Ritenuta non operata dal sostituto: è possibile il ravvedimento? Quali le conseguenze?

può capitare che nell’effettuare un pagamento per il quale andrebbe operata la ritenuta, erroneamente venga corrisposta al percipiente l’intera somma, ossia che la ritenuta non venga effettuata: come viene sanzionato tale comportamento (che è diverso dall’omesso versamento della ritenuta operata)? Esistono delle possibilità di ravvedimento operoso? Sono convenienti per chi non ha adempiuto all’obbligo di operare la ritenuta?

faq-ctPuò capitare che nell’effettuare un pagamento per il quale andrebbe operata la ritenuta, erroneamente venga corrisposta al percipiente l’intera somma, ossia che la ritenuta non venga effettuata.

Ci si pone quindi il problema delle possibili conseguenze e degli eventuali rimedi, se esistenti.

Per inquadrare il problema e comprenderne la portata è opportuno aver chiaro il concetto di ritenuta, di sostituzione d’imposta, e degli obblighi procedimentali conseguenti.

 

Perché si effettua la ritenuta?

L’istituto della “sostituzione d’imposta” è previsto dal primo comma dell’art 64 del DPR 600/73 che dispone:

Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso.

Il “sostituto d’imposta” è quindi un soggetto che:

  • In forza di disposizioni di legge (le disposizioni che si trovano nel Titolo III dello stesso DPR 600/73);

  • è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri (le cosiddette ritenute che dovrà poi versare);

  • per fatti o situazioni a questi (gli altri) riferibili (le imposte non si riferiscono a presupposti impositivi del sostituto, ma a presupposti impositivi realizzati dagli altri – cd. sostituiti)

  • deve esercitare la rivalsa (ossia deve operare materialmente la ritenuta)

 

I casi in cui la ritenuta deve essere effettuata sono disciplinati nel Titolo III del DPR 600, intitolato “Ritenute alla fonte”, dall’art 23 sino all’art 30.

Ma in che consiste in concreto la “ritenuta”?

Come si può comprendere dal significato letterale del termine, consiste nel trattenere qualcosa: ritenuta è il participio passato di ritenere (nell’accezione di trattenere).

Ossia consiste in un obbligo di “non fare. Nell’obbligo, cioè, al momento del pagamento di un’obbligazione rientrante nei casi del Titolo III, di non corrispondere l’intera somma al beneficiario, ma di trattenerne una parte (nella misura indicata dalla norma), che dovrà essere successivamente versata all’erario.

Due sono, pertanto i momenti rilevanti: quello della corresponsione dell’importo netto (momento in cui la ritenuta può dirsi effettuata, ossia venuta ad esistenza), e quello del successivo versamento all’Erario, a carico del sostituto, nei termini di legge.

Fino a che la ritenuta non è operata, ossia la somma è trattenuta, non vi è neppure l’obbligo per il sostituto del relativo versamento, mancandone il presupposto.

Ai due momenti rilevanti corrispondono autonome ipotesi di violazione:

  • se la ritenuta non viene operata pur in presenza di obbligo (ossia viene corrisposto l’importo lordo), si ricade nella violazione prevista dall’art 14 del D.Lgs. 471/97, che prevede a carico del soggetto una sanzione del 20% dell’importo non trattenuto;

  • se, invece, la ritenuta viene operata, ma non versata nei termini di legge, si ricade nell’ipotesi generica di omesso versamento, prevista dall’art 13 del D. Lgs. 471/97, con sanzione edittale del 30% dell’importo non versato.

Nel secondo caso (ritenuta operata ma non versata), non vi è dubbio che il sostituto possa tranquillamente far ricorso all’istituto del ravvedimento operoso e versare in ritardo l’importo trattenuto, maggiorato di interessi e sanzioni calcolate secondo la griglia delle riduzioni di cui all’art 13 del D.Lgs. 472/97, da applicare alla sanzione base del 30%.

Ma la questione che ci interessa è il caso della “mancata effettuazione della ritenuta”, ossia il caso in cui il sostituto ha erogato l’intera cifra al percipiente, non rispettando il precetto normativo che gli imponeva di non pagare tutta la somma (il non facere), ma di trattenerne la una parte.

Si può pensare ad un’ipotesi di ravvedimento del sostituto?

Ed ancora, il percettore deve restituire la somma?

Cosa è avvenuto, in sostanza?

È avvenuto che il soggetto debitore ha estinto la sua obbligazione consegnando l’intera somma di denaro dovuta in base al contratto nei confronti del creditore. Ha quindi adempiuto all’obbligazione verso la propria controparte contrattuale, omettendo di trattenere le somme che una norma procedimentale di natura tributaria gli imponeva di non consegnare (in quanto relative ad imposte relative a presupposti riferibili esclusivamente al soggetto creditore).

Il creditore non ha quindi percepito alcuna somma indebita e non ha obbligo di restituire alcunché, avendo semplicemente ottenuto il pagamento integrale del proprio credito.

Va da sé, ovviamente, che non avendo subito alcuna ritenuta, nulla potrà esporre a tale titolo nella propria dichiarazione dei redditi e nessun importo potrà conseguentemente scomputare ai sensi dell’art. 22 del Tuir.

Ma il sostituto, resosi conto dell’errore, come può ravvedersi?

L’istituto del ravvedimento è un istituto di portata generale, quindi idoneo ad essere applicato a tutte le fattispecie di violazione. Ma come applicarlo in concreto alla violazione dell’art 14 del D. Lgs 471/97?

Per beneficiare della riduzione delle sanzioni, l’adempimento omesso o irregolarmente effettuato deve essere posto, ancorché tardivamente, nei termini previsti dall’art 13 del D. Lgs. 472/97.

Ma come si può effettuare tardivamente un adempimento che consiste in un non facere, quando si è invece “fatto”? Come si può operare tardivamente una ritenuta, quando la violazione dell’art 14 si è già integrata con la consegna dell’intera somma al percipiente?

Un esempio valga a chiarire il dubbio: se l’obbligo imposto fosse quello di mangiare alle 14.00 (obbligo di fare) e non si fosse adempiuto, si potrebbe rimediare mangiando in ritardo, per esempio, alle 17.00. Ma se l’obbligo imposto fosse quello di digiunare (obbligo di non fare) e viceversa il soggetto avesse mangiato, come potrebbe rimediare?

Il non facere è un precetto la cui violazione determina il non ritorno. Nel momento in cui una cosa è fatta riesce difficile ipotizzare un adempimento correttivo che determini che quella cosa non sia stata fatta.

Cosa fare, quindi? Analisi delle soluzioni pratiche

Una soluzione potrebbe essere quella di attendere la sanzione del 20% (se e quando dovesse essere comminata) e preventivare una definizione con acquiescenza, versandone il terzo entro 60gg dalla notifica della contestazione.

Un’altra soluzione, paventata da alcuni, che però presuppone la partecipazione attiva del percipiente, è quella di recuperare da questi le somme, e successivamente procedere al versamento.

Si può ritenere, in questo modo, di aver ravveduto l’adempimento?

Non è affatto semplice fornire una risposta univoca.

Le uniche posizioni ufficiali note dell’Agenzia delle Entrate non aiutano a sciogliere definitivamente il dubbio, essendo peraltro riferite a periodi nei quali lo scenario sanzionatorio era diverso.

Si badi bene, infatti, che con il Decreto Legislativo 158/2015 è stato modificato l’art. 14 del D.Lgs. 471/97, ed attualmente la violazione di omessa effettuazione della ritenuta sconta la sola sanzione amministrativa del 20%, mentre fino a tutto il 2015 per la medesima fattispecie operava il cumulo della sanzione del 20% e di quella del 30% relativa all’omesso versamento.

Il caso era stato affrontato nella Circolare 192/E/1998 ove, in verità, si ritenevano ravvedibili le due fattispecie, scindendo il ravvedimento dell’omessa effettuazione (violazione prodromica), da quella dell’omesso versamento (violazione indotta).

Nella R.M. 165/E/2007, peraltro, la stessa Amministrazione Finanziaria ha ritenuto che potesse essere regolarizzato a mezzo dell’istituto del ravvedimento operoso il comportamento di una società che aveva corrisposto ai propri dirigenti degli emolumenti arretrati senza effettuare alcuna ritenuta alla fonte, aveva successivamente recuperato le somme (integralmente) che aveva nuovamente corrisposto ai dirigenti, operando stavolta le relative ritenute, poi versate tempestivamente in riferimento al momento di effettuazione.

In quella circostanza l’Amministrazione Finanziaria, senza censurare la condotta adottata, concluse con la necessità di ravvedere entrambe le violazioni previste dagli artt. 13 e 14.

Viene da chiedersi, pertanto, alla luce della intervenuta modifica normativa che non prevede più la sanzione per omesso versamento (che non assurge più a violazione indotta) come ravvedere la sola sanzione dell’omessa effettuazione della ritenuta, non più violazione prodromica, ma fattispecie a sé stante.

Traendo spunto dal caso della R.M. 165/E/2007 si potrebbe quindi individuare quale soluzione quella della “remissione in termini” del sostituto che dovrebbe farsi restituire l’intera cifra corrisposta (e non il solo importo corrispondente alla ritenuta), per procedere poi al nuovo pagamento dell’importo netto, con effettuazione di quella ritenuta all’epoca non operata, da versarsi entro il 16 del mese successivo. In tal caso, ammesso che si ottenga la collaborazione del percipiente, disposto a ripristinare la situazione ex ante rispetto al suo incasso, si potrebbe configurare nel nuovo pagamento l’adempimento originariamente omesso e ritenere ritualmente perfezionato il ravvedimento operoso, con la sanzione ridotta commisurata alla sanzione base del 20%, di cui all’art 14.

Ma l’ipotesi non appare sempre di facile realizzazione e non sempre è possibile chiedere ed ottenere questo tipo di collaborazione dai percipienti.

Forse la soluzione più semplice è proprio quella di farsi carico degli effetti dei propri errori, attendere la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, e stanziare nel proprio fondo per rischi ed oneri la sanzione ridotta pari al 6,66% (in caso di acquiescenza e di pagamento entro 60 giorni dalla contestazione la sanzione si riduce ad un terzo del 20%). A ben vedere, senza coinvolgere altri soggetti, la sanzione così determinata è in fondo poco superiore a quanto si andrebbe a pagare con l’istituto del ravvedimento operoso (da un minimo del 2.22% se la regolarizzazione avviene entro 90 giorni, ad un massimo del 4% se avviene dopo la constatazione nel PVC).

10 gennaio 2017

Filippo Mangiapane