I compensi in nero possono essere provati dai documenti extracontabili

Il Fisco può legittimamentre ricostruire i compensi in nero dai documenti extracontabili, i quali rappresentano un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Con la sentenza n. 14992 del 16 giugno 2017, la Corte di Cassazione ha legittimato l’operato dell’ufficio che aveva desunto dei compensi in nero provati da documenti extracontabili.

Compensi in nero e documenti extracontabili. Il fatto

novità reati tributari nel decreto fiscale 2020Il contribuente propone ricorso per Cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato il fondamento della pretesa avanzata con l’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000, con il quale gli era stata contestata la percezione, dalla srl S.S., di compensi in nero.

Il giudice d’appello ha infatti rilevato che dal verbale di constatazione redatto in sede di verifica si riscontrava il ritrovamento, presso la srl S.S., di “appunti manoscritti, copia del libretto di risparmio…” ove erano contabilizzate operazioni in nero effettuate dalla verificata e pagamenti in nero fatti a un certo B.. L’identificazione della persona corrispondente al nome B. aveva portato a M.B., amministratore della B. spa, soggetto con il quale la società verificata intrattenere regolari rapporti.

Nella sentenza impugnata si osserva che

“in realtà il sig. B. è anche il responsabile legale della B. srl. Se ne deduce che o come persona fisica o come rappresentante legale, (del)le somme indicate nella contabilità in nero dello S.S. srl, pagate al B., sempre lui è stato il percettore. Gli indizi forniti dall’ufficio, appunti manoscritti, copia del libretto di risparmio… hanno i requisiti di gravità precisione e concordanza che spostano la prova contraria sul contribuente. Prova che lo stesso avrebbe potuto fornire con la presentazione della contabilità societaria dalla quale risultavano i pagamenti ricevuti. Prova, comunque, che il ricorrente non ha apportato, insistendo solo sulla mancanza di certezza della persona alla quale detti pagamenti sono stati effettuati”.

Per la Corte i motivi del ricorso, strettamente legati, sono infondati.

“Nell’accertamento delle imposte sui redditi – come questa Corte ha in più occasioni avuto modi affermare – ‘l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta’ (Cass. n. 2094 del 2014: fattispecie relativa ad accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo; Cass. n. 9210 del 2011)”.

Si è più volte affermato “come la cd. contabilità in nero, ‘costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Ne consegue che detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli’ (Cass. n. 24052 del 2011 e n. 4080 del 2015)”.

Una prova siffatta nella specie, secondo il giudice d’appello, non è stata offerta dal ricorrente. Con riguardo all’individuazione del soggetto percipiente i pagamenti in nero, infatti, la tesi della “assoluta mancanza di un elemento di collegamento tra il documento extra contabile e la persona fisica di M.B.” non sembra poggiare su solide basi.

“La sentenza impugnata ha accertato, davanti all’asciutta indicazione del destinatario ‘B.’ nei documenti extra contabili, che l’identificare della persona corrispondente al nome B. aveva portato al sig. B.M. che – come si evince dallo stesso ricorso per cassazione, a pag. 1, era della B. spa (oltre che socio) legale rappresentante; a pag. 2 il ricorso si riferisce alla stessa persona rilevando invece che “esiste una persona fisica M.B., attuale ricorrente’ – risultava essere amministratore della B. spa, con la quale la verificata, la srl S.S. intratteneva rapporti d’affari. In altri termini, davanti alla denominazione ‘B.’, l’ufficio ha cercato nell’ambito dei soggetti con i quali lo S. già intratteneva regolari rapporti e, una volta censita la srl B., ha individuato il soggetto denominabile ‘B.’ a quest’ultima più prossimo, vale a dire il suo legale rappresentante M.B. – e cioè la persona fisica che, in forza del rapporto organico, di quella società era espressione nella gestione dei regolari rapporti d’affari. Il giudice d’appello ha ritenuto che dalla ricostruzione di cui sopra, sulla base di presunzioni logicamente coerenti fondate sulla prossimità commerciale, considerate gravi, precise e concordanti, risultava provato che il nome B. non poteva che corrispondere al sig. M. B., che era quindi il percettore delle somme indicate nel brogliaccio ed escluse dalla contabilità legale (‘o come persona fisica o come rappresentante legale, delle some indicate nella contabilità in nero dello S. srl, pagate al B., sempre lui è stato il percettore’)”.

Breve nota sui compensi in nero provati da documenti extracontabili

L’accertamento dell’ufficio può fondarsi anche su documenti extracontabili (brogliacci e scritture varie rivelatrici di una contabilità in nero; matrici di assegni a favore di determinati soggetti; contratti, accordi ; verbali di assemblee societarie, di riunioni di collegi sindacali; appunti contenenti nomi e/o cifre di clienti e/o fornitori; ritrovamento di scritture private…).

La sentenza che si annota si pone sulla scia di precedenti pronunce.

Proprio di recente, con la sentenza n. 19424 del 30 settembre 2015 (ud. 23 giugno 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che la cosiddetta contabilità in nero (nel caso di specie, un quadernone)

“è da ricomprendersi tra le scritture contabili dell’impresa disciplinate dall’art. 2709 e seguenti c.c., che essa fa conseguentemente prova di quanto vi è scritto nei confronti dell’imprenditore, che costituisce perciò un valido supporto indiziario a cui può appellarsi il fisco nella sua azione accertatrice, che spetta quindi al contribuente dare la prova contraria in grado di sovvertirne il responso e infine che ‘le situazioni di dubbio non si possono risolvere in danno dell’ufficio’. Inoltre, “fermo il valore indiziario delle annotazioni extracontabili e che competa perciò al contribuente fornire la prova del contrario”, osserva la Corte che “le situazioni di dubbio non si possono risolvere in danno dell’ufficio”. E pertanto, la cosiddetta contabilità in nero, rappresenta “un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39”, e quindi “compete al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, mentre le situazioni di dubbio devono essere risolte in senso favorevole all’ufficio”.

Sul punto, la Corte di Cassazione, nel corso di questi anni, ha assunto una precisa presa di posizione. Riportiamo i pronunciamenti più recenti e i principi fissati.

  • Con la sentenza n. 23185 del 17 novembre 2010 (ud. del 7 ottobre 2010), la Corte di Cassazione ha rilevato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la cosiddetta contabilità in nero, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e segg. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (v. pure Cass. nn. 19329/2006, 19598/2003)”.
  • Con la sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire che il rinvenimento di documenti extracontabili, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva: “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).
  • Con l’ordinanza n. 12944 del 14 giugno 2011 (ud. del 19 maggio 2011), la Corte ha ritenuto che la cosiddetta contabilità in nero rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
  • Con la sentenza n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud. 5 ottobre 2011) la Corte dà ancora una volta conferma della legittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità in nero;
  • Con la sentenza n. 2890 del 7 febbraio 2013 la Corte di Cassazione (in assenza dell’annotazione in contabilità dell’acquisto di una azienda) ha legittimato l’accertamento induttivo utilizzato dall’ufficio.
  • Con la sentenza n. 15318 del 19 giugno 2013 (ud. 9 gennaio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di conti neri “detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. n. 24051 del 2011, n. 25610 del 2006)”.
  • Con l’ordinanza n. 27456 del 9 dicembre 2013 (ud. 28 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di una contabilità in “nero”. Nel caso specifico, l’accertamento si fondava su dei prospetti rinvenuti in sede di accesso, sui quali erano stati riportati dei dati significativi in ordine al maggior ricarico applicato al costo delle merci ed alle prestazioni.
  • Con l’ordinanza n. 22265 del 21 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011; Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, Cass. n. 8625/2012). Cass. n. 27456/2013; Cass. n. 4126/2013; Cass. n. 20492/13)”.
  • Con l’ordinanza n. 177 del 9 gennaio 2015 (ud. 21 novembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che la contabilità in nero, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetali, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”. Da ciò, ne consegue per la Corte, che detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, “legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli – Cass. n. 24051/2011“.
  • Con la sentenza n. 16251 del 31 luglio 2015, la Corte, pur confermando il valore della contabilità nera, ha affermato che quando, invece, come nel caso di specie, lo scostamento quantitativo tra ricavi accertati attraverso la documentazione extracontabile e quelli dichiarati è molto basso, la rilevanza non può essere assunta solo attraverso il brogliaccio. Sul punto viene richiamato un precedente (Cass. n. 13331/1992), secondo cui la compilazione di un brogliaccio, recante l’annotazione di operazioni imponibili non effettuate, “assume rilevanza … quale falsa indicazione di elementi in scritture di gravità e numero tali da rendere inattendibile la contabilità esposta” (cfr. anche Cass. 1951/2015). Per la Corte, il secondo comma dell’art. 39 DPR 600/1973 scatta “sol quando, dal raffronto tra la contabilità regolare e quella rinvenuta dai verificatori ‘in nero’, emerga uno scostamento, qualitativo e quantitativo rilevante, tale da rendere la contabilità dell’impresa, nel suo complesso, del tutto inattendibile”. Nella specie, osservano i massimi giudici, “l’analisi, in concreto, dell’entità di detto scostamento non vi è stata, da parte dei giudici d’appello, pur avendo il contribuente lamentato, anche in questa sede, che la differenza, tra i corrispettivi indicati nel ‘brogliaccio’ (costituente contabilità ‘in nero’) e quelli regolarmente annotati nella contabilità formale, di ‘sole € 8.369.555’, rappresentante una ‘lieve discrepanza, inferiore all’1%’, inidonea a giustificare la rideterminazione del reddito secondo il metodo induttivo c.d. puro”.
  • Con la sentenza n. 11957 del 10 giugno 2016 la Corte di Cassazione ha confermato che “In tema di accertamento delle imposte sul redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contrarla, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli. (Fattispecie relativa alla ricostruzione di redditi di persona fisica derivanti da collaborazione coordinata e continuativa in favore di una società, operata mediante il ricorso ai ‘brogliacci’ reperiti presso la sede di quest’ultima, nonché presso l’abitazione dell’amministratore e dei soci) (Cass. n. 24051/11, 2217/06, 19329/06, 25610/06)”. Nel caso di specie, “il documento extracontabile, sulla cui base l’ufficio si è determinato ad emettere l’avviso d’accertamento per violazione dell’imposta di bollo, è stato allegato agli atti di causa dal controricorrente, e dallo stesso può desumersi (anche se il documento è informale e la tenuta non obbligatoria, ma è stato reperito presso la sede della società contribuente nel corso di un accesso della GdF, come risulta pacificamente dagli atti di causa), la data di emissione, la data d’incasso, e il numero dei diversi assegni. Alla luce di ciò, sulla base della giurisprudenza sopra indicata, incombe al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, e nel caso di specie, i giudici d’appello hanno erroneamente ritenuto idonea quella costituita dalle fotocopie degli assegni incassati, quando è noto che la banca consente di negoziare il titolo solo a partire dal giorno della sua formale emissione da parte dell’emittente (salvo che non sia assolta l’imposta di bollo, atteso che in questo caso, l’assegno assolve la diversa funzione di pagherò cambiario)”.

6 luglio 2017

Gianfranco Antico