Associazioni sportive dilettantistiche, fatture inesistenti e sponsorizzazioni a rischio

un giudizio avente ad oggetto accertamenti su sponsorizzazioni ad associazioni sportive dilettantistiche che nascondono operazioni inesistenti

camp-nouLa CTR della Toscana, con la sentenza n. 897/31/16 del 16 maggio 2016, ha espresso argomentazioni che meritano di essere evidenziate, in particolare laddove individuano i meccanismi processuali “tipici” di un giudizio avente ad oggetto accertamenti su sponsorizzazioni ad associazioni sportive dilettantistiche.

Nel caso di specie, a seguito di verifica fiscale per l’anno 2007 eseguita nei confronti di alcune associazioni sportive dilettantistiche, emergeva che le predette associazioni avevano emesso alcune fatture nei confronti di una Srl, che gli accertatori ritenevano relative ad operazioni sia soggettivamente che oggettivamente inesistenti.

Di conseguenza veniva emesso a carico di quest’ultima società avviso di accertamento.

Il Curatore del fallimento della Srl proponeva dunque ricorso avverso il suddetto avviso, deducendo, preliminarmente, la nullità dell’avviso sia per inesistenza della notifica, che per decadenza dal potere di accertamento per l’anno in esame e per difetto di valida sottoscrizione.

Nel merito la ricorrente eccepiva carenza di motivazione dell’avviso, mancata allegazione del pvc sul quale questo era fondato e violazione art.39 DPR 600/73 per la inidoneità degli elementi probatori a supportare la pretesa tributaria.

La Commissione Tributaria Provinciale, superando le questioni pregiudiziali, entrava direttamente nel merito e ritenendo che le prove fornite dal contribuente fossero idonee a superare gli elementi presuntivi presentati dall’Ufficio, accoglieva il ricorso.

Avverso tale decisione proponeva quindi appello l’Agenzia delle Entrate, deducendo la erroneità della decisione della Commissione Provinciale, che, a suo avviso, non aveva tenuto nel debito conto gli elementi probatori offerti dall’Ufficio per la dimostrazione della inesistenza delle operazioni sottese alle fatture recanti il costo recuperato a tassazione.

La Commissione Tributaria Regionale, prima di passare al merito, esaminava dunque le questioni preliminari riproposte dalla parte appellata, rilevando come, in ordine alla inesistenza della notifica per non esservi la prova documentale della consegna del plico al destinatario, lo scopo della notifica è comunque quello di far pervenire nella disponibilità del soggetto notificato l’atto impositivo, al fine di rendere edotto il contribuente delle richieste avanzate contro di lui, potendo così, se lo ritenga, approntare le proprie difese.

E nel caso in esame la prova della ricezione dell’avviso era stata data dallo stesso contribuente, che si era puntualmente opposto all’avviso, approntando le proprie difese, anche nel merito, essendo così evidente che la notifica aveva raggiunto il suo scopo.

Anche l’eccezione di decadenza dal potere di accertamento, per essere stato il relativo avviso notificato oltre il quinquennio, era infondata.

Sia l’art.43 DPR 600/23 che l’art.57 DPR 633/73, a seguito dell’art.37 D.L. 223/06, dice la Commissione, prevedono, infatti, in caso di violazione comportante l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art.331 cpp per uno dei reati previsti dal D.L. 74/2000, che i termini siano raddoppiati.

Come statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza 247 del 2011, il raddoppio del termine non è del resto una proroga di quello ordinario, ma un termine fissato direttamente dalla legge (quindi non a discrezione della Amministrazione finanziaria), che opera automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, cioè la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorge ed indipendentemente dal suo adempimento.

Il nuovo termine, che, sottolinea ancora la Commissione, non presuppone un accertamento penale definitivo, né che la denuncia sia presentata prima del decorso dal termine “breve“, opera quindi nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili da parte del pubblico ufficiale gli elementi richiesti dall’art.331 cpp per l’insorgenza dell’obbligo immediato della denuncia penale e non consegue ad una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari.

L’emissione di fatture per operazioni inesistenti violava quindi il dispositivo di cui all’art.8 D.Lgs. 74/2000 e pertanto gli accertatori avevano legittimamente ritenuto, in base alle prove raccolte, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, provvedendo alla presentazione della denuncia. E quindi alla fattispecie era applicabile il termine “lungo“.

Del pari da disattendere era, secondo il giudice di secondo grado, il motivo relativo alla nullità dell’atto per mancata sottoscrizione del direttore.

Invero l’atto era stato infatti sottoscritto da persona all’uopo delegata dal Direttore Provinciale e comunque, poiché era un atto che proveniva sicuramente dall’Amministrazione, alla stessa era riconducibile ed era quindi pienamente valido (ex multis Cass. 13512/2011),

Non vi era infine carenza di motivazione in quanto l’avviso di accertamento conteneva tutti gli elementi relativi alla contestazione che permettevano al contribuente di validamente difendersi anche nel merito, come poi infatti aveva fatto.

L’avviso, peraltro, riportava anche le dichiarazioni del legale rappresentante delle associazioni sportive, che confermavano il contesto, non importando del resto l’allegazione delle stesse all’atto di accertamento, essendo già allegate al PVC, atto pubblico fidefaciente ex art.2700 e.e., sottoscritto e quindi conosciuto.

Nel merito, poi, secondo i giudici della CTR, le doglianze dell’Ufficio erano parzialmente fondate.

L’Ufficio presumeva infatti l’inesistenza delle prestazioni fatturate, evidenziando la genericità delle voci riportate sulla fattura, che invece avrebbero dovuto specificare l’attività svolta, l’esorbitanza della sponsorizzazione, che non trovava adeguato riscontro nella prestazione di controparte, la mancata produzione di documentazione relativa alle spese, i prelievi di denaro contante poco dopo il versamento degli assegni ricevuti, la mancata iscrizione della società sportiva al Coni, le dichiarazioni del legale rappresentante sul mancato inizio dell’attività.

Per superare queste presunzioni Srl deduceva allora l’esistenza del contratto di sponsorizzazione, l’emissione di fatture per l’attività indicata nel contratto, la prova documentale fotografica della avvenuta sponsorizzazione con il nome riportato sulle magliette degli atleti, sugli striscioni nei pressi del traguardo, sull’autovettura che seguiva la corsa, la non corrispondenza fra depositi e prelievi, le spese per viaggi, trasferte, rimborsi vari, e infine i mancati accertamenti sui c/c personali del legale rappresentante e/o suoi familiari.

La società deduceva inoltre che la congruità delle somme corrisposte dallo sponsor doveva essere valutata in base al tipo di prestazione concretamente effettuata dal ricevente e non facendo confronti con differenti e minori importi ricevuti da altri sponsor, senza aver riguardo al tipo di prestazione.

Quanto poi alle dichiarazioni di terzi, queste, evidenziava il contribuente, hanno valore solo indiziario e non probatorio.

Il Collegio, nel decidere, riteneva quindi che, per quanto concerneva il rapporto fra la Srl e una delle due associazioni sportive, le argomentazioni difensive e la documentazione probatoria offerta fossero sufficienti a superare la presunzione su cui era basato l’accertamento dell’Ufficio, come già, in parte qua, correttamente rilevato dalla Commissione Provinciale nella decisione impugnata.

Non altrettanto sufficienti erano invece le prove relative al rapporto fra la Srl e l’altra associazione.

Dalle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dal legale rappresentante, che, sottolineano i giudici, non era un semplice terzo ma era appunto il rappresentante di detta società sportiva, equivalendo, pertanto, la sua dichiarazione ad una confessione stragiudiziale, avente il medesimo valore di prova legale ed efficacia vincolante nei confronti della parte che l’aveva resa, emergeva infatti che questa società non aveva mai operato, né era stata attiva, essendo nata nel novembre 2007, laddove invece l’attività sportiva si svolgeva da febbraio a settembre.

Vi erano quindi senz’altro indizi gravi, precisi e concordanti che inducevano a ritenere come inesistente l’operazione fatturata e quindi legittimo l’operato dell’Ufficio.

Per concludere, vero è che l’Amministrazione, nel contestare i contratti di sponsorizzazione, deve visionare i contratti stessi, le foto e la documentazione inerente alle manifestazioni.

E’ importante del resto, in questi casi, redigere attentamente il contratto di sponsorship, nel quale andranno indicati tutti gli adempimenti cui è tenuta la società sportiva a fronte del corrispettivo che lo sponsor deve versare.

E’ importante inoltre anche lo specifico riferimento allo scopo che l’impresa erogante si prefigge con la concessione del contributo.

Come da ultimo confermato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5720 del 23.03.2016, le condizioni di deducibilità di tali tipi di spese coinvolgono soggetti, quali appunto le compagini sportive dilettantistiche, ritenuti dal legislatore meritevoli di peculiare tutela giuridica.

E l’amministrazione finanziaria, con la Circolare n.21/E del 22 aprile 2003 (§8), chiarisce del resto che «La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate – nel limite del predetto importo – comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell’art. 74, comma 2, del TUIR nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio medesimo e nei quattro anni successivi».

La medesima Agenzia evidenzia però poi che (dato che in sostanza, al di là della qualificazione giuridica, tali spese devono esistere) «la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:

1) i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante;

2) deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima» (conf. risoluzione 23 giugno 2010, n. 57/E).

La presunzione assoluta non riguarda infatti la deducibilità tout court, ma la natura pubblicitaria delle spese, superando il dubbio se le spese di sponsorizzazione siano da assimilare a spese di pubblicità (integralmente deducibili) o di rappresentanza (solo parzialmente deducibili); dubbio appunto ormai risolto a favore della natura (oggi indiscussa) di spese di pubblicità.

Anche le spese di pubblicità devono però rispettare il principio di inerenza. E soprattutto devono essere effettive ed esistenti.

 

21 novembre 2016

Giovambattista Palumbo