Indagini finanziarie e società di persone: i conti dei soci

in caso di indagini finanziarie nei confronti di una società di persone in quali casi l’ufficio può legittimamente utilizzare le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci?

bag moneyCon la sentenza n. 14089 del 7 giugno 2017, la Corte di Cassazione, ha confermato che, nel caso di accertamento nei confronti di una società di persone, l’ufficio può legittimamente utilizzare le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, “purché provi adeguatamente che quei determinati movimenti risultanti sul conto personale dei soci siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società”.

I principi affermati

Per la Corte, è ben vero che le norme che accordano all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione, “trovano applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente, e non con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (cfr., ex multis, Cass. n. 11145 del 2011)”.

Ed è altresì vero che, con riguardo alle società di persone, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che, nel caso di accertamento concernente una società di tale tipo, l’ufficio finanziario può legittimamente utilizzare “ le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, purché provi adeguatamente che quei determinati movimenti risultanti sul conto personale dei soci siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società (v. tra le altre Cass. n. 17243 del 2003, n. 11145 del 2011, cit.).

Il Collegio ritiene che nel caso di specie i giudici di merito abbiano fatto rigorosa applicazione dei suddetti principi “e, in esito alla valutazione delle risultanze processuali ad essi spettante, abbiano correttamente ritenuto che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti della Banca dell’Etruria e di Poste Italiane intestati ai soci fossero riconducibili alla società verificata”.

Tuttavia, osserva la Corte, la motivazione della sentenza impugnata “non è però immune da vizi logici laddove estende la riconducibilità alla società verificata dei movimenti bancari rilevati nei predetti conti correnti per somme alla medesima non spettanti e, precisamente, per quelle incassate per conto dei proprietari degli alloggi e ai medesimi riversati, nonché delle movimentazioni rilevate sui conti correnti intestati esclusivamente ai soci, diversi da quelli accesi presso le suddette banche (B.d.E. e P.I.), avendo del tutto omesso i giudici di appello di esternare le ragioni e gli elementi presuntivi che li avevano indotti a ritenere che le movimentazioni su tali conti correnti fossero riconducibili alla società verificata. Ne consegue che i motivi vanno accolti limitatamente a tali aspetti della vicenda processuale, con rinvio al giudice di merito per una nuova valutazione, da effettuare anche sulla base del principio, espresso da questa Corte nella sentenza n. 1898 del 2016, secondo cui non rileva che il soggetto terzo rispetto alla società sia legale rappresentante di una pluralità di persone giuridiche (esclusa, quindi, la posizione di mero socio di altre società), essendo in quel caso sufficiente, in difetto della prova contraria circa una più corretta imputazione, ripartire i dati estratti dai conti correnti in proporzione al volume di affari di ciascun ente”.

Riflessioni

La possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, rapporti di parentela…) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento (cfr. circolare n. 131/1994, parte 3).

La valutazione dei presupposti per il dirottamento delle indagini nei confronti di terzi può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi inequivoci e/o documentali, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

Osservano le Entrate nella C.M. n. 32/2006 che, nonostante l’assenza di una espressa previsione normativa, è indubbia l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi“, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che (per la costante giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo) le citate disposizioni, utilizzando la locuzione “i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti“, legittimano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale intestazione.

Sul punto, la direttiva n. 1/2008 della Guardia di Finanza afferma correttamente che se fosse preclusa l’utilizzabilità delle risultanze finanziarie nei riguardi di soggetti diversi rispetto a quello nei cui confronti le stesse sono state esperite, si verrebbe a creare il rischio di “asimmetrie” fra quanto constatato nei confronti di questo e la sua controparte in certe operazioni fiscalmente rilevanti.

È evidente, peraltro, che i dati in questione possono essere valorizzati nei confronti del soggetto diverso da quello nei cui confronti sono stati acquisiti alla stregua di qualsiasi altro elemento probatorio ottenuto nei suoi riguardi e quindi come prova diretta di una certa evasione o di una determinata irregolarità, ovvero, più verosimilmente, come presunzione, che, a seconda dei casi, potrà essere grave, precisa e concordante ovvero semplicissima.

E nel caso di società di persone i soci sono in genere, salvo specifiche eccezioni, direttamente coinvolti nella gestione sociale.

Su tali tematiche, come abbiamo già avuto modo di affermare1, la giurisprudenza degli ultimi anni ha privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma.

  • Con l’ordinanza n. 375 del 13 gennaio 2015 (ud. 21 novembre 2014) la Corte di Cassazione ha allargato le indagini finanziarie, imputando alla società quanto emerge dai conti dei soci. La fattispecie in questione investe la legittimità o meno dell’accertamento emesso dall’ufficio nei confronti della società sulla base di verifiche compiute su conti correnti dei soci della stessa. “Se, infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (cfr. da ultimo, Cass. n. 16575 del 02/07/2013) appare legittima la censura dell’Ufficio che aveva richiamato in atto di appello (come ha dato conto in ricorso ai fini dell’autosufficienza) la ristretta base azionaria, i rapporti familiari tra i soci e la mancata giustificazione della presenza di ingenti movimentazioni, come anche il fatto che i soci non avevano denunciato altri redditi oltre a quelli di partecipazione”.

  • Con l’ordinanza n. 20356 del 9 ottobre 2015 (ud. 22 luglio 2015) la Corte di Cassazione ha ribadito il principio, secondo il quale le indagini bancarie “possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale”. Le norme previste, sia ai fini reddituali che Iva, “consentono, in sostanza, che resti superata la mera apparenza della formale intestazioni dei rapporti e delle operazioni finanziarie, allorchè i rapporti interpersonali o sociali lascino supporre (anche in ragione di presunzioni supersemplici) che vi possano essere aspetti di evasione degli obblighi fiscali”.

  • Con la sentenza n. 5382 del 18 marzo 2016 (ud. 30 gennaio 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che, secondo il consolidato orientamento, “in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Nè consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (Cass. n. 16575 del 2013; n. 20199 del 2010)”.

  • Con l’ordinanza n. 24699 del 2 dicembre 2016, la Corte di Cassazione, dopo aver chiarito (Cass. 6595/2013) che, “in tema di accertamento IVA, relativo a società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, le risultante di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla medesima società le operazioni ivi riscontrate (nella specie, prelevamenti), tenuto conto della relazione di parentela tra quelli esistente idonea a far presumere, salvo facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci”, ha confermato che “i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti (anche terzi), legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali, possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale (Cass. 20668/2014; Cass. 26829/2014)”. Al fine di vincere la presunzione legale di cui all’art. 32 DPR 600/1973, la prova contraria a carico del contribuente può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, “da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. 18081/2010; Cass. 25502/2011; Cass. 2781/2015; Cass. 16697/2016).

  • Con la sentenza n. 11881 del 12 maggio 2017 la Corte non accolto la doglianza di parte che si doleva del fatto che la Ctr, in presenza di un accertamento fondato su dati bancari attinti da conti correnti intestati a soggetti diversi dalla società, ne aveva ritenuto illegittima l’utilizzazione, sulla base del rilievo che la contribuente non aveva provato che le operazioni rinvenute sui conti altrui non fossero ad essa riferibili. Per i massimi giudici, “a fronte delle consistenti e frequenti movimentazioni rilevate, compatibili con la dinamica aziendale, non risulta fornito … alcun valido elemento che possa giustificare come non riconducibili alla società le operazioni a cui si effettua riferimento. L’emissione di assegni, tratti dal conto del socio e rappresentante legale della società contribuente, in favore del direttore della struttura, ovvero il pagamento di rate di mutuo registrate nella contabilità societaria, confortano la riconducibilità delle dette operazioni all’azienda”. Pertanto, “la Ctr ha ritenuto comprovata la riferibilità dei conti all’impresa e da ciò ne ha tratto la conseguenza, chiarendo il senso dell’affermazione precedente, che spettava al contribuente fornire la prova che quei conti non gli erano riferibili”. Conclude, quindi, la Corte, affermando che il pensiero espresso “è perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Suprema corte, nei due punti essenziali della intera ricostruzione:

    a) è onere dell’Amministrazione, di provare la riferibilità dei conti o delle singole operazioni, al contribuente può essere soddisfatto anche mediante presunzioni;

    b) una volta fornita tale prova è il contribuente a dover dimostrare l’estraneità delle operazioni all’attività economica svolta”.

25 agosto 2017

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO, Le indagini finanziarie, Euroconference, 2017.