La valutazione d’azienda: il metodo patrimoniale e il metodo reddituale

La valutazione d’azienda è una problematica che, sempre più di frequente, l’economista d’impresa, si trova a dover affrontare; si tratta di un argomento oggetto di vasta e specializzata letteratura, periodicamente stimolata dalle nuove e sempre più complesse esigenze di cui il mondo imprenditoriale si è fatto, nel tempo, portatore. (A cura di Umberto Fruttero)

La valutazione d’azienda

valutazione d'aziendaNei primordi di questa importante branca della consulenza aziendale, i dettami valutativi erano essenzialmente caratterizzati da fattori di natura empirica; solo in tempi più recenti, dall’inizio degli anni ottanta, si è assistito ad una radicale inversione di tendenza che ha indotto il pensiero valutativo ad elaborare modelli di stima sempre più sofisticati e quanto più possibile, ancorati a criteri di riferimento comunemente accolti e oggettivamente individuati.

Valutare è un procedimento lungo e complesso, coinvolge aspetti non solo ragionieristici, ma anche fiscali e giuridici, ambientali, di mercato e geografici; aspetto della massima importanza è la scelta dell’approccio valutativo il quale deve essere sempre correlato allo scopo che s’intende perseguire.

Sarebbe infatti erroneo ritenere che i valori attribuiti ad un’azienda in funzionamento coincidano, ad esempio, con i valori attribuiti alla stessa azienda in sede di fusione, cessione, conferimento, trasformazione o liquidazione.

Conseguenza diretta di questo indirizzo, ormai consolidato, è, quindi, che un patrimonio deve necessariamente ricevere l’attribuzione di un valore che sia diverso a seconda del fine proprio cui la valutazione è diretta.

Per ciò che concerne l’oggetto della valutazione in sè, ossia l’azienda, l’art. 2555 del Codice Civile, la definisce come quel “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Da questa definizione si evince come il valore dell’azienda non possa essere considerato come la semplice somma del valore dei singoli beni che la compongono; essa va considerata, invece, come un complesso dinamico, in altre parole, come un insieme d’elementi organizzati; sarà l’imprenditore, con le sue capacità relazionali, metodologiche, previsionali e gestionali, che provvederà a coordinare ed omogeneizzare i singoli beni aziendali, indirizzando il tutto verso lo scopo primario, ossia la produzione di un reddito adeguato agli investimenti operati e al rischio assunto.

L’azienda può essere definita, per le finalità che qui interessano, come un’”universitas rerum”, ovvero un complesso omogeneo e organizzato comprendente beni mobili, immobili e immateriali (come l’avviamento, i marchi d’impresa e diritti d’autore), rapporti di lavoro, contratti in essere (come appalti, forniture, locazioni, leasing) debiti, crediti, ecc.

Compito del commercialista o comunque, del perito in genere, è, dunque, quello di attribuire un valore economico al complesso organizzato dall’imprenditore.

Tale processo, è bene ribadirlo, viene condizionato da molteplici fattori, quali la tipologia d’attività svolta, il luogo, il tempo, i dati disponibili e naturalmente, lo scopo che s’intende perseguire e di conseguenza, il metodo valutativo prescelto.

Circa quest’ultimo aspetto la dottrina ha elaborato dei criteri di stima che, sostanzialmente e con le loro ulteriori specificazioni, possono essere così sinteticamente elencati:

a) Metodo patrimoniale (semplice e complesso)
b) Metodo reddituale
c) Metodo finanziario
d) Metodi misti

 

 

Valutazione d’azienda con metodo patrimoniale semplice

Tale metodo è senza dubbio il meno complesso nella sua applicazione pratica, consente, infatti, di valutare l’azienda riesprimendo le poste attive e passive, di bilancio, da valori contabili in valori correnti.

Sarà, in proposito, necessario procedere ad analizzare ogni singola componente, attiva e passiva, dello stato patrimoniale ed operare un adeguato intervento di revisione contabile e quindi di rettifica dei valori.

Partendo dal patrimonio netto contabile, dato dalla differenza tra l’attivo e il passivo patrimoniale quale risulta dal bilancio redatto secondo criteri ordinari, si applicano al suddetto valore contabile, le rettifiche, in aumento o diminuzione, operate in sede di revisione.

Nell’operare le rettifiche in parola sarà necessario procedere utilizzando dei criteri ben precisi che, a titolo esemplificativo e non esaustivo, possono così, sinteticamente, essere rappresentati:

  • il valore delle immobilizzazioni materiali, dovrà essere esposto al valore di mercato o di sostituzione;
  • circa le rimanenze, invece, è necessario fare delle distinzioni; i prodotti finiti devono essere valutati al minore tra il più recente costo di produzione e il costo medio di vendita al netto di quelli che si prevedano essere gli oneri di commercializzazione, oppure al prezzo di mercato; le materie prime al valore di mercato o sostituzione; i semilavorati, infine, sono valutati al costo più recente di produzione;
  • i titoli quotati vengono valutati secondo i listini di mercato e vale quindi il prezzo attuale al momento della stima; i titoli non quotati si considera attendibile il valore nominale o il prezzo di acquisto;
  • i crediti possono essere esposti al valore nominale, salvo il caso in cui si abbia notizia circa la loro parziale esigibilità, in tal caso la valorizzazione dovrà avvenire con il criterio del presunto realizzo;
  • i debiti generalmente vengono valutati al valore nominale (nel caso non siano previste spese aggiuntive di sorta);
  • dei fondi accantonati (ad esempio TFR) se ne accerta la congruità;

 

Una volta operate le rettifiche, il valore dell’azienda sarà quindi espresso dalla seguente formula:

W = K

In cui:

W = valore dell’ azienda;

K = patrimonio netto contabile + variazioni in aumento – variazioni in diminuzione (ossia, +/-rettifiche) = patrimonio netto rettificato

 

 

Valutazione d’azienda col metodo patrimoniale complesso

Questa metodologia valutativa si discosta da quella appena esaminata per il fatto che vengono stimate le grandezze immateriali di durata ultrannuale (quali ad esempio, marchi, brevetti, diritti d’autore) e la cui cessione possa avvenire anche separatamente rispetto agli altri beni e che, eventualmente, non siano stati inseriti in contabilità.

I metodi di valutazione dei beni immateriali possono essere di natura empirica in quanto basati sulla conoscenza dei prezzi di cessione relativi agli stessi beni individuati da aziende operanti in settori similari.

Altre tecniche valutative possono essere rappresentate dalla sommatoria dei costi sostenuti per la realizzazione del bene o degli oneri necessari per la sua riproduzione; è possibile, infine valutare il bene in funzione dei benefici, calcolati in termini di maggiori ricavi futuri, conseguenti al possesso del bene in questione e procedendo alla attualizzazione dei dati così ottenuti.

In conclusione, la formula rappresentativa di questo modello valutativo potrebbe essere la seguente:

W = K+ I

In cui I corrisponde al valore dei beni immateriali stimati.

Sia per il metodo patrimoniale semplice che per quello complesso è, infine, necessario tenere conto del risultato di esercizio infrannuale e il relativo carico tributario, oltre agli oneri legati alla fiscalità latente dovuta, ad esempio, alle eventuali plusvalenze potenziali conseguenti alla rivalutazione dei beni strumentali e delle rimanenze.

Naturalmente i valori calcolati (utile o perdita) e l’impatto fiscale, sia effettivo che latente, andranno ad influenzare il valore complessivo dell’azienda (in aumento e/o diminuzione).

 

 

Valutazione d’azienda col Metodo reddituale

Con questo metodo l’azienda è considerata quale complesso unitario organizzato e il suo valore è posto in funzione del reddito che la stessa è in grado di generare.

 

Il valore dell’azienda può essere stimato con riferimento ad un arco temporale illimitato e in questo caso, la formula di riferimento è la seguente:

W = R / i

 

In cui R, corrisponde al reddito medio prospettico normalizzato; i = tasso di valutazione;

Il calcolo di R presenta notevoli difficoltà, non fosse altro per il fatto che si tratta di un valore basato su delle previsioni le quali, per quanto attente e affinate, portano in sé, comunque, un certo grado di soggettività e un discreto margine di errore.

Tuttavia è condivisibile la tendenza generalizzata per cui l’arco temporale di riferimento per effettuare previsioni reddituali non ecceda mai i 3/5 anni.

Un metodo di riferimento per la valorizzazione della capacità reddituale futura potrebbe essere rappresentato dalla media dei redditi prodotti negli ultimi 3/5 esercizi.

Qualora si possiedano informazioni certe o comunque attendibili circa elementi che possano influenzare il reddito futuro rispetto al reddito medio derivante dai risultati storici, sarà possibile affinare il calcolo del reddito medio coordinando elementi consolidati (redditi passati) con elementi di natura previsionale.

La disponibilità, da parte dell’azienda, di budget già redatti e relativi ai successivi 3/5 anni, potrebbero essere di notevole ausilio per stimare la capacità reddituale prospettica.

Inoltre previsioni di mercato, studi mirati circa le potenzialità future dell’azienda, in funzione del posizionamento geografico o del tipo di attività svolta, costituiscono elementi di straordinaria importanza per ridurre al minimo il grado di soggettività.

Una volta acquisito il dato del reddito medio prospettico, è necessario procedere, infine, alla sua normalizzazione; tale procedimento consiste nel depurare, il valore calcolato, di tutti gli elementi positivi o negativi, di natura straordinaria o anomala, che hanno condizionato, nel passato (nel caso si utilizzino dati storici), o che si presume influenzeranno nel futuro, la determinazione del reddito di impresa.

Il valore, così calcolato, viene, poi, ulteriormente diminuito del carico tributario (Ires e Irap)

La fase successiva del processo di stima comporta la determinazione del tasso di valutazione, il quale è rappresentato, in formula, dalla lettera “i” ed è dato dalla somma di 2 diverse componenti:

  1. tasso “puro”, proprio degli investimenti con rischio vicino allo zero (titoli di stato a reddito fisso) = i’;
  2. premio per il rischio = i’’;

Il valore di cui al punto 1. è di facile reperimento; maggiori difficoltà, invece, si incontrano nella determinazione del premio per il rischio (punto 2).

 

 

Capital Assets Pricing Model

La pratica professionale assume come punto di riferimento la teoria del C.A.P.M. (Capital Assets Pricing Model) la quale indica nel coefficiente Β:

  • uno degli elementi essenziali per il calcolo del suddetto premio; si tratta di un indice che misura il rischio legato al settore in cui opera l’azienda; in particolare, i valori di
  • oscillano per importi prossimi all’unità, per cui:

Se  Β > 1 l’investimento presenta un rischio superiore alla media del settore;

Se  Β < 1 l’investimento presenta un rischio inferiore alla media del settore;

Se  Β = 1 l’investimento presenta un rischio in linea con la media del settore;

 

Il coefficiente Β o indice di rischiosità del settore, dovrà, poi, essere, ponderato per il rendimento medio del mercato di borsa (r) diminuito del tasso puro (i’); il premio per il rischio (i’’), in formula, sarà dato, quindi, da:

i’’= Β* (r – i’)

 

Per quanto sino ad ora detto, si ha che il tasso di valutazione “i“ può essere rappresentato dalla seguente formula:

i = i’ + Β * (r – i’) + S

dove s è il tasso di inflazione atteso.

 

Nel caso, invece, in cui si intenda procedere alla valutazione dell’azienda facendo riferimento ad un periodo di tempo limitato, oltre a “R” e “i”, sarà necessario individuare “n”, ossia l’arco temporale di riferimento (n = numero anni); in questo caso la formula sarà data da:

 

W =

R * a          

 

 

n

i

 

Il valore dell’azienda è dato dalla attualizzazione del reddito medio prospettico con durata n al tasso i.

La formula sopra esposta può essere anche rappresentata come:

 

W = R* [(1+i)n – 1 / i (1+i)n]

 

Se, in alternativa, anziché adoperare il reddito medio prospettico, si utilizzassero dei valori puntuali, si avrebbe la seguente formula:

 

W = Σ Rt / (1+ i)t

In questo caso la componente reddituale è fornita da singoli redditi calcolati per ogni annualità di durata dell’azienda o, comunque, per tutti gli anni dell’arco temporale prescelto ai fini della valutazione, (t = 1; t = 2 ….).

 

Il simbolo   Σt/(1+i)t rappresenta, quindi, la sommatoria di tutti i flussi di reddito Rt per t che va da 1 a n attualizzati al tasso i.

 

 

 

Continua a leggere La valutazione d’azienda (parte II) : il metodo finanziario e i metodi misti >>

 

 

a cura di: Umberto Fruttero

22 Dicembre 2005

 

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