, si è occupata della mancata risposta al questionario.
Nel caso di specie, la C.T.R. ha respinto l’appello avverso la pronuncia di prime cure favorevole al contribuente, in quanto, trattandosi di un accertamento induttivo, “il disconoscimento di parte dei costi perché ritenuti generici e non documentati” era stato“insufficientemente motivato dall’Ufficio”, solo per la “mancata risposta al questionario”.
L’Amministrazione finanziaria censura la decisione per “violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) bis e 32, co. 1, n. 2, D.P.R. 600173, dell’art. 109 del D.P.R 917/ 86 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.”, per non avere la C.T.R. considerato che “la ricostruzione induttiva dei costi si era fondata su dati presuntivamente ricostruiti dall’Agenzia, a seguito del mancato riscontro del questionario ritualmente inviato al contribuente sul quale, per l’effetto, gravava l’onere di fornire la prova”, “atta a giustificare i componenti negativi di cui al rigo RG20… (altri componenti negativi)”.
Osserva la Corte che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi … incombe al contribuente; inoltre, poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi eiposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi“ (Cass. 23 febbraio 2010, n. 4334; 30 dicembre 2010, n. 26480” (ex plutimis, v. anche Cass. sez. V, n. 11881/17; 19537/16, che ha cassato la sentenza con la quale il giudice tributario si era limitato a “fondare l’inerenza del costo sul mero collegamento all’attività produttiva (i costi sarebbero rilevanti per il sol fatto di risultare dai verbali del consiglio di amministrazione della contribuente”; cfr. Cass. n. 25317/14 e n. 20679/14).
LA MANCATA RISPOSTA AL FISCO
L’art. 32 del Dpr n. 600/73 è stato integrato, a opera dell’art.25, comma 1 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, che ha aggiunto al testo originario i commi terzo (“Le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta“) e quarto.
Di converso, è stato aggiunta la lettera d-bis), all’articolo 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/73, consentendo l’utilizzo dell’accertamento induttivo quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, c. 1, nn.3 – 4, del D.P.R. n. 600/73 o dell’art. 51, c. 2, nn. 3 – 4, del D.P.R. n. 633/72.
Tali disposizioni valgono anche per le imprese minori e i professionisti.
Pertanto, a far data dal 9 marzo 1999, giorno di entrata in vigore delle modifiche normative, la mancata ottemperanza all’invito dell’ufficio è sanzionabile e ciò anche quando l’attività di accertamento riguardi annualità di imposta anteriori all’entrata in vigore della nuova norma, in ossequio al principio secondo il quale siamo in presenza di una norma procedurale, destinata a disciplinare le modalità e i limiti dell’esercizio dei poteri degli uffici, e pertanto pur se si applica solo a partire dalla data di entrata in vigore, investe anche gli accertamenti riguardanti annualità anteriori.
Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.
In pratica, risulta pienamente legittimo il ricorso dell’ufficio all’accertamento induttivo, non avendo potuto svolgere concretamente e nel merito l’azione di accertamento in conseguenza della mancata esibizione da parte del contribuente di tutti i dati e documenti contabili richiesta.
Il pensiero della Corte risulta espresso conformemente anche in altre precedenti pronunce rispetto a quella qui annotata (cfr. Cass. sent. n. 4345/2003).
Sul punto, la migliore dottrina ha osservato che “che in relazione alle presunzioni utilizzate dagli uffici finanziari, ex articolo 39, secondo comma, del Dpr 29 settembre 1973, n.600, il giudice tributario, una volta verificata la legittimità del ricorso al metodo di accertamento induttivo, ha il potere di controllare l’operato dell’Amministrazione finanziaria e di verificare se gli effetti che l’ufficio ha ritenuto di desumere dai fatti utilizzati come indizi siano o meno compatibili con il criterio della normalità, potendo, in ipotesi, pervenire, qualora riscontri incongruenze e contrasto con criteri di ragionevolezza, a diverse conclusioni e, quindi, alla determinazione di un reddito presuntivo inferiore a quello indicato dall’Amministrazione (Cassazione, sezione tributaria, sentenza 18 settembre 2003, n. 13802)1”.
Se è vero che prima della riforma la mancata risposta al questionario costituiva solo un tassello per la costruzione di un accertamento induttivo, costringendo l’ufficio ad avviare tutta una serie di ulteriori controlli per venire in possesso della documentazione (accesso, per esempio), oggi la sola mancata risposta consente all’ufficio direttamente di agire induttivamente, senza che sia necessario dimostrare di aver proceduto in altro modo a rintracciare il contribuente.
Inoltre, altra attenta dottrina ha rilevato che l’assetto normativo tracciato, “per quanto opportunamente opinabile, non sembra possa tacciarsi di illegittimità costituzionale ove innanzi tutto inteso a limitare la possibilità di far valere la predetta documentazione nel prosieguo del procedimento amministrativo di accertamento: può dirsi, infatti, espressione del rapporto fondato su canoni di lealtà e collaborazione, in forza dei quali non sembra neppure irragionevole prevedere una decadenza dalla utilizzabilità (a proprio favore) di quella documentazione che, in precedenza, era stata surrettiziamente tenuta celata. Tanto è vero che l’interpretazione e l’applicazione che di tale disposizione si sono avute in giurisprudenza hanno costantemente confermato l’esigenza di verificare tale elemento di intenzionale sottrazione di elementi utili ai fini della corretta ricostruzione del quadro impositivo del contribuente come il dato qualificante la fattispecie2”.
La sentenza della Cassazione conferma, altresì, che costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa incombe al contribuente.
Inoltre, è nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento valutare la congruità dei costi e dei ricavi “esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducubilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (così Cass. nn. 11240/200 e 12813/2000). L’onere della prova dell’inerenza dei costi gravante sul contribuente, in presenza di argomentata contestazione, ha ad oggetto anche la congruità di quei costi.
6 ottobre 2017
Gianfranco Antico
1 BUSCEMA, Mancata risposta all’invito dell’ufficio:la scortesia si paga cara, in Fiscooggi, edizione del 26 aprile 2006.
2 CAPUTI, L.n. 28/1999: maggiori poteri di accertamento per l’Amministrazione finanziaria e diritto di difesa, in Il fisco, n. 10/1999, pag. 3377.