Alcune valutazioni sul principio di inerenza

partendo dal caso di un agente di commercio che acquista un immobile ad uso promiscuo abitazione-ufficio, analizziamo i principi generali dell’inerenza (facendo riferimento diretto al TUIR) per quanto riguarda l’imputazione di costi che possono essere portati a diminuzione del reddito d’impresa

scontrino-fiscale-storiaLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11353 del 31.05.2016, è tornata sulle modalità di applicazione del principio di inerenza di cui all’art. 109 del Tuir.

Nel caso di specie, un contribuente, agente di commercio, aveva acquistato una unità immobiliare, composta da due locali adiacenti con destinazione commerciale-direzionale, versando un primo acconto per il quale la società promittente venditrice aveva emesso fattura.

Nel 1991 il citato contribuente versò il successivo acconto, anch’esso fatturato, cui seguì l’atto di compravendita.

Venne quindi emesso avviso di accertamento nei confronti del contribuente per indebita detrazione dell’IVA relativamente all’anno 1990 per difetto di inerenza fra l’acquisto e l’attività esercitata.

Il ricorso del contribuente venne poi accolto dalla Commissione Tributaria di primo grado, mentre l’appello dell’Ufficio venne accolto dalla Commissione Tributaria di secondo grado.

Infine la Commissione Tributaria Centrale rigettò il ricorso del contribuente, ritenendo che il requisito dell’inerenza deve “essere identificato in un rapporto di strumentalità con l’impresa in concreto esercitata al momento della detrazione (sebbene poi la norma non ponga alcun termine alla effettiva destinazione) e non in un generico rapporto astrattamente identificabile con un qualsiasi altro settore di attività, anche se sempre definibile di natura commerciale … inerente non può essere se non un rapporto tra due utilizzazioni, una possibile (quella del bene acquistato) e l’altra certa (quella in concreto esercitata). Altrimenti non è possibile affermare un rapporto di inerenza, ma solo al più di appartenenza ad un medesimo genere (es. attività commerciale) concetto affatto diverso da quello di inerenza…”.

Nella fattispecie dunque, secondo la Commissione Centrale, i due immobili acquistati. Erano stati dati sin dall’inizio in locazione a terzi ritraendone il contribuente una rendita che sicuramente non aveva alcun rapporto di inerenza con l’attività in concreto esercitata (intermediazione e rappresentanza di commercio).

Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, osservando che, alla stregua della giurisprudenza comunitaria e di quella nazionale, ai fini del rapporto di inerenza è sufficiente la potenziale correlabilità all’attività d’impresa, a prescindere dalla realizzazione di qualsiasi operazione attiva, non essendo necessaria un’immediata e concreta utilizzabilità al momento della detrazione e potendosi collocare l’acquisto anche in una fase preparatoria rispetto all’impiego produttivo.

Aggiungeva inoltre che, nelle more del trasferimento dell’attività presso i locali acquistati, questi erano stati affittati a terzi ed infine rivenduti al prezzo di acquisto.

Osserva la ricorrente che, considerato che ai fini delle imposte dirette i beni strumentali per natura (nella specie classificati catastalmente come C1 – negozi e botteghe) devono essere iscritti nel registro dei beni ammortizzabili, anche nel caso in cui non vengano direttamente utilizzati dall’imprenditore, analogo trattamento deve essere consentito ai fini IVA, dovendo dunque essere permessa la detraibilità dell’IVA pagata per l’acquisto di tali beni.

La ricorrente evidenziava poi che l’Ufficio aveva ritenuto legittima la detrazione IVA relativamente alla fattura emessa nel 1991, anno in cui il bene era stato iscritto nel registro dei beni ammortizzabili per effetto del trasferimento della proprietà.

Osservava quindi che, non essendo stato negato dall’Ufficio il rapporto di strumentalità per l’anno 1991, la sentenza impugnata aveva errato nel confermare la legittimità dell’avviso per mancanza di inerenza, laddove invece l’avviso aveva negato la detraibilità per omessa iscrizione dell’immobile nel registro dei beni ammortizzabili.

In modo contraddittorio e non consentendo di percepire la ratio decidendi, la Commissione Tributaria Centrale, poi, per un verso escludeva il diritto alla detrazione IVA per la mancata destinazione dell’immobile acquistato ad immediato servizio dell’attività svolta, e per l’altro dava atto che la norma di riferimento non pone alcun limite temporale all’effettiva destinazione del bene.

Il ricorso, secondo la Corte, era tuttavia infondato.

Come già chiarito in altri precedenti della Corte, a proposito dei tratti caratterizzanti il sistema della detrazione IVA, ex art. 19 del DPR 633/72, in relazione a beni o servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa, tale sistema postula una necessaria correlazione fra i beni e i servizi acquistati e l’attività esercitata, nel senso che essi devono inerire all’impresa, anche se si tratti di beni non strumentali in senso proprio, purché risultino in concreto destinati alla finalità della produzione o dello scambio nell’ambito dell’attività dell’impresa stessa, con la precisazione che “il nesso oggettivo che deve sussistere tra acquisto e impiego di beni e servizi.., non è quello di diretta e meccanica utilizzazione, ma… si riassume in una necessaria relazione di inerenza tra la singola operazione di acquisto e l’esercizio dell’attività economica del soggetto passivo IVA” (Cass. n. 6785 del 2009, n. 3458 del 2014, n. 8628 del 2015).

Ciò che quindi deve verificarsi è, in concreto, l’inerenza e la stretta strumentalità del bene acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale, compiuta o anche solo programmata (Cass. n. 16697 del 2013 e n. 25777 del 2014).

La predetta detrazione spetta quindi anche nel caso di assenza di compimento di operazioni attive, essendo tali anche le operazioni finalizzate alla costituzione delle condizioni necessarie perché l’attività tipica possa concretamente iniziare, mediante operazioni meramente preparatorie che, per definizione, vengono poste in essere in una fase in cui non vi è ancora produzione di ricavi ed anche indipendentemente dall’effettivo realizzo successivo dell’attività tipica, non essendo necessario il collegamento tra il diritto alla detrazione IVA sugli acquisti ed il fatto che l’investimento dia poi luogo ad operazioni imponibili (Cass. n. 11765 del 2008).

Ciò che importa è però che tali attività meramente preparatorie siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica dell’imprenditore (Cass. n. 7344 del 2011 e n. 13197 del 2009).

Rilevando solo il nesso di effettiva inerenza all’attività imprenditoriale, è stata peraltro ammessa la detraibilità dell’Iva in relazione a spese sostenute per la ristrutturazione di un immobile avente catastalmente destinazione abitativa, ma, in concreto, utilizzato per lo svolgimento di attività di affittacamere e case per vacanza (Cass. n. 8628 del 2015).

Si conferma pertanto, sotto quest’aspetto, l’irrilevanza della astratta classificazione catastale dell’immobile, dovendosi dare prevalenza all’effettiva destinazione alla tipica attività imprenditoriale.

La valutazione della strumentalità di un acquisto rispetto all’attività imprenditoriale va, in sostanza, effettuata in concreto, tenendo conto dell’effettiva natura del bene in correlazione agli scopi dell’impresa, non già in termini puramente astratti.

E sotto questo profilo, ad avviso dei giudici di legittimità la decisione impugnata non contrastava con tale complesso di principi di diritto.

Il cuore della ratio decidendi della decisione era infatti nei seguenti passaggi motivazionali: il requisito dell’inerenza deve “essere identificato in un rapporto di strumentalità con l’impresa in concreto esercitata al momento della detrazione (sebbene poi la norma non ponga alcun termine alla effettiva destinazione) … inerente non può essere se non un rapporto tra due utilizzazioni, una possibile (quella del bene acquistato) e l’altra certa (quella in concreto esercitata)“.

Riconoscendo che la norma sulla detrazione non pone alcun termine in ordine alla effettiva utilizzazione, e sottolineando altresì l’utilizzazione solo “possibile” del bene acquistato, il giudice tributario, evidenzia la Suprema Corte, conferma dunque che sono suscettibili di detrazione anche gli acquisti relativi ad un’attività imprenditoriale solo programmata o destinati ad operazioni meramente preparatorie.

Se tale è la portata del riconoscimento effettuato dal giudice, allora, quando si parla di “rapporto di strumentalità con l’impresa in concreto esercitata al momento della detrazione” non s’intende subordinare la detrazione ad una attività effettivamente compiuta, o alla sola esistenza di operazioni attive, ma all’esistenza in concreto dell’inerenza e della stretta strumentalità del bene acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale.

Ciò che importa è dunque l’effettiva connessione dell’acquisto con l’espletamento, sia pure solo progettato (non ponendo termini la norma all’effettiva destinazione), dell’attività imprenditoriale.

Rispettato tale principio di diritto, per il resto, sottolinea la Corte, la valutazione d’inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa spetta al giudice di merito, che apprezza le circostanze idonee a formarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle operazioni passive all’espletamento dell’attività imprenditoriale, anche solo progettata, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerato della prova il contribuente (Cass. n. 4157 del 2013).

Trattasi dunque in questi casi di giudizio di merito insindacabile in cassazione se correttamente motivato, come appunto avvenuto nel caso di specie, laddove il giudice tributario aveva reputato insussistente il vincolo di inerenza, valutando anche la circostanza che i due immobili acquistati furono dati sin dall’inizio in locazione a terzi ritraendone il contribuente una rendita che sicuramente non aveva alcun rapporto di inerenza con l’attività da lui in concreto esercitata (intermediazione e rappresentanza di commercio).

Vero è che con la Sent. n. 21953 del 19 ottobre 2007, la Corte aveva affermato che “incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche attraverso presunzioni, l’inattendibilità della documentazione aziendale che intende contestare (nel caso di specie: l’inesistenza delle operazioni documentate con fatture), la quale, in mancanza di prova contraria, costituisce uno strumento idoneo a dimostrare l’esistenza delle operazioni ivi riportate”.

La fattura è quindi uno strumento idoneo a dimostrare l’esistenza, ma non l’inerenza, in particolare sotto il profilo quantitativo.

Come infatti riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione “nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), in ipotesi di accertamento delle imposte sui redditi, spetta:

1) all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata (fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile) e,

2) al contribuente l’onere della prova circa l’esistenza a) dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili e b) del requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa del contribuente (vedi sentenza 16423 del 18.06.2008).

25 novembre 2016

Giovambattista Palumbo