Tassazione delle royalties percepite da soggetti italiani ed esteri

Col termine inglese royalties si indica il diritto del titolare di un brevetto o una proprietà intellettuale ad ottenere il versamento di una somma di denaro da parte di chiunque effettui lo sfruttamento di detti beni; in questo articolo puntiamo il mouse sulla gestione fiscale delle royalties: l’impatto sul reddito d’impresa, l’eventuale versamento della ritenuta d’acconto, la gestione dell’IVA, il complesso intreccio con la normativa CFC e l’agevolazione patent box.

 

Tra le entità immateriali che interessano gli scambi tra imprese e gruppi di imprese, a livello internazionale o intracomunitario, le royalties meritano particolare attenzione per i profili che interessano la loro qualificazione e il loro trattamento ai fini dell’imposizione sui redditi.

Le royalties, o «canoni», corrispondono alla costituzione di un ulteriore diritto a utilizzare i diritti «di primo grado» tutelati dalla normativa interna e internazionale sul copyright.

Nell’ordinamento tributario italiano, i redditi che l’autore consegue cedendo a terzi i diritti di utilizzazione delle sue opere intellettuali rientrano tra i redditi di lavoro autonomo [art. 53, comma 2, lett. b), TUIR]; si tratta tuttavia di redditi «separati» rispetto agli altri redditi della stessa categoria o di altre categorie. In tale contesto, il percipiente può essere sia un lavoratore autonomo, che tuttavia non vede alcuna «commistione» tra i «diritti» e gli altri proventi, sia un soggetto che non percepisce affatto redditi «ordinari» di lavoro autonomo (ad esempio, un lavoratore dipendente).

Nel presente contributo si cercherà di fornire qualche elemento di conoscenza in ordine al trattamento fiscale delle royalties percepite da soggetti italiani ed esteri, anche in relazione al nuovo istituto del patent box.

 

Royalties e imposte sui redditi

La regola della «segregazione» e della separata determinazione dei redditi da «diritto d’autore» si spiega in considerazione del particolare trattamento cui soggiacciono i redditi in esame, per i quali è inibita la deduzione analitica delle eventuali spese inerenti sostenute, ma che fruiscono, ai fini del concorso al reddito imponibile complessivo, della deduzione forfettaria del 25% [40% per i giovani autori sotto i 35 anni, secondo quanto disposto dal comma 8 dell’art. 53 del TUIR, come modificato dall’art. 1, comma 318, L. 27.12.2006, n. 296, con decorrenza 1° gennaio 2007].

 

Royalties e ritenuta d’acconto

Per coloro che cedono diritti su opere intellettuali, la misura della ritenuta è quella del 20%, stabilita dall’art. 25, c. 1, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, ed applicabile anche alla generalità dei proventi per prestazioni di lavoro autonomo. Il corretto trattamento tributario dei compensi percepiti dall’autore fiscalmente residente in Italia è dunque il seguente: i proventi sono prima ridotti in misura forfettaria del 25% [ovvero del 40% per i giovani autori, come sopra evidenziato], e successivamente assoggettati a ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 20%. Il rimanente confluirà nel reddito imponibile dell’autore, entro la particolare categoria individuata dall’art. 53, comma 2, lettera b), del TUIR [ad esempio: un compenso di 1000 euro risulta fiscalmente imponibile per 750 euro, e la misura della ritenuta sarà di 150 euro, sicché l’autore percepirà effettivamente 850 euro, ma pagherà l’IRPEF e le relative addizionali solamente su 750, e la ritenuta operata verrà portata in diminuzione del carico tributario complessivo].

 

Royalties e Reddito di impresa

Alla situazione dell’autore, che trae dai «diritti» un provento imponibile, fa riscontro la situazione dell’impresa che «acquista» i medesimi diritti, per utilizzarli nell’ambito di un’attività, ad esempio, editoriale, discografica, televisiva, etc. Si esaminano quindi di seguito le problematiche afferenti il «funzionamento» dei beni in esame nel sistema economico delle imprese, in particolare sotto il profilo tributario (imposte sui redditi e IVA).

 

Royalties e Principi contabili

Per quanto attiene alla nozione di «diritto d’autore», risulta utile valorizzare le osservazioni dell’OIC [Organismo Italiano di Contabilità], nel principio contabile nazionale n. 24.

Il documento dell’OIC richiama l’art. 2575, c.c., secondo il quale sono oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo, che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, o altri mezzi multimediali di espressione qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. La tutela giuridica accordata al diritto presuppone che l’opera abbia come destinazione specifica la rappresentazione intellettuale diretta ad una comunicazione, poiché ciò che è oggetto di protezione non sono i principi scientifici o artistici contenuti, bensì la forma di espressione (libro, opera cinematografica, esecuzione).

Il diritto è acquisito con la creazione dell’opera, momento dal quale all’autore compete il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla in ogni forma e modo nei limiti fissati dalla legge. L’unica caratteristica che le opere dell’ingegno devono presentare per poter essere oggetto di tutela è costituita dall’originalità effettiva della forma espressiva, a prescindere dall’utilità pratica (economico-patrimoniale) che esse possono avere.

L’acquisto del diritto di autore, che non è subordinato alla registrazione o ad altri adempimenti formali, è attuato con la creazione dell’opera. La tutela giuridica (morale e patrimoniale) ha una durata molto lunga, estendendosi alla durata della vita dell’autore e sino al settantesimo anno solare dopo la sua morte, ed attuandosi a prescindere da qualsiasi utilizzazione pratica dell’opera.

 

Trasferimento dei diritti

Il trasferimento del diritto può attuarsi in particolare, secondo il documento OIC, attraverso i seguenti atti inter vivos:

  • contratto di edizione – con esso l’autore, contro un compenso pattuito, concede all’editore il diritto di pubblicazione dell’opera e l’editore si obbliga a riprodurre l’opera e a metterla in vendita ad un prezzo convenuto. Con tale contratto, l’autore non cede in realtà il proprio diritto d’autore, ma costituisce a favore dell’editore un nuovo diritto, che è quello relativo all’utilizzazione economica dell’opera nei limiti fissati dal contratto, ossia per un certo numero di edizioni o entro un certo periodo temporale, che non può eccedere i 20 anni. Il compenso è normalmente legato al risultato delle vendite (compartecipazione);

  • contratto di rappresentazione, per le opere teatrali, coreografiche, etc. – con esso l’autore concede la facoltà di rappresentare o eseguire in pubblico l’opera, contro un determinato corrispettivo;

  • contratto di esecuzione – equivalente al precedente per le opere musicali.

  • Il diritto d’autore in sé considerato, atteso anche che la tutela della legge prescinde da ogni utilizzazione pratica dell’opera, non può mai costituire ragione sufficiente per l’iscrizione all’attivo di un valore immateriale.

 

Ricavi diretti e indiretti

Sempre secondo le elaborazioni dell’OIC, i benefici futuri per l’impresa possono configurarsi sia in termini di ricavi diretti, sia in termini di ricavi indiretti.

Sono ricavi diretti quelli connessi alla commercializzazione dell’opera derivante da un contratto di edizione, dalla sua rappresentazione o dalla sua esecuzione diretta ad un pubblico identificato (teatri, concerti, ecc.), se è pagato un corrispettivo specifico (acquisto della riproduzione, acquisto di biglietti o abbonamenti) direttamente per quell’opera o anche per quell’opera nel contesto di una più ampia fruizione (libri, dischi, cassette, pay-tv, spettacoli dal vivo, rappresentazioni teatrali, esposizioni in mostre o musei, concerti, pubblicazioni antologiche, etc.).

Sono invece ricavi indiretti quelli connessi alla rappresentazione al pubblico attraverso radio, televisione ed altri mezzi di diffusione sonora e visiva, quando il pubblico non versa per tali rappresentazioni alcuna somma specifica, ovvero versa abbonamenti annuali connessi ad una molteplicità indeterminata di spettacoli e quindi non riconducibili neanche indirettamente a quell’opera specifica.

L’iscrizione in bilancio del diritto d’autore tra le immobilizzazioni immateriali si giustifica, secondo l’OIC, alla luce della previsione anche di una sola delle due tipologie di sfruttamento (ricavi diretti / indiretti), collegata alla formazione di piani e programmi e alla quantificazione dei costi e dei ricavi attesi in misura congrua.

 

Ammortamento e impairment test

A norma dell’art. 2426, n. 2, c.c., il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, va sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Il tradizionale criterio contabile che serve a tener conto della perdita di valore delle immobilizzazioni immateriali in genere, è quindi rappresentato dal tradizionale sistema degli ammortamenti, al quale si contrappone – nell’orizzonte dei principi contabili internazionali – quello dell’«impairment test».

Il Principio OIC n. 24 distingue tra:

  • immobilizzazioni immateriali costituite da costi pluriennali;

  • avviamento;

  • immobilizzazioni costituite da beni immateriali (brevetti, concessioni, diritti, etc.).

Con particolare riferimento al diritto d’autore, il documento OIC precisa che la legge – diversamente da quanto accaduto per la durata dell’ammortamento dei costi di impianto, delle spese di ricerca e sviluppo e pubblicità, nonché dell’avviamento – non ha posto alcun vincolo per i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno. Vale pertanto la regola generale in base alla quale la vita utile dell’immobilizzazione è determinata con riferimento alla residua possibilità di utilizzazione [durata economica] del diritto.

In considerazione dell’aleatorietà connessa allo sfruttamento di tali diritti, l’OIC ritiene però che l’ammortamento debba essere effettuato in un periodo ragionevolmente breve. Per ogni altra considerazione, è fatto rinvio alle precisazioni fornite relativamente alla trattazione dei diritti di brevetto.

Nel corso del periodo di vita utile di un’immobilizzazione, inoltre, le condizioni di utilizzo della stessa o l’operatività della società possono subire mutamenti rilevanti, e da ciò deriva la necessità di riesaminare le condizioni della residua possibilità di utilizzazione dell’immobilizzazione. Oltre alle sistematiche riduzioni di valore costituite dall’ammortamento, ogni immobilizzazione immateriale (e quindi anche i diritti d’autore) è pertanto soggetta ad un periodico riesame finalizzato a determinare se il suo valore di bilancio ha subito una perdita durevole di valore: in tale ipotesi, dovrà essere effettuata in bilancio una svalutazione ed una stima aggiornata della vita utile residua, con conseguente effetto, negli esercizi successivi, sull’ammortamento.

Il vigente art. 103 del TUIR dispone, al primo comma, che le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, oltre che dei brevetti industriali, dei processi, delle formule e delle informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico [c.d. know how] sono deducibili in misura non superiore al 50%.

Nella precedente versione, anteriore alle modificazioni apportate dall’art. 37, comma 45, lett. a), D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito dalla L. 4.8.2006, n. 248, la deducibilità era limitata a 1/3 del costo.

La modifica normativa apportata nel 2006 ha consentito la deduzione in un più breve lasso temporale del costo dei diritti di utilizzazione dei beni immateriali, allo scopo di incentivare gli investimenti in nuove tecnologie. I diritti d’autore hanno quindi beneficiato del loro «apparentamento» ai brevetti industriali e ai marchi, anche se da questi si differenziano perché non portatori, in sé, di particolari caratteristiche, come la novità, né di utilità economico-patrimoniale.

 

IAS

Mentre l’ammortamento civilistico tradizionale resta parametrato alla residua vita utile del bene [nel caso dei diritti in esame, del bene immateriale], l’avvento dei principi contabili internazionali comporta l’adozione della differente metodologia dell’impairment test.

L’ammortamento fiscale invece, come si è visto, limita la propria portata al 50% dei costi sostenuti: evidentemente, il legislatore del TUIR, nel prevedere una limitazione [originariamente ancora più forte] dell’ammortamento utile, era mosso dalla considerazione che si tratta di componenti reddituali che per la loro natura poco si prestano a una stima oggettiva.

Si rammenta comunque che l’art. 109, comma 4, del TUIR, nella versione modificata dal D.Lgs. n. 38/2005, imponeva, per garantire la deducibilità degli ammortamenti dei beni materiali e immateriali, l’indicazione in un apposito prospetto della dichiarazione dei redditi [quadro EC del modello Unico] dell’importo complessivo degli stessi, nonché dei valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi. In tale sede, occorreva render conto del «disallineamento» tra i due valori.

La legge finanziaria 2008 [L. n. 244/2007] ha abrogato il c.d. «doppio binario» fiscale/civilistico, mediante la parziale abrogazione della lett. b) del quarto comma dell’art. 109 del TUIR.

 

IVA

Con riguardo all’IVA, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 3, comma 4, lett. a), del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, sono escluse dalla qualificazione di «prestazioni di servizi» le «cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari, tranne quelle relative (…) 1) ai disegni e opere di architettura [L. n. 633/1941, art. 2, n. 5)]; 2) alle opere dell’arte cinematografica [L. n. 633/1941, art. 2, n. 6)]; 3) alle opere di ogni genere utilizzate dalle imprese a fini di pubblicità commerciale».

Se i diritti di utilizzazione sono ceduti dall’autore medesimo, quindi l’imposta non sarà generalmente dovuta [tranne che nelle due ipotesi sopra indicate], ciò che appare ragionevole, alla luce del carattere per natura instabile e «personalissimo» dei diritti considerati, quali «beni» la cui cessione sia astrattamente idonea a configurare un’operazione imponibile. L’imposta torna ad essere dovuta se, viceversa, la cessione è effettuata dall’acquirente, al di là delle sue qualificazioni soggettive.

Per le società commerciali, in particolare, l’attrazione al reddito d’impresa procede in parallelo con l’inclusione delle operazioni entro i confini del volume d’affari ai fini IVA, e tale situazione appare giustificata (rispetto a quanto accade per l’autore come persona fisica) dalla considerazione che si tratta di soggetti «imprenditoriali» dediti – generalmente con adeguata organizzazione produttiva – alla produzione, alla rielaborazione e alla negoziazione di beni immateriali.

 

Norme UE

La Direttiva del Consiglio 2003/49/CE del 3.6.2003 ha previsto, a determinate condizioni, l’esenzione da qualsiasi ritenuta fiscale delle erogazioni di interessi e canoni effettuate da società «consociate» residenti nel territorio dell’UE.

La L. 31.10.2003, n. 306 [legge comunitaria 2003] ha conferito la delega al Governo per l’adozione del decreto legislativo di recepimento [D.Lgs. 30.5.2005, n. 143].

In sostanza, la direttiva 2003/49/CE obbliga gli Stati membri a non tassare – né in via principale, tramite ritenuta alla fonte, né in via successiva, attraverso l’attività di accertamento – i pagamenti di interessi e canoni da essi provenienti .

Il trattamento dei redditi prodotti nel territorio dello Stato e tassati anche in capo ai soggetti non residenti è stato quindi differenziato in ragione della residenza [UE o extra–UE] del soggetto beneficiario.

Le ROYALTIES: tra le entità immateriali che interessano gli scambi tra imprese e gruppi di imprese, a livello internazionale o intracomunitario, i «canoni» o «royalties» meritano particolare attenzione quanto alla loro qualificazione e al loro trattamento ai fini dell’imposizione sui redditi.

 

Royalties nel diritto interno

L’art. 23, comma 2, lett. c), del TUIR, stabilisce che «ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato: (…) i compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale e scientifico».

In estrema sintesi, dunque, nel caso di royalties di fonte italiana e con beneficiario (effettivo) estero, dovrà farsi riferimento alle seguenti regole:

  • se tra l’Italia e il Paese di residenza del beneficiario non è stata stipulata una convenzione contro le doppie imposizioni, i proventi saranno considerati «prodotti nel territorio dello Stato», e ivi sottoposti a tassazione;

  • se tra i due Paesi intercorre invece una convenzione, si dovrà guardare a quest’ultima, tenendo conto che, in generale, l’art. 12, co. 1, del Modello OCSE (riprodotto dalle Convenzioni bilaterali) stabilisce il criterio dell’imponibilità nel Paese dell’effettivo beneficiario. Sono però applicate le ritenute alla fonte;

  • se i due Paesi (Paese–fonte e Paese del beneficiario) appartengono all’Unione Europea, si rendono applicabili le nuove disposizioni, in base alle quali è stabilita l’esenzione assoluta dei proventi da ogni imposta nel Paese–fonte, e dunque la tassabilità nel solo Stato del beneficiario.

 

Royalties e CFC

Come è noto, il regime delle società controllate estere (cfc) prevede, a determinate condizioni, l’imputazione al soggetto controllante italiano dei redditi prodotti dalle controllate in questione.

L’applicazione di questo regime dipendeva dallo Stato o territorio di insediamento della controllata estera, che doveva essere incluso nella black list elencata in un decreto ministeriale [D.M. 21.11.2001].

Per effetto delle modifiche apportate all’art. 167 del TUIR dalla legge di stabilità 2016 [L. 28.12.2015, n. 208], è stato eliminato ogni elenco tassativo di Stati e territori aventi regimi fiscali privilegiati ai fini dell’applicazione della disciplina cfc. È stato quindi previsto un criterio univoco e oggettivo per individuare detti Paesi ai fini della disciplina in rassegna, e cioè la presenza di un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.

In presenza di specifiche condizioni, le norme cfc divengono applicabili anche nel caso di società situate in Stati membri dell’UE o in paesi dello Spazio economico europeo [SEE] che hanno stipulato un accordo con l’Italia in merito allo scambio effettivo di informazioni a fini fiscali.

La verifica del tax rate applicato dal Paese estero di insediamento della società partecipata, che rende applicabili i vincoli se inferiore al 50% di quello italiano, deve essere effettuata solamente per le società partecipate aventi sede in Stati o territori diversi da quelli appartenenti all’UE, nonché alla Norvegia e all’Islanda [comprese entro lo SEE].

Si osserva al riguardo che il regime cfc si estende anche – a norma dell’art. 167, comma 8-bis, del TUIR – alle società i cui proventi derivano per oltre il 50% da «passive income» [dividendi, royalties, prestazioni infragruppo: c.d. cfc white].

In questa particolare ipotesi la verifica del tax rate va effettuata sulla base del livello di tassazione effettivo, e non di quello nominale.

Ciò significa che le CFC «ex black list» dovrebbero fare un test sulle aliquote nominali, mentre le CFC «non black list» dovrebbero invece continuare a procedere con il più complesso test in base alla tassazione effettiva.

 

Patent box

La «patent box» [PB] – introdotta dall’art. 1, commi 37 – 45, della L. 23.12.2014, n. 190 – si configura come un regime opzionale di tassazione agevolata applicabile ai redditi derivanti dall’utilizzazione o dalla concessione in uso di alcune tipologie di beni immateriali.

Il regime agevolato è applicabile a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 [2015 per i soggetti «solari»)].

Con D.M. 30.7.2015 sono state introdotte le puntuali disposizioni operative atte a far funzionare il regime, mentre due provvedimenti direttoriali dell’Agenzia delle Entrate – n. 144042/2015 e n. 154278/2015 – hanno definito, rispettivamente, le modalità di esercizio dell’opzione e la procedura di ruling.

L’Agenzia delle Entrate ha emanato puntuali indicazioni di prassi con la circolare n. 36/E del 1.12.2015.

Infine, la legge di stabilità 2016 – L. 28.12.2015, n. 208 – ha apportato modificazioni che circoscrivono l’applicazione del regime fiscale agevolativo sotto il profilo oggettivo e valorizzano il criterio di «complementarietà» dei beni.

È da ultima intervenuta la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7.4.2016, che ha approfondito e sviluppato molte questioni ancora aperte e non completamente risolte dalla circolare precedente.

Il regime in questione comporta l’esclusione di parte [il 50% a regime] del reddito imponibile ai fini IRES e IRAP, nonché del relativo valore della produzione netta IRAP, associati all’utilizzo diretto o indiretto di beni immateriali, con l’esclusione dei diritti su opere dell’ingegno.

L’agevolazione trova distinta applicazione per ogni singolo bene immateriale [«intangible»], riconducibile a tipologie come quelle dei brevetti, dei marchi, del know how.

L’attuazione della PB comporta rilevanti problematiche operative e presenta analogie con la determinazione dei valori adottata nel ruling di standard internazionale in materia di transfer price [TP].

Il PB attua indirizzi elaborati in sede internazionale, richiede non solamente un supporto normativo nel diritto nazionale ma anche la conoscenza dei documenti relativi al progetto congiunto OCSE – G20 denominato “Base Erosion and Profit Shifting” [BEPS] – con particolare riguardo all’Azione 5 – e delle linee guida della stessa OCSE sulla determinazione dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e per le amministrazioni fiscali, approvate dal Consiglio dell’OCSE in data 22.7.2010, e successive versioni.

Il legislatore nazionale, con l’introduzione del regime agevolato, ha voluto tutelare la base imponibile nazionale con l’obiettivo di incentivare:

  • la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere;

  • il mantenimento dei beni immateriali in Italia evitandone la ricollocazione all’estero;

  • l’investimento in attività di ricerca e sviluppo.

 

Fabio Carrirolo

15 novembre 2016