Abuso del diritto e lecita pianificazione fiscale

il concetto di pianificazione fiscale facilmente si scontra con l’abuso del diritto: in questo articolo analizziamo in quali casi la pianificazione fiscale è una pratica lecita

L’abuso del diritto tributario – Premessa

abuso del dirittoIl nuovo art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 “Statuto dei diritti del contribuente”, introdotto dall’art. 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 (c.d. decreto sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente) emanato in attuazione della legge delega 23/2014, recependo gli insegnamenti dettati, in sede OCSE, dall’Action 6 del BEPS 2013 (Base Erosion and Profit Shifting) ed in sede europea dalla Raccomandazione 2012/772/UE, ha disciplinato la nozione di abuso del diritto che ha assunto una valenza estesa a tutte le condotte abusive ed a tutti i tributi.

La norma codifica nel sistema tributario il principio del divieto di abuso del diritto di matrice giurisprudenziale qualificato come vera e propria clausola generale dell’ordinamento tributario.

L’istituto in continuità con le precedenti disposizioni normative (art. 37 bis del DPR 600/73) e con gli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e della Corte di Cassazione, unifica i concetti di elusione ed abuso e definisce sul piano dei contenuti la nozione ed il perimetro applicativo, nonché gli effetti giuridici le conseguenze della condotta abusiva.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di abuso del diritto tributario

La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, a partire dagli anni 70, ha più volte trattato il tema dell’abuso del diritto, individuando alcuni elementi di base della fattispecie “abusiva1.

Le varie pronunce sull’argomento susseguitesi negli anni hanno introdotto ad opera della Corte, un principio antiabusivo nell’ordinamento comunitario, che vieta2:

  1. l’elusione o la frode alla legge nazionale, cioè l’aggiramento di norme statali procurato attraverso l’uso strumentale di prerogative comunitarie;

  2. la frode di una norma comunitaria tramite la precostituzione fittizia o artificiosa delle condizioni che attribuiscono un vantaggio soggettivo;

  3. l’ abuso del diritto in senso stretto, quale l’esercizio di un diritto fondato su di una disposizione comunitaria, da ritenersi in concreto non conforme alla finalità della disposizione o ad altri criteri generali di valutazione.

Tale nozione di abuso del diritto, costituisce espressione di un principio immanente alla funzione giurisdizionale che, come tale, fa parte dell’ordinamento comunitario, oltre che degli ordinamenti nazionali.

Nel corso del tempo la nozione di abuso del diritto applicabile anche in campo tributario, si è evoluta, in conseguenza, anche, della mancanza di una clausola generale antielusiva in ambito UE.

Il caso Halifax

Sentenza molto importante in materia è quella della Corte di Giustizia Europea del 21 febbraio 2006, C-255/2002, il caso Halifax , un istituto bancario che effettuava la grande maggioranza delle sue prestazioni in esenzione Iva e poteva recuperare meno del 5% dell’Iva assolta a monte.

L’operazione contestata era così articolata:

  1. la banca finanziava una propria società interamente controllata, affinchè questa potesse acquisire dalla stessa banca diritti sugli immobili detenuti

  2. la società controllata affidava i lavori, tramite altra controllata, a costruttori indipendenti

  3. i lavori erano pagati da Halifax in via anticipata alla prima società e poi da questa alla seconda. I contatti con i costruttori indipendenti erano tenuti direttamente dalla banca.

L’insieme delle operazioni in esame, a parere degli organi dell’amministrazione finanziaria, era strumentale alla detrazione dell’Iva da parte delle due società costituite dalla banca.

Il Governo del Regno Unito, infatti, nell’esaminare la questione, pur rilevando la mancanza di una regolamentazione nazionale di contrasto all’elusione nel settore Iva, aveva affermato che l’abuso del diritto era un principio generale del diritto comunitario.

La Corte di Giustizia interessata dalla vicenda, descrive nella sentenza C-255/2002 la nozione di abuso del diritto nel diritto comunitario, citando le precedenti pronunce e declara l’immanenza di un generale divieto di abuso del diritto

nel settore IVA, perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della VI direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni.

Non solo, deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale.”.

I giudici comunitari, inoltre, sostengono che

spetta al giudice nazionale stabilire contenuto e significato reali delle operazioni. Egli può così prendere in considerazione il carattere puramente fittizio di queste ultime nonché i nessi giuridici, economici e/o personali tra gli operatori coinvolti nel piano di riduzione del carico fiscale

La sentenza Halifax, inoltre, specifica che laddove vi sia un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno originato.

Per l’applicazione delle sanzioni è necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco, tenuto conto del fatto che le misure sanzionatorie sono fuori dall’armonizzazione.

La Corte di cassazione in tema di abuso del diritto tributario

In ambito nazionale, la Corte di Cassazione- sezione tributaria con sentenza n. 10257/2008 ha stabilito che la nozione di abuso del diritto prescinde da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un’operazione, intesa quale prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’ufficio di cogliere la vera natura dell’operazione ed ha formulato il seguente principio (cfr. anche sentenza Cassazione n. 8772/08 del4 aprile 2008):

non hanno efficacia nei confronti dell’amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscono abuso del diritto, cioè che si traducono in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; incombe sul contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico”.

Il suddetto principio è stato successivamente parzialmente rimodulato con la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione tributaria, n. 25374/08 del 17 ottobre 2008 la quale, oltre a rilevare che l’individuazione dell’ impiego abusivo di una forma giuridica incombe sull’Amministrazione finanziaria, ha stabilito i seguenti principi:

  • la nozione di abuso del diritto assume il “ruolo di clausola generale dell’ordinamento tributario e la matrice comunitaria comporta … un ambito operativo esteso a tutte le fattispecie di entrate tributarie…”;
  • “essa costituisce un mezzo di contrasto nei confronti di tutte le forme e strumenti giuridici, ai quali gli operatori ricorrano avendo quale scopo principale il risparmio fiscale anche laddove siano coinvolte finalità di contenuto economico”;
  • in ogni caso, incombe al contribuente fornire la prova dell’ esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico.

A tali orientamenti, fondati sul riconoscimento dell’esistenza di un generale principio antielusivo, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenze n. 30055/08, 30056/08 e 30057/08 del 02 dicembre 2008 (depositate il 23 dicembre 2008) ha aderito precisando

che la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”.

Ed in effetti, il principio di capacità contributiva (ex art. 53, c. 1, della Costituzione Italiana) ed il principio di progressività dell’imposizione (ex art. 53, c. 2, della Costituzione Italiana) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualunque genere.

L’abuso del diritto, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del risparmio fiscale deve, pertanto, ritenersi una diretta derivazione delle norme costituzionali insita nell’ordinamento italiano.

Tale principio non si ritiene contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (sentenza Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 30055/08 e sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria n. 12042/09).

La stessa Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 12249 del 19 maggio 2010 ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale comunitaria, giunge alla conclusione che possa ravvisarsi una pratica abusiva in

tutte quelle operazioni, che, seppur realmente volute ed immuni da invalidità, risultino, da un insieme di elementi obiettivi, compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”.

Inoltre, precisa che ragioni economiche concorrenti di portata non rilevante o marginale non valgono ad escludere la natura abusiva dell’operazione.

La nuova disciplina normativa in tema di abuso del diritto tributario

L’oscillante orientamento della giurisprudenza e la mancanza di una definizione legislativa hanno, comportato rilevanti incertezze interpretative, superate dalla novella normativa dell’art. 10-bis inserita dal DLgs. 5 agosto 2015, n. 128 nello Statuto del contribuente, che ha codificato i principi già immanenti nell’ordinamento, distinguendo l’abuso normativo dalla lecita pianificazione fiscale.

L’art. 10 bis si colloca tra i principi preordinati alla disciplina dei singoli tributi, in linea con quanto affermato dalla corte di cassazione. Tale collocazione è strumentale all’avvenuta unificazione dei concetti di elusione e di abuso ed alla valenza generale del nuovo istituto che si applica con riguardo a tutti i tributi, sia quelli diretti sia quelli indiretti, con l’unica eccezione della materia doganale.

L’abuso del diritto si configura in presenza di una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme fiscali, realizzano un vantaggio fiscale indebito che costituisce l’effetto essenziale dell’operazione. L’Amministrazione finanziaria, su cui grava l’onere della prova della condotta abusiva3, in tali casi può disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti dal contribuente applicando le imposte dovute, al netto di quelle corrisposte in minor misura.

La definizione di abuso del diritto è esplicitata principalmente nei primi 3 commi dell’art. 10-bis che fissano gli elementi costitutivi4:

1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.”

Elementi essenziali della fattispecie abusiva sono, dunque:
  1. l’assenza di sostanza economica

  2. la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito

  3. la circostanza che tale vantaggio è l’effetto essenziale dell’operazione5.

La sostanza economica va esaminata secondo l’aspetto giuridico-civilistico (teso a verificare che fatti , atti e contratti non nascondano una causa negoziale diversa da quella che il contribuente vuole fare emergere) e secondo l’aspetto giuridico-sostanziale (volto a riscontrare che l’utilizzo degli strumenti giuridici operati sia conforme a quello delle normali logiche economiche).

Tale assenza di sostanza economica è un elemento costitutivo ed essenziale dell’abuso, che non sussiste laddove sia individuabile un qualche vantaggio economico, strutturale o organizzativo. Il vantaggio indebito, ottenuto attraverso un comportamento che pur non violando direttamente norme o dei principi generali dell’ordinamento, riesce ad aggirarli; completa la fattispecie, realizzando un effetto non voluto dalle norme tributarie, differente dal lecito risparmio fiscale.

La relazione illustrativa, inoltre, chiarisce che i vantaggi fiscali indebiti che si realizzano per effetto dell’operazione priva di sostanza economica devono essere fondamentali rispetto a tutti gli altri fini perseguiti dal contribuente, nel senso che il perseguimento di tale vantaggio deve essere stato lo scopo essenziale della condotta stessa e deve, quindi, aver assunto un peso decisivo al momento dell’assunzione della scelta (non marginale).

La nuova disciplina dell’abuso, chiarisce al comma 4 che resta ferma la liberta’ di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, legittimando il possibile risparmio di imposta in coerenza con il principio costituzionale di libera iniziativa economica stabilito dall’art. 41 della Costituzione.Inoltre il comma 12 prevede che in sede di accertamento l’abuso del diritto possa’ essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie, indicando quale strada maestra da preferire la contestazione diretta6.

Il caso esemplificativo: la risoluzione del 03/11/2016 n. 101 della Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia delle Entrate in risposta ad un interpello ex art. 11, c. 1, lett. c, della legge 27 luglio 2000, n. 212, ha esaminato un caso di scissione e conseguente trasformazione di una società beneficiaria in società semplice avvalendosi della disposizione agevolativa prevista dall’art. 1, cc. 115 – 120, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Nel caso esaminato la società ALFA, costituita in forma di S.r.l. e successivamente trasformata in S.a.s. ha svolto l’attività di allevamento di bestiame. In seguito alla cessazione dell’attività produttiva, essa ha concesso i propri beni immobili a terzi in forza di contratti di locazione e comodato.

Il contribuente vuole trasformare la società in società semplice per rientrare nella norma agevolativa prevista dalla legge n. 208 del 2015 a favore della società semplici in materia di assegnazioni e cessioni di beni ai soci, ma ritiene che tale trasformazione non possa verificarsi stante la presenza di cospicue partecipazioni sociali.

Al fine di superare tale impedimento, il contribuente intende procedere con un’operazione di scissione:

  • alla beneficiaria sarebbero attribuiti i beni immobili e le attrezzature;
  • alla scissa spetterebbero le partecipazioni finanziarie, oltre che i crediti con relativo fondo di svalutazione ed i debiti.

Successivamente, la beneficiaria si trasformerebbe in società semplice per avvalersi della disposizione agevolativa. Il dubbio della società istante è se tale operazione costituisce una fattispecie di abuso del diritto.

L’Agenzia delle Entrate ribadisce che la fattispecie di abuso del diritto deve avere contemporaneamente i tre presupposti costitutivi del:

  1. vantaggio fiscale indebito;

  2. operazione priva di sostanza economica;

  3. essenzialità del conseguimento del vantaggio fiscale.

Nel caso specifico, si rileva la palese assenza di qualsiasi vantaggio indebito, atteso che quanto illustrato nell’istanza di interpello è in piena sintonia con la ratio della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).

La trasformazione agevolata in società semplice, secondo quanto disposto dalla legge, è riservata alle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni individuati. La ragione di tale scelta si rinviene nella facoltà concessa alle c.d. immobiliari di gestione di uscire dal regime d’impresa nei casi in cui la società sia un mero schermo rispetto ad una attività di gestione passiva dei beni che rientrano nella disciplina agevolativa in esame.

La risoluzione chiarisce che nel momento in cui, a seguito della scissione della società ALFA, venga attribuita la totalità dei beni immobili in godimento a terzi tramite rapporti locatizi alla società beneficiaria, quest’ultima se in possesso dei requisiti soggettivi richiamati, si troverà nelle condizioni di poter beneficiare della trasformazione agevolata in società semplice.

Il regime agevolativo in questione è diretto ad offrire l’opportunità tramite l’assegnazione ai soci o anche la trasformazione in società semplice, di estromettere dal regime di impresa, a condizioni fiscali meno onerose di quelle ordinariamente previste, quegli immobili per i quali allo stato attuale non si presentano condizioni di impiego mediamente profittevoli.

L’operazione di scissione immobiliare della società con attribuzione alla società scissa delle partecipazioni finanziarie e attribuzione alla società beneficiaria di tutti i beni immobili con contestuale trasformazione agevolata in società semplice risulta, qundi, sostenuta da valide ragioni economiche e non produce effetti giuridici in contrasto con il sistema tributario

Le operazioni che possono essere, invece, considerate elusive sono quelle dove mancano del tutto “le valide ragioni extrafiscali non marginali” e che non sono realizzate secondo la logica imprenditoriale della lecita pianificazione fiscale.

Una scissione immobiliare che abbia come fine quello di spostare la tassazione dai beni di “primo grado” (il ramo aziendale ovvero gli immobili) ai beni di secondo grado (le partecipazioni) soggetti ad un più mite regime di tassazione, in linea con la citata legge 208, non è inquadrabile quale abusiva.

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29 novembre 2016

Cosimo Turrisi

NOTE

1Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE (denominato un tempo Trattato istitutivo CE) vieta negli artt. da 49 a 55 un uso distorto delle norme sulla libertà di stabilimento e sulla libera fornitura dei servizi, consentendo il contrasto di fenomeni elusivi (Il TFUE accanto al TUE Trattato sull’Unione Europea, già Trattato istitutivo della Comunità Europea dell’Energia Atomica o EURATOM, costituisce uno dei 2 trattati fondamentali dell’UE).

2 Cfr. Sent. 5 ottobre 1994, causa C-23/1993, “TV 10”; sent. 9 marzo 1999, causa C-212/97” Centros ltd” (società con operatività in Danimarca e Regno Unito); sent. 23 marzo 2000, causa C-373/97 “Diamantis” (clausola antiabusiva presente nell’ordinamento Greco).

3 Il contribuente è tenuto, invece, a dimostrare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alla base delle operazioni realizzate.

4 Il preesistente art. 37-bis, del D.P.R. 600/1973 utilizzato per contrastare le pratiche elusive viene espressamente abrogato, a differenza di quanto avviene per l’art. 20 del D.P.R. 131/1986 norma utilizzata per contrastare le elusioni in ambito imposta di registro. Tale ultimo articolo 20, per effetto della nuova norma generale antiabuso, torna a rivestire il proprio ruolo originario, chiarendo che per la “tassazione del singolo atto” non ci si deve fermare alla apparenza esteriore ma occorre verificarne la sostanza.

5 Presupposti costitutivi che si ritrovano anche nella Raccomandazione della Commissione Europea 2012/772/UE del 6 dicembre 2012.

6 L’irrilevanza penale delle condotte abusive, inserita nel comma 13 dell’art. 10 bis, rappresenta un ulteriore profilo innovativo che si discosta dalle condotte messe in atto dall’Amministrazione finanziaria e dalle sentenze di giurisprudenza, anche di Cassazione, che hanno affermato la rilevanza penale delle fattispecie tipizzate nell’art. 37-bis, D.P.R. 600/1973.