L'importanza dell'iscrizione al CONI per le associazioni sportive dilettantistiche

le sponsorizzazioni sono deducibili senza limitazioni dallo sponsor che ha effettuato il versamento nei confronti di una società sportiva dilettantistica a condizione che sia iscritta nel registro telematico gestito dal CONI

fiscus-stadioLe sponsorizzazioni sono deducibili senza limitazioni dallo sponsor che ha effettuato il versamento nei confronti di una società sportiva dilettantistica a condizione che sia iscritta nel registro telematico “gestito” dal CONI. Solo in questo caso opera la presunzione assoluta di spesa pubblicitaria, prevista entro il limite di 200.000 euro, dall’art. 90 della legge n. 289/2002. Diversamente, in mancanza dell’iscrizione nel registro del CONI, non trovando applicazione la predetta presunzione, la spesa potrebbe essere riqualificata di rappresentanza, con evidenti conseguenze sulla deducibilità anche ai fini IVA. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza 21 marzo 2017, n. 7202.

L’art. 90, c. 8, cit., assolve la finalità di limitazione del contenzioso, ma trova applicazione esclusivamente per le somme versate in favore di società e associazioni sportive riconosciute dal CONI.

In passato, la tendenza dei verificatori è stata spesso quella di trattare gli oneri di sponsorizzazione come spese di rappresentanza, sanzionando il comportamento delle aziende che consideravano tali spese integralmente deducibili in un unico esercizio e senza alcuna limitazione. La circostanza ha contribuito a frenare il fenomeno della sponsorizzazione con un grave danno per il settore sportivo dilettantistico.

Al fine di limitare il contenzioso circa la corretta qualificazione del rapporto contrattuale, l’art. 90 della legge n. 289/2002 è intervenuto con una specifica disposizione. In pratica, se le somme erogate, o le prestazioni in natura, effettuate nei confronti delle società sportive, non superano l’importo annuale di 200.000 euro, perde rilevanza la distinzione tra le prestazioni finalizzate alla diffusione dell’immagine aziendale e le prestazioni volte a pubblicizzare i prodotti (spese di pubblicità). L’onere così sostenuto deve essere in ogni caso considerato quale spesa pubblicitaria deducibile integralmente dal contribuente.

L’ordinanza della Corte di Cassazione ha ritenuto che la presunzione assoluta relativamente alla qualificazione dei predetti oneri (cfr Circ. Agenzia entrate n. 21/E del 2003) operi esclusivamente a condizione che le somme siano erogate in favore di una società sportiva dilettantistica.

L’articolo 90 della citata legge ha fornito per la prima volta gli elementi qualificanti tali soggetti che devono essere tutti contestualmente verificati. Uno di questi è costituito dall’iscrizione della società nel predetto registro telematico gestito dal CONI non essendo sufficiente, al fine di ottenere lo status di società sportiva, l’affiliazione alla federazione competente.

Il CONI ha istituito, con la delibera n. 1128 dell’11 novembre 2004, il predetto registro con l’intento di attribuire il riconoscimento ai fini sportivi di cui all’articolo 5, comma 5, lettera c, del D.Lgs 23 luglio 1999, n. 242. Secondo quanto precisato dall’ordinanza della Suprema Corte, la mancata iscrizione nel suddetto registro “comporta il difetto di prova in ordine ad uno dei requisiti in relazione ai quali il citato art. 90, comma 8, della L. n. 289/2002 consente, in via di presunzione legale assoluta, di ritenere applicabile ai contributi erogati, entro il limite sopra indicato, in favore di società o associazioni sportive dilettantistiche, la qualificazione di spesa di pubblicità” delle somme così corrisposte.

Conseguentemente, mancando tale requisito, la predetta presunzione non potrà essere applicata. Il soggetto sponsor sarà quindi sottoposto al sindacato dei verificatori circa la sussistenza del requisito di inerenza. Tale soggetto dovrà non solo giustificare la congruità dei costi rispetto ai ricavi, ma soprattutto dimostrare che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di un ritorno commerciale per l’impresa erogante come ribadito in più occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr da ultimo la sentenza n. 18204 del 16 settembre 2016).

1 aprile 2017

Nicola Forte