Valutare un’azienda in fase di crisi è estremamente complesso in quanto occorre adattare i principi generali di valutazione alla particolare fase di vita dell’azienda; in questa articolo puntiamo il mouse sulle criticità da affrontare e proponiamo alcuni spunti per una corretta valutazione.
La valutazione dell’azienda in crisi – Premessa
Nella molteplicità delle situazioni che si vengono a creare, nel susseguirsi dello sviluppo di una crisi d’impresa e sullo sviluppo dei possibili piani di risanamento, è necessario effettuare alcune premesse di carattere metodologico:
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occorre accettare la possibilità di adottare differenti metodologie nei casi frequenti in cui l’attività aziendale viene scissa in parti, prevedendo un diverso percorso per le diverse parti; il caso tipico è quello in cui viene enucleata la parte destinata alla liquidazione (fallimentare ovvero stragiudiziale) e vengono sviluppati business plan di recupero per la parte ritenuta salvabile e destinata alla continuità operativa, spesso da rilanciare (da soli o con terzi mediante operazioni di conferimento ovvero di fusione)
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bisogna pertanto operare su diversi piani di lavoro, in particolare: (a) un piano di lavoro in cui si valuta la parte d’impresa destinata al rilancio come entità che ha propri assetti strategici e gestionali, con possibilità di sviluppo prospettico (b) un secondo piano di lavoro in cui la parte cedibile che viene dismessa è calcolata come somma di singoli beni ovvero come somma in gruppi di beni
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la consapevolezza di lavorare, soprattutto per la parte recuperabile, con piani di sviluppo, su un valore economico come “tentativo di misurazione”, a causa delle numerose ipotesi a base della valutazione in condizioni di estrema incertezza quale è quella del recupero di situazioni di crisi
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corollario del punto precedente è la necessità di esprimere il valore finale, come un range ragionato ovvero di una sintesi valutativa ragionata, ma approssimata; la prassi più diffusa è di lavorare contemporaneamente su un “best scenario” e su un “worst scenario” (scenario migliore e scenario peggiore) come estremi del range di valutazione.
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Occorre aver sempre presente il rischio che il bene da valutare risulti soggetto ad azione revocatoria; gli articoli da 64 a 70 della legge fallimentare disciplinano una serie di fattispecie, per le quali determinati atti posti in essere dal fallito (o anche da terzi, ma con effetti sul patrimonio del fallito) possono essere dichiarati, o resi, inefficaci nei confronti della generalità dei creditori concorrenti nel fallimento, con la duplice conseguenza (a) di porre nel nulla l’attribuzione patrimoniale conseguita dal soggetto convenuto in revocatoria; (b) di produrre conseguentemente una serie di corrispondenti “implementazioni” del patrimonio del fallito, e quindi della percentuale di recuperabilità dei crediti ammessi al passivo.
Una rassegna dei metodi di valutazione d’azienda disponibili
Di seguito viene effettuata una sintetica carrellata dei principali metodi di valutazione, per aziende o rami d’azienda, indicati dalla tecnica e di comune utilizzo.
Metodo patrimoniale semplice.
Esso consiste nella valutazione dei singoli componenti dell’attivo e del passivo desumibili dai bilancio di esercizio, rettificato in aumento o diminuzione in funzione di eventuali differenze riscontrabili fra valori iscritti a bilancio e eventuali diversi valori applicabili per il fine della valutazione della società, che possono originare plus ovvero minusvalenze. Il valore risultante è denominato patrimonio netto rettificato.
Metodo patrimoniale complesso.
Esso prevede che al patrimonio netto rettificato, ottenuto con il metodo patrimoniale semplice, venga aggiunto il valore dei beni immateriali non contabilizzati a bilancio, quali: marchi, brevetti, costi di ricerca e sviluppo, avviamento, concessioni o licenze. Per una definizione ed inquadramento dell’avviamento vedasi un apposito successivo paragrafo 3.4.1
Le valutazioni di tipo patrimoniale sono indicate e sviluppate nei PIV al Par. III.1.28 e segg.
Metodo reddituale.
Il modello reddituale si basa su una previsione dei flussi reddituali attesi attualizzata ad un tasso coerente con i flussi prescelti, eventualmente con un determinato fattore di crescita stimato. Per effettuare il relativo conteggio occorre normalizzare i redditi passati, depurandoli da elementi anomali o straordinari e effettuare stime sui possibili redditi futuri. L’orizzonte temporale di sviluppo dei redditi può essere all’infinito, ovvero per un determinato arco di anni
Le valutazioni reddituali sono indicate e sviluppate nei PIV al Par. III.1.31 e segg.
Per approfondire: La valutazione d’azienda: il metodo patrimoniale e il metodo reddituale
Metodi complessi o misti reddituali – patrimoniali.
Trattasi del metodo UEC complesso, che unisce le caratteristiche del metodo patrimoniale e del metodo reddituale, bilanciando così l’aspetto patrimoniale con quello reddituale dell’azienda da valutare. La parte reddituale è basata sull’attualizzazione di sovra redditi rispetto a paralleli investimenti effettuati in assenza di rischio
Il metodo misto patrimoniale- reddituale viene indicato dai PIV al Par. III.1.33, assieme al altri metodi (EVA e Residual income method) che esplicitano la creazione di valore
Metodi finanziari basati sui flussi di cassa (cd metodi DCF discounted cash flow).
Tali metodi si basano sulla previsione dei flussi di cassa originati dalla gestione aziendale opportunamente attualizzati. In questo caso bisogna pertanto disporre non solo di previsioni sui redditi futuri conseguibili, ma anche sui futuri andamenti patrimoniali e finanziari e conseguentemente sui relativi flussi di cassa aziendali.
I flussi di cassa futuri vengono normalmente attualizzati in due tranches: la prima lungo un arco temporale che può variare da 3 a 5 anni, una seconda parte (il cd terminal value) su un arco temporale molto più lungo, ovvero all’infinito.
Il metodo DCF viene indicato dai PIV, assieme al metodo DDM (Dividend Discount Model), al Par.III.1.35 e segg
I metodi basati sui multipli
Forniscono valutazioni di tipo relativo, nel senso che hanno l’obiettivo di determinare il valore di un’azienda tramite l’utilizzo di prezzi, che comunque fanno riferimento al mercato, di aziende simili.
Essi si basano sulla applicazione di indici, detti multipli, provenienti da operazioni e situazioni di aziende comparabili.
Lo scopo è quello di sviluppare rapporti che legano il prezzo di mercato delle aziende ai multipli o indici individuati. Possono essere utilizzati: (a) multipli di società comparabili (market o trading multiples); (b) multipli di transazioni comparabili (deal o acquisition multiples). Gli indici o multipli più comunemente usati sono EV/Ebit, EV/Ebitda, EV/Sales, Price/Book value, Price/Earning.
I metodi che si richiamano ai multipli, vengo chiamate dai PIV “valutazioni comparative di mercato” e sono sviluppate al Par. III.1.38 e segg
Occorre infine precisare che le valutazioni effettuate con il metodo DCF e con i metodi basati sui multipli è possibile operare in un’ottica “asset side” ovvero “equity side”.
Con la prospettiva asset side si stima il valore dell’azienda (Equity) in modo indiretto, valutando prima il capitale operativo dell’azienda e detraendo da esso la posizione finanziaria netta, cioè la cd leva finanziaria utilizzata per svolgere l’attività aziendale.
Con la prospettiva Equity side invece si stima il valore dell’azienda (Equity) in modo diretto.
Spesso vengono utilizzati più metodi di valutazione, procedendo poi ad una sintesi ragionata dei risultati raggiunti. I PIV al Par. III.1.42 precisano; che la sintesi deve essere razionale; pertanto vanno evitati ad esempio l’applicazione di medie a valori molto dispersi fra di loro, ovvero la presentazione di intervalli di valore troppo grandi, tali da lasciare ampi margini di discrezionalità
Spesso vengono sviluppate analisi di sensitività, al fine di comprendere come si muovono i risultati della valutazione, al modificarsi delle diverse variabili utilizzate.
L’architettura del processo di valutazione
Le condizioni di rilevante incertezza che permeano tutti i casi di valutazione aziende in crisi, in qualunque momento di svolgimento della crisi stessa, rende ancor più indispensabile la corretta esecuzione della raccolta di tutti gli elementi informativi necessari all’individuazione e conseguente esame critico degli input richiesti dai diversi metodi di valutazione applicabili
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E’ necessaria la costituzione e l’analisi di un’adeguata base informativa. Le informazioni relative possono essere raccolte sia presso la società da valutare che da fonti esterne.
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un aspetto riguarda l’attendibilità dei dati raccolti, che può derivare da controlli eseguiti dal perito stesso, ovvero da fonti esterne, quali ad esempio la società di revisione che esamina il bilancio di esercizio. Che sia presente o meno la società di revisione, le verifiche del perito non si estendono a quelle previste per una revisione contabile, ma si limitano ad un valutazione di congruità in funzione dello scopo valutativo. In qualche caso possono essere richieste apposite lettere di conforto al management aziendale (la cd Representation letter).
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i dati devono naturalmente partire dai bilanci aziendali e dai documenti contabili di dettaglio ad essi relativi. è indispensabile esaminare i bilanci consuntivi, ma spesso sono necessari anche bilanci o piani prospettici futuri
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la base informativa non si deve tuttavia limitare ai bilanci, ma estendersi ad una serie di informazioni sul business aziendale, quali: (a) il mercato di riferimento e la concorrenza, (b) le strategie aziendali, (c) il business model aziendale, (d) il management, l’organizzazione aziendale, e la governance, (e) i risultati conseguiti e i piani futuri, (f) il settore economico di appartenenza, (g) i fattori ambientali e la normativa di riferimento, (h) eventuali altre valutazioni aziendali disponibili, (i) l’assetto societario di riferimento e la distribuzione del capitale sociale
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la base informativa dovrebbe estendersi anche all’esame di perizie di parte, quando presenti; alcuni degli elementi componenti le perizie di parte possono infatti fornire utili notizie e tracce da seguire
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L’analisi fondamentale, cioè l’esame critico dei dati raccolti e la loro contestualizzazione ai fini della valutazione da sviluppare. Esa attraversa le seguenti fasi:
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l’analisi strategica a livello azienda/società. Essa ha come oggetto le caratteristiche sul lato della domanda, sul lato dell’offerta e i rapporti di filiera economico- distributiva esistenti e si pone l’obiettivo di individuare i fattori critici di successo che impattano il valore aziendale
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l’analisi critica dei bilanci, la loro riclassificazione e la loro normalizzazione; occorre in questa sede infatti valutare: (a) la presenza e le modalità di rappresentazione di eventuali variabili critiche, (b) le aree di discrezionalità lasciate dall’applicazione del codice civile e dei principi contabili, (c) la presenza di elementi straordinari e/o anomali rispetto alla gestione caratteristica, (d) gli aggiustamenti ritenuti opportuni per gli scopi della valutazione
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particolare rilevanza hanno normalmente le previsioni economiche, patrimoniali e finanziarie, che possono estendersi su un arco temporale che va da un minimo costituito dal budget annuale a piani pluriennali fino a 3 – 5 anni; i piani vanno analizzati sotto vari profili: (a) la completezza e la coerenza dei piani, (b) l’ampiezza e la profondità dell’informazione fornita, (c) l’attendibilità dei piani e dei dati in essi contenuti, (d) la sostenibilità, soprattutto sul piano finanziario e della disponibilità di capitali
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nel caso di previsioni economiche, a causa della loro incertezza, vengo spesso forniti diversi scenari di sviluppo futuro dei piani stessi; gli scenari possono essere classificati sulla base della loro realizzabilità: (a) valori in atto quando i valori emersi presuppongono uno stato a regime, conservando nel tempo le condizioni attuali, (b) valori potenziali quando gli sviluppi futuri sono conseguenza di nuovi programmi di sviluppo
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Dopo aver raccolto e studiato gli elementi indicati nelle precedenti fasi 1 e 2, l’esperto valutatore dovrebbe essere in grado di avere un quadro complessivo, al fine di orientarsi verso la scelta del o dei criteri di valutazione da utilizzare in concreto. Inoltre la costruzione del materiale e quindi delle informazioni utili, per portare a termine l’incarico di valutazione, è indispensabile in questo contesto. Esso infatti consente attraverso l’esame e lo studio dei trend e della dinamica aziendale, di comprendere e tipizzare la crisi dell’impresa. In particolare:
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è necessario considerare la disponibilità e la coerenza dei dati raccolti al fine di poter applicare i differenti metodi valutativi, ad esempio: (a) al fine di applicare metodi basati su flussi futuri, di reddito avvero di cassa, è necessario disporre di stime future attendibili e coerenti, utilizzabili ai fini della valutazione; (b) per applicare metodi basati sui multipli occorre poter disporre, da un lato di aziende comparabili ovvero di transazioni comparabile, dall’altro di opportuni parametri utilizzabili per la comparazione; (c) eventuali discrepanze fra dati consuntivi e dati prospettici devono generare perplessità e conseguenti approfondimenti da effettuare
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è indispensabile effettuare una valutazione dei rischi connessi all’utilizzo dei vari metodi. Si premette che l’incertezza è un fattore sempre presente nelle valutazioni, l’alea si manifesta per definizione attraverso la variabilità che può manifestarsi in qualunque dato inserito nel processo valutativo. Per gestire queste ineliminabili incertezze, il valutatore dispone: (a) lo strumento dell’analisi per scenari ovvero la sensitivity analysis; (b) la scelta di differenti metodi, se operata con consapevolezza e professionalità, con può essere un altro strumento per gestire l’incertezza.
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Metodi di valutazione per la parte aziendale destinata alla continuità
I beni aziendali destinati alla continuità è opportuno vengano valutati con un metodo che consideri l’intera azienda come un complesso, con proprie strategie e piani di recupero e/o di sviluppo temporale.
I metodi utilizzabili risultano pertanto (a) il metodo DCF, (b) il metodo misto patrimoniale – reddituale, (c) il metodo reddituale, tutti con qualche precauzione supplementare, di seguito esposta e purché si disponga di piani aziendali credibili di risanamento e/ o di sviluppo.
In assenza di adeguati piani restano i metodi patrimoniale semplice e complesso; i piani sono anche utilizzabili qualora si voglia applicare più di un metodo di valutazione ovvero, utilizzabili in un confronto, per capire quanto i piani di sviluppo e il metodo DCF pervengano a conclusioni plausibili.
IL calcolo DCF andrebbe declinato nell’ipotesi “asset side”, avendo riguardo che la leva finanziaria, da portare in detrazione della valutazione asset side, sia rappresentata dai mezzi finanziari necessari per il risanamento.
Si manifestano molte perplessità sull’applicazione dei metodi basati sui multipli, sia quelli che fanno capo al mercato che quelli basati su transazioni comparabili: viene infatti a mancare il presupposto della comparabilità, infatti detti metodi presuppongono una comparabilità fra aziende “in normali condizioni di funzionamento normali” operanti sul mercato
Le cautele supplementari da adottare, in particolare riferite al metodo DCF, nel caso di aziende in crisi, riguardano:
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il calcolo del terminal value; esso è sempre la parte più soggetta a rischio, perché rappresenta il valore dell’azienda dato dall’attualizzazione dei suoi flussi di cassa, sul lungo e lunghissimo periodo, occorre in particolare riflettere sulla possibilità di non calcolare all’infinito il terminal value;
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la definizione del WACC che viene adottato come tasso di attualizzazione; in particolare bisogna prendere in considerazione l’utilizzo di differenti tassi per il periodo di sviluppo del piano e di sviluppo del terminal value;
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l’utilizzo, praticamente obbligatorio, di analisi di sensitività per saggiare il range di variabilità dei risultati, al cambiamento delle sue variabili più importanti; per un opportuno approfondimento delle relativa tematica.
Avviamento positivo (goodwill) o negative (badwill)
Nei processi valutativi di aziende in crisi prima delle operazioni di risanamento, ovvero nel corso delle operazioni di risanamento, in presenza o meno di procedure concorsuali, si può manifestare il caso di valutazione di avviamento (goodwill), ovvero, più frequentemente di badwill (avviamento negativo).
Come noto, l’avviamento (positivo) rappresenta il maggior valore attribuito ad un complesso aziendale, rispetto al suo valore contabile.
Questo elemento non può essere oggetto di vendita autonoma, non è un bene tangibile, ma la sua esistenza accresce il valore complessivo dell’azienda (Borsa italiana).
L’avviamento (positivo) può essere calcolato:
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con metodo diretto, mediante il quale il valore di avviamento è determinato considerando i sovra o sotto rendimenti attesi generati dal complesso aziendale rispetto ad una misura considerata medio – normale,
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con metodo indiretto, mediante il quale il valore è determinato per differenza fra il valore attribuibile all’impresa nel suo complesso e il valore attribuibile alle singole attività e passività,
L’avviamento (positivo) dipende pertanto da qualità che l’azienda possiede, quali il buon nome sul mercato, un efficiente management, una clientela selezionata, la presenza di finanziatori di fiducia, un apparato produttivo ottimale. Esso si manifesta nella capacità dell’impresa di produrre reddito con continuità nel tempo.
Il badwill (avviamento negativo) riduce il valore del complesso aziendale e si manifesta con una redditività negativa per periodi di tempo non brevi. L’avviamento negativo si manifesta spesso quando un acquisto di partecipazione si rivela di fatto “un cattivo affare” e il suo valore economico appare inferiore al corrispondente patrimonio netto contabile
L’avviamento, quale voce positiva può già apparire fra le attività immateriali in bilancio, quando un importo sia stato pagato per l’azienda (partecipata) cui fa riferimento l’avviamento stesso. Anche il badwill può apparire in bilancio, ma al passivo fra i fondi stanziati
L’affitto d’azienda o di ramo d’azienda
Il contratto d’affitto d’azienda (o ramo di essa) è un contratto, previsto dagli articoli 2561 e 2562 del Codice civile, con il quale il proprietario di una azienda trasferisce ad un terzo la gestione della stessa in cambio di un canone periodico, mantenendo però la proprietà.
L’affittuario può liberamente disporre dei beni, avendo solo l’obbligo di riconsegnarli nelle medesime condizioni con cui li ha ricevuti, alle fine della durata del contratto
L’obbligo di mantenimento dell’efficienza è introdotto dall’articolo 2561, comma 2, del Codice civile: l’affittuario deve mantenere in efficienza l’azienda consegnatagli ed altresì mantenere l’entità delle scorte, se anche queste ultime sono state date in locazione insieme all’azienda.
Questo obbligo comporta, ad esempio, che le manutenzioni ordinarie agli impianti debbano essere eseguite dall’affittuario
L’affitto d’azienda può aiutare nella gestione delle crisi d’impresa. Spesso è visto come una soluzione ponte, in attesa di individuare un possibile acquirente del relativo comparto aziendale.
Quando un’azienda è in crisi ed è in pericolo la continuità della sua gestione, questa soluzione permette di non azzerare il business e, nel contempo, di non far gravare sul nuovo gestore le passività del precedente imprenditore, che restano in capo allo stesso.
Spesso l’affitto è considerato come un’operazione finanziaria alla stregua di una cessione con pagamento dilazionato. In tal caso il prezzo dell’azienda è calcolato secondo i metodi precedentemente indicati (con prevalente utilizzo dei metodi patrimoniali) e i canoni sono considerati quali anticipi sul pagamento della cessione finale.
Se il contratto è pluriennale, come nella maggior parte dei casi, bisogna effettuare un calcolo del tasso di interesse del periodo. Il tasso di interesse è il tasso interno di rendimento TIR ossia il saggio che azzera il valore attuale netto dell’investimento.
Per un approfondimento sul TIR (e più in generale sugli strumenti matematici disponibili nelle valutazioni di finanziamenti e investimenti.
Se il contratto non viene stipulato alla stregua di una cessione differita nel tempo, il canone d’affitto va calcolato come prodotto fra il valore dell’azienda, normalmente calcolato con i metodi patrimoniali (semplice o complesso), e un congruo tasso di rendimento del capitale investito rappresentato dal valore-azienda.
Circa il tasso in questione esso andrebbe calcolato, considerando: l’alea sopportata dal locatore che dipende da molti fattori, quali il rischio operativo d’azienda, il livello di solidità del conduttore, le garanzie prestate.
Quindi il tasso è prevalentemente in funzione della solidità del conduttore e può oscillare da un minimo rappresentato dal tasso “risk free” ad un massimo rappresentato dal costo del capitale, che per semplicità può essere determinato sulla base di dati medi di settore
La formula sarà
C = i * W
Ove C = canone d’affitto
I = tasso di rendimento
W = valore dell’azienda
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28 novembre 2016
Angelo Fiori