Sanzioni tributarie: principi, non punibilità, violazioni formali, errore scusabile

le sanzioni tributarie hanno subìto nel tempo numerosi interventi legislativi con l’intento di proporre un sistema più equilibato e più in linea coi tempi; in questo articolo di 14 pagine analizziamo alcuni dei punti caldi: i casi di non punibilità, l’incertezza del diritto, l’opzione per l’interpello ed i suoi effetti, il ravvedimento tramite dichiarazione integrativa, l’abuso del diritto…

 

La violazione di norme tributarie si accompagna sempre alla previsione di sanzioni, che nella generalità dei casi sono sanzioni amministrative determinate in misura fissa (più spesso in caso di violazioni che incidono su specifici adempimenti e obblighi strumentali), ovvero in misura proporzionale/percentuale (generalmente nel caso in cui la sanzione sia associata a una base imponibile evasa, ovvero a un versamento non correttamente perfezionato).

In attuazione di principi generali che sono stati direttamente trasfusi dall’ambito penale a quello amministrativo, le sanzioni tributarie risultano inapplicabili se il comportamento sanzionabile consiste in una violazione meramente formale, che non ostacola le possibilità di controllo del fisco, ovvero quando indotte da “errore scusabile”.

Inoltre, in considerazione dell’elevato livello di complessità del sistema e dell’accavallarsi di interpretazioni e aggiornamenti normativi, è stata prevista la non sanzionabilità delle violazioni indotte da incertezza interpretativa.

Principi

Nel particolare ambito del diritto tributario, taluni comportamenti (ad esempio, l’evasione fiscale) vengono sanzionati sia in via amministrativa, sia mediante specifiche norme penali.

È tuttavia evidente che differisce la fattispecie di violazione, sicché ciò che è “evasione” in sede amministrativa non lo è sempre in sede penale; anzi, nell’ordinario accertamento fiscale (emesso in esito a un’attività di controllo), con il quale può o meno coesistere la “vicenda” penale (a seguito di informativa di reato trasmessa all’Autorità Giudiziaria), non trova neppure posto la nozione di evasione fiscale.

Le violazioni sanzionate in via amministrativa sono infatti definite come “infedele” od “omessa” dichiarazione…, mentre la previsione di una “imposta evasa”, valevole come soglia minima in presenza della quale sorge la fattispecie di reato, appare solamente nel contesto penale.

Sia in ambito penale che in ambito amministrativo-sanzionatorio assume rilevanza la volontarietà del comportamento posto in essere dal soggetto agente, che può assumere connotazioni “dolose” o “colpose”, nei termini che verranno di seguito esplicati.

È inoltre evidente che la conseguenza sanzionatoria deve ricollegarsi alla violazione di disposizioni presenti nel diritto positivo, e non può semplicemente conseguire alle determinazioni dell’amministrazione prive di supporto normativo: se tale principio è vero per le sanzioni amministrative, è assolutamente inderogabile per quanto attiene alle sanzioni penali (in base al principio di legalità).

Colpevolezza

La normativa sanzionatoria tributaria, volta alla personalizzazione dell’illecito tributario, si impernia sull’articolo 5 del D.Lgs. 18.12.1997, n. 472, relativo al principio di colpevolezza. Per colpevolezza è definito l’insieme dei criteri che consentono di muovere al soggetto agente una contestazione per avere commesso il fatto antigiuridico1.

Il D.Lgs. n. 472/1997 ha accolto la concezione psicologica della colpevolezza, cioè la teoria secondo la quale la nozione in esame è identificata come il nesso psichico tra il fatto e l’autore dello stesso, nelle forme del dolo e della colpa2. Il requisito della suitas consiste nella coscienza e volontarietà della condotta in capo all’autore dell’illecito. Quanto all’elemento psicologico, esso può assumere in campo amministrativo–tributario i caratteri del dolo o della colpa.

La circolare ministeriale 10.7.1998, n. 180/E, focalizza come segue tali nozioni, in quanto utilizzabili dal Fisco:

  1. il dolo può ricondursi al cosiddetto “dolo specifico”; in base alla lettura testuale dell’art. 5, c. 4, del D.Lgs. n. 472/1997, sembra infatti che non possa considerarsi doloso il comportamento che, pur violando la legge tributaria, non sia stato adottato intenzionalmente a tale scopo;

  2. la colpa sorge quando l’illecito è «contro l’intenzione», ovvero si verifica per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Nell’impianto del decreto legislativo di riforma, “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione; fissa, cioè, il principio di personalità della sanzione individuando, quale centro d’imputazione di conseguenze giuridiche, la persona fisica che ha posto in essere il comportamento trasgressivo rispetto all’obbligo tributario”.

L’art. 5, c. 1, del decreto legislativo, riprende la previsione dell’art. 42, u.c., c.p., relativa alla responsabilità nelle contravvenzioni, e quella dell’art. 3, c. 1, della L. 24.11.1981, n. 689, prevedendo che ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

Perché sorga responsabilità sanzionatoria amministrativa, è pertanto necessario che la violazione sia stata commessa quanto meno con colpa.

Il secondo periodo del comma 1, che richiama la regola valevole in tema di responsabilità professionale (art. 2236 c.c.), esclude altresì che la semplice colpa rilevi al fine di configurare una violazione punibile a carico del consulente eventualmente in concorso con il contribuente o con l’autore della violazione, quando l’attività richiestagli attenga alla soluzione di problemi complessi.

Conseguentemente, la limitazione della responsabilità non riguarda lo svolgimento, da parte di soggetti investiti anche di attività di consulenza, di compiti di carattere esecutivo che non implichino la soluzione di problemi interpretativi o di compiti complessi.

La limitazione della responsabilità al dolo e alla colpa grave non riguarda solamente i soggetti esercenti una libera professione (ragionieri o dottori commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, etc.), poiché la consulenza tributaria è attività non protetta, sicché rispondono delle violazioni solamente per dolo e colpa grave anche i responsabili delle associazioni di categoria che forniscano ai propri associati attività di consulenza. Sono invece escluse dalla limitazione della responsabilità le attività consulenziali compiute dai dipendenti del contribuente quando lo svolgimento delle stesse sia stato loro delegato in modo formale con i requisiti idonei a trasferire la responsabilità presunta addossata dall’art. 11, secondo comma, al contribuente medesimo o al suo rappresentante.

Non punibilità

Secondo l’art. 6 del D.Lgs. 472/1997, se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, e l’errore non è determinato da colpa, l’agente non è responsabile.

È inoltre precisato che le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili.

In ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate dal D.Lgs. 08.10.1997, n. 358, se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il 5%.

A tale proposito, si rende opportuno un richiamo alla norma penal–tributaria, e in particolare all’art. 7, c. 2, del D.Lgs. 74/2000, ove è disposto che “non danno luogo a fatti punibili” le valutazioni estimative, singolarmente considerate, che differiscono in misura inferiore del 10% rispetto a quelle corrette.

In sintesi, le «valutazioni estimative» (ovvero le stime) difformi (in quanto suscettibili di generare maggiori componenti di reddito negativi, o minori componenti positivi, e pertanto un minor imponibile fiscale) sono punibili:

  1. ai fini sanzionatori amministrativi, se superano il 5%;

  2. ai fini penali, se superano il 10%.

Incertezza

Nella prassi operativa, i controlli fiscali (formali o sostanziali) attuati dal fisco non conducono all’emersione di un quantum propriamente “evaso”, ma piuttosto alla contestazione di un disallineamento tra i valori dichiarati secondo l’amministrazione e secondo il contribuente.

Ciò significa che quest’ultimo ha ritenuto di aver correttamente agito nella determinazione dell’imponibile e dell’imposta (che talvolta, in particolare per le imprese, presentano notevoli difficoltà e incertezze interpretative ed estimative), ma nonostante ciò l’amministrazione gli contesta l’infedeltà della dichiarazione e altre violazioni, perché non concorda con il suo operato in sede di autoliquidazione.

Di fronte a due o più possibili interpretazioni controverse, tutte in linea di principio fondate e in assenza di chiare indicazioni di pressi, è evidente che non possa riconoscersi alcuna “violazione” in termini assoluti: come potrebbero infatti considerarsi violate delle disposizioni non chiare, tali da indurre in errore?

Appunto in ciò sta il senso della previsione inserita nello Statuto del contribuente, che prevede la non applicazione delle sanzioni amministrative tributarie in presenza di situazioni di incertezza (causate da prassi assenti o contrastanti, dalla giurisprudenza non univoca…).

Ma anche in campo penal-tributario è difficile pensare alla punizione di un comportamento posto in essere in buona fede dal contribuente, e perciò l’applicazione della sanzione penale da parte del giudice è subordinata al riscontro del dolo specifico di evasione.

Abrogazione delle sanzioni formali

Secondo quanto è stato posto in evidenza nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 03.08.2001, n. 77/E (par. 3.1), l’art. 10, c. 3a, dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000), ha previsto la non punibilità di quei comportamenti che si traducono in una «mera violazione formale senza alcun debito d’imposta».

In attuazione di tale previsione, il comma 5-bis dell’articolo 6, D.Lgs. 472/1997 dispone la non punibilità delle violazioni che, oltre a non incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, non pregiudicano l’attività di controllo dell’Amministrazione.

Secondo la pronuncia di prassi, la natura meramente formale è più facilmente riscontrabile «nelle violazioni di norme tributarie punibili con sanzioni amministrative stabilite in misura fissa, non legata cioè all’ammontare del tributo».

Per stabilire in concreto la punibilità, o la non punibilità, delle violazioni, gli uffici fiscali sono tenuti a compiere una valutazione con riferimento ai singoli casi specifici, per stabilire se gli illeciti commessi abbiano o no causato pregiudizio all’esercizio dell’azione di controllo.

Può quindi verificarsi, secondo l’esemplificazione contenuta nella circolare, che «violazioni potenzialmente idonee ad incidere negativamente sull’attività di controllo, come ad esempio le irregolarità formali relative al contenuto delle dichiarazioni…, non siano punibili, essendo risultato in concreto che le stesse, anche per effetto dell’eventuale regolarizzazione delle medesime, non abbiano ostacolato l’azione dell’ufficio».

L’esimente non è comunque ritenuta applicabile per quelle violazioni formali che hanno ad oggetto la presentazione (entro termini normativamente predeterminati) di atti che, per definizione, sono soggetti a controllo (come, ad esempio, l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi in assenza di imposte).

Inoltre, restano sanzionabili le violazioni per le quali l’esistenza del pregiudizio all’attività di controllo «è palese per essere quest’ultima già iniziata» (a titolo esemplificativo, le violazioni consistenti nella mancata o tardiva restituzione di un questionario inviato al contribuente o nell’inottemperanza all’invito a comparire in ufficio).

Allo stesso modo, rimane punibile l’omessa tenuta delle scritture contabili prescritte dalle leggi in materia di imposte sui redditi e di IVA, e il rifiuto da parte del contribuente della medesima documentazione richiesta in sede di accesso.

Concordanza” con l’amministrazione

Come è noto, le potenziali vertenze con il Fisco possono essere evitate dai contribuenti mediante l’esperimento della procedura di interpello.

A seguito delle innovazioni apportate dal D.Lgs. n. 156/2015, l’interpello ordinario (art. 11, c. 1, lett. a, della legge n. 212/2000), che è ora la tipologia “centrale” rispetto alle altre, si sdoppia nelle due subtipologie dell’interpello ordinario puro e qualificatorio: il primo volto all’interpretazione di un dubbio interpretativo, e il secondo alla qualificazione normativa di una fattispecie concreta.

All’amministrazione è preclusa la possibilità di irrogare sanzioni nei confronti del contribuente che si è adeguato all’orientamento espresso in sede di interpello ordinario, ovvero al silenzio-assenso eventualmente formatosi. Secondo infatti l’articolo 11, c. 3, u.p., della citata legge n. 212/2000: “gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante”.

Questa previsione può ricollegarsi all’aspettativa ingenerata nel contribuente dalla risposta (o dal silenzio significativo) del Fisco, il quale in tale ipotesi è certo della portata e dell’ambito applicativo delle norme, poiché è in possesso del parere “ufficiale” dell’Ente che accerta la corretta esecuzione degli obblighi tributari.

In ambito penal-tributario, la norma parallela è recata dall’art. 15, D.Lgs. 10.03.2000 n. 74, il quale esclude la punibilità delle “violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione”.

La disposizione, che opera al di fuori dei casi di esclusione della punibilità per effetto dell’art. 47, terzo comma, del c.p. (errore sul fatto), è in linea con l’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, che prevede un’analoga ipotesi di non punibilità sanzionatorio – amministrativa nel caso di violazioni determinate da incertezza interpretativa.

Rilievi su competenza e inerenza

I requisiti psicologici (dolo e colpa, diversamente graduata) devono essere verificati in presenza di “evasione fiscale” (ambito penale), nonché di violazioni sanzionabili in via amministrativa.

Con riferimento a queste ultime, il comportamento semplicemente “colposo” del contribuente è sufficiente a rendere applicabile la sanzione.

In determinate situazioni-limite, però, appare dubbio persino che vi sia una “lesione” che debba essere riparata attraverso una sanzione.

Si considerino, a titolo esemplificativo, le seguenti ipotesi:

  • rilievo sulla competenza di un componente reddituale negativo, che anziché al periodo d’imposta X andava imputato al periodo d’imposta X-1;

  • rilievo sull’inerenza di un componente reddituale negativo, che anziché al soggetto Y andava imputato al soggetto Z.

Nel primo caso, l’esigenza di evitare concrete situazioni di doppia imposizione economico-giuridica imporrebbe di riconoscere il componente reddituale negativo (non dedotto nel periodo d’imposta X-1) ex post, mediante la rettifica della dichiarazione fiscale. Nel secondo caso, l’esigenza di evitare la doppia imposizione economica richiederebbe la rettifica della dichiarazione di Z a favore del contribuente.

Si tratta insomma di situazioni nelle quali l’azione accertativo–sanzionatoria del fisco conduce a un esito inammissibile dall’ordinamento, che impone un successivo adeguamento per eliminare il danno alle ragioni dei contribuenti e anche il prevedibile contenzioso.

Le questioni sopra evidenziate sono state esaminate dall’Agenzia delle Entrate nella propria circolare n. 1/E del 24.09.2013, le cui indicazioni possono essere ora rivedute coordinandole con l’effetto “sanante” del nuovo ravvedimento operoso (a seguito dell’art. 1, cc. 637 e ss., della legge 23.12.2014, n. 190).

Dichiarazione integrativa

Se un determinato contribuente ritiene che la propria situazione dichiarativa non sia corretta a causa dell’omessa imputazione di elementi positivi, deve quindi, prima di procedere alla sterilizzazione del componente positivo rilevato in bilancio, presentare una dichiarazione integrativa a sfavore entro i termini per l’accertamento (fine del quarto periodo di imposta successivo a quello della dichiarazione fino al 2015; fine dei quinto periodo di imposta a decorrere dal 2016, per gli accertamenti su dichiarazioni infedeli).

Le connesse sanzioni possono essere “ravvedute”, purché il contribuente non abbia ricevuto (con formale notifica) atti a contenuto impositivo e sanzionatorio da parte dell’Agenzia delle Entrate in relazione alle ipotesi che sono oggetto di ravvedimento (accertamenti, atti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero di crediti). Le sanzioni amministrative applicabili sono quelle riferite alla dichiarazione infedele, in precedenza comprese tra il 100% e il 200% della maggiore imposta (minimo e massimo edittale), e oggi tra il 60% / 90% /135% e il 120% / 180% / 270%, a seconda delle varie ipotesi prevedute dal vigente art. 1 del D.Lgs. n. 471/1997, dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158/2015 (“decreto sanzioni”). In particolare, trattandosi di questioni di imputazione a periodo, la sanzione per infedele dichiarazione sarà quella ridotta compresa tra il 60% e il 120%. In ipotesi di ravvedimento, la base di riferimento sulla quale apportare le riduzioni normativamente previste sarà quella minima edittale del 60%.

Se l’annualità in cui il componente positivo è stato omesso produce effetti anche con riferimento alle annualità successive, si rende necessario operare la ricostruzione di tutte le annualità d’imposta successive a quella per cui è stata presentata la dichiarazione rettificativa.

Se, nel rispetto delle indicazioni contenute nei principi contabili, si verifica la contemporanea correzione di errori contabili derivanti dalla mancata imputazione nel corretto esercizio di competenza sia di componenti negativi che positivi, occorre verificare se il risultato sia o meno complessivamente a favore del contribuente.

In caso di esito favorevole al contribuente (componenti positivi inferiori ai componenti negativi), occorre presentare una dichiarazione integrativa a favore qualora i termini di cui al citato art. 2, c. 8-bis, siano ancora pendenti; se invece l’annualità non è più ordinariamente emendabile, si procede alla riliquidazione delle dichiarazioni, come sopra precisato.

Se invece l’esito è sfavorevole al contribuente (componenti positivi superiori ai componenti negativi), è necessario presentare dichiarazione integrativa a sfavore, entro i termini previsti per l’accertamento, procedendo alla liquidazione delle maggiori imposte e interessi e al ravvedimento delle sanzioni.

Se un determinato componente negativo non è stato imputato nel corretto esercizio di competenza, ma in un periodo di imposta successivo, il contribuente può regolarizzare tale situazione avvalendosi del ravvedimento operoso.

Abuso del diritto

Come si è visto sopra, l’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 si occupa del principio di legalità; in particolare, da esso risulta che la determinazione dei fatti che costituiscono violazione punibile deve essere riservata al legislatore, escludendo la possibilità di integrazione analogica.

Questo principio assume una connotazione particolare in presenza di comportamenti che ora vengono qualificati come “abuso del diritto” (art. 10-bis, legge n. 212/2000), e in precedenza (anteriormente al D.Lgs. n. 128/2015) come elusione tributaria (ai sensi del soppresso art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973).

Esiste infatti giurisprudenza di legittimità secondo la quale non sarebbe sanzionabile l’elusione in quanto tale, ma solamente l’elusione che trova un riscontro diretto in una disposizione normativa: è però da dire che già l’art. 37-bis citato non precludeva un comportamento in sé e per sé, ma solamente una certa articolazione di atti, fatti o negozi che il fisco avesse individuato come “integrante elusione”. Il problema si complica considerando che l’attuale abuso del diritto è una fattispecie aperta, nella quale è possibile inserire idealmente (e discrezionalmente) un ventaglio di pratiche e casistiche.

Occorre considerare che il comportamento costituente “abuso” è tale solo a seguito di una ricostruzione effettuata dagli uffici, e quindi non obbliga il contribuente a comportarsi in sede di dichiarazione fiscale diversamente da come ha fatto (manifestando la situazione, non direttamente vietata dall’ordinamento, che è poi stata riconosciuta come abusiva dal fisco).

È quindi legittimo mantenere una “riserva mentale” circa la sanzionabilità amministrativa dell’abuso, anche se l’art. 10-bis, c. 13, della legge n. 212/2000, testualmente dispone che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

Quanto alle sanzioni penali, la riforma del 2015, in attuazione dei principi della legge delega n. 23/2014, ha quindi stabilito la non punibilità dei comportamenti costituenti abuso (o per meglio dire: dei comportamenti che, anche in combinazione tra loro, vengono “riqualificati” dall’amministrazione finanziaria come fattispecie di abuso del diritto).

Errore scusabile

Il concetto di “errore scusabile” nella materia fiscale viene impiegato per rendere non sanzionabili quelle ipotesi nelle quali vengono in essere semplici “dimenticanze” o imprecisioni determinate non da un comportamento deliberato del contribuente, ma da una distrazione che non incide, in sostanza, sulla corretta esecuzione di un adempimento.

Questo principio, spesso valorizzato dall’amministrazione sulla base di una lettura contestuale e finalistica delle norme, è stato riconosciuto, tra le altre, dalle seguenti pronunce di prassi.

  • Circolare del 24.10.2011, n. 48/E (par. 14), in materia di chiusura delle liti fiscali minori: “al riguardo, gli uffici non mancheranno…, di fare corretta applicazione del principio dell’errore scusabile, enunciato all’articolo 16, comma 9, legge n. 289/2002, secondo cui ‘in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio’. L’errore potrà ritenersi scusabile nelle ipotesi in cui il soggetto abbia osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e nel calcolo degli importi dovuti. La scusabilità dell’errore presuppone, di norma, condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo che debbono potersi accompagnare alla normale diligenza usata dal contribuente”.

  • Circolare del 19.03.2012, n. 9/E, in materia di mediazione tributaria: “qualora le somme versate siano lievemente inferiori a quelle dovute per un errore del contribuente che, anche oltre il termine di legge, abbia successivamente sanato l’errore, l’ufficio valuta l’opportunità di ritenere valido il pagamento, tenendo conto dell’intento deflativo dell’istituto e dei principi di economicità, nonché di conservazione dell’atto amministrativo. Le stesse valutazioni possono essere effettuate nel caso di lieve ritardo nel versamento da parte del contribuente o di altre minime irregolarità”.

  • Circolare del 22.04.2016, n. 13/E (par. 2.1), in materia di rateazioni: “i contribuenti interessati possono essere riammessi alla rateazione ‘a condizione che entro il 31 maggio 2016 riprendano il versamento della prima delle rate scadute’ (art. 1, comma 134, della legge di stabilità 2016). La ‘prima delle rate scadute’ è la rata dell’originario piano di rateazione il cui omesso/carente versamento ha determinato la decadenza dalla rateazione. Più precisamente, si tratta di quella rata, diversa dalla prima, per la quale non risulta effettuato il versamento alla scadenza ordinaria e neppure entro il termine di pagamento della rata successiva. In presenza di errore scusabile nel calcolo dell’importo versato a titolo di prima rata scaduta dell’originario piano rateale (riguardante, ad esempio, l’importo della sanzione dovuta), l’ufficio potrà ritenere valido il pagamento e provvedere al recupero della differenza dovuta in sede di predisposizione del nuovo piano rateale”.

23 febbraio 2017

Fabio Carrirolo

1 Cfr. «Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria», AA.VV., a cura di F. Moschetti e L. Tosi, CEDAM, 2000, p. 159.

2 Alla luce degli articoli 4 (sui presupposti dell’imputabilità) e 6 (ove sono previste le cause di non punibilità) del menzionato decreto, occorreranno, oltre al nesso tra fatto e autore, le ulteriori condizioni della capacità di intendere e volere e della conoscenza o conoscibilità della norma violata.