La dichiarazione, resa in sede di verifica, di non possedere i registri e la documentazione richiesta: cosa comporta?

in quali casi si rende possibile l’attivazione di preclusioni che comportano una futura produzione documentale; analisi ragionata del parere della Cassazione

cassazione-corte-2Con la sentenza n. 16960 dell’11 agosto 2016, la Corte di Cassazione, prendendo atto del dettato normativo riferimento (art. 52, C. 5, del D.P.R. n.633/721, secondo cui “i libri, registri, scritture e documenti dì cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione) si è conformata all’interpretazione fornita a sezioni unite (Cass., SSUU, 25 febbraio 2000, n. 45/SU) nel senso che, “perché la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso o comunque di una veridica di non possedere i libri, i registri, le scritture e i documenti richiestigli in esibizione determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, sono necessari:

– la sua non veridicità o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi;

– la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;

– il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento”.

Per la Corte, “la norma fa eccezione a regole generali, di guisa che, per un verso, essa non può essere applicata oltre i casi ed i tempi da essa considerati e, per altro verso, essa deve essere interpretata, in coerenza ed alla luce dei principi affermati dagli articoli 24 e 53 della Costituzione, in modo da non comprimere il diritto alla difesa e di obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti: in definitiva, per essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture, il contribuente deve aver tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque, capace di far fondatamente dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito nel corso di giudizio (Cass. 14 luglio 2010, n. 16536; ord. 25 gennaio 2010, n. 1344; 10 gennaio 2013, n. 415; 6 settembre 2013, n. 20487; 11 aprile 2014, n. 8539; 21 luglio 2015, n. 15283; 2 dicembre 2015, n. 24503)”.

Secondo i supremi giudici, la norma “ha una valenza in parte probatoria (se si rifiuta l’esibizione di regola è perché si ha qualcosa da nascondere e, di regola, si ha qualcosa da nascondere quando si è violata la norma impositiva) e in parte sanzionatoria per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il fisco”.

Di conseguenza, per la Corte, “non sono ravvisabili i presupposti di applicazione della norma allorquando l’indisponibilità sia determinata da colpa, caso fortuito o forza maggiore (Cass., ord. 29 dicembre 2009, n. 27556; vedi anche, nel senso di un’interpretazione restrittiva della norma, Cass. 16 settembre 2011, n. 18921, secondo cui, ai fini dell’integrazione del rifiuto di esibizione, e della consequenziale inutilizzabilità dei documenti, non è sufficiente la richiesta, ad opera della guardia di finanza, di esibizione di ogni documento inerente all’attività aziendale)”.

La natura eccezionale della norma comporta che “l’onere della sussistenza dei presupposti di fatto per la sua applicazione non possa che incombere su chi la invochi, ovvero sull’ufficio, che può soddisfarlo, hanno precisato le sezioni unite, anche mediante meri indizi. E dunque, essa nella specie non può operare, in mancanza di qualsivoglia allegazione dell’ufficio, di circostanze anche indiziarie utili a ravvisare la condotta di rifiuto della contribuente, al cospetto del dedotto incendio”.

Brevi note

La Corte, nella sentenza che si annota, aderisce all’orientamento giurisprudenziale (più favorevole al contribuente) secondo cui affinché il contribuente possa essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture, deve innanzitutto risultare “non vera” la dichiarazione resa in sede di verifica di non possedere i registri e la documentazione richiesta, attuando così un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni. Inoltre, è necessario che la dichiarazione suddetta sia sostenuta da una imprescindibile coscienza e volontà della stessa e deve potersi riscontrare il coefficiente psicologico del dolo, inteso quale volontà di ostacolare l’ispezione della documentazione nel corso dell’accesso2.

Solamente l’avveramento di queste condizioni rende possibile l’attivazione delle preclusioni in esame, impedendo una futura produzione documentale.

Diversamente, un secondo orientamento giurisprudenziale (Cass. civ. nn. 11228 del 2015 e 9745 del 2015) ritiene che anche la condotta colposa del verificato è idonea ad realizzare la previsione legislativa: il divieto di utilizzo di documenti non originariamente esibiti scatti anche nel caso in cui il contribuente dichiari (contrariamente alla realtà) di non essere in possesso della documentazione richiesta o la sottragga all’ispezione anche solo per un errore non scusabile, di fatto o di diritto. Per rendere operativa la sanzione di inutilizzabilità, quindi, non è ritenuta necessaria la ricorrenza del dolo, essendo sufficiente, invece, il verificarsi di un errore causato da negligenza, disattenzione, dimenticanza o carenze logistico-amministrative.

Pur ritenendo che la collaborazione seria e responsabile del contribuente che del fisco rappresenti una necessità, al di fuori di comprovate (e già manifestate) cause di forza maggiore, eventuali produzioni documentali (anche solamente colpose) successive al periodo di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente – devono intendersi precluse.

Resta fermo che il divieto di utilizzo di documenti non esibiti in sede di accesso, ispezione, verifica o esplicita richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria è subordinato al rifiuto a seguito di specifica domanda dei soggetti accertatori riferita a specifica documentazione (Cass. sent. n. 22765/2009), non essendo sufficiente una generica richiesta da parte degli accertatori affinché sia ritenuto sussistente il rifiuto del contribuente all’esibizione ed il conseguente divieto di utilizzo del medesimo materiale documentale in sede amministrativa e/o giurisdizionale (Cass. Sent. n. 18921/2011).

Sull’argomento, come abbiamo visto, la Corte di Cassazione più volte è intervenuta. Già con la sentenza n. 27595 del 10 dicembre 2013 (ud. 13 novembre 2013) ha osservato che è indubbio che la sanzione della inutilizzabilità dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione in sede di verifica, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, c. 5, “non presuppone necessariamente che il rifiuto di esibizione sia stato doloso, ossia finalizzato ad impedire l’attività di accertamento, ben potendo tale sanzione applicarsi anche quando detto rifiuto sia dipeso da errore non scusabile, di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro (in questo senso, si vedano le sentenze di questa Corte nn. 21768/09, 7269/09). Tuttavia, perchè sia preclusa la utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento, è pur sempre necessario non solo, come precisato già nelle suddette sentenze di questa Corte, che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di corrispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia, presso chi lo possedeva”. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno escluso che fossero inutilizzabili documenti la cui mancata esibizione in sede di verifica era dipesa dalla “manifesta difficoltà di reperimento“, espressione da intendere come equivalente a “difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza“.

Ed ancora con la sentenza n. 28271 del 18 dicembre 2013 (ud. 4 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che i documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario in cui si controverta sull’IVA, dei quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’amministrazione finanziaria, non possono essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza di una eccezione in tal senso dell’amministrazione resistente” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 45 del 25/2/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 13511 del 26/5/2008; id. Sez, 5, Sentenza n. 7269 del 26/3/2009; id. Sez, 5, Sentenza n. 21768 del 14/10/2009; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10448 del 6/5/2013). Né, prosegue la sentenza è “necessario verificare la sussistenza di eventuali condizioni (forza maggiore; caso fortuito) non imputabili al contribuente che hanno determinato l’omessa esibizione dei registri contabili (circostanze peraltro neppure allegate dal resistente)”, né occorre “accertare l’elemento soggettivo della condotta omissiva del contribuente che, secondo un più risalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, implicava oltre la coscienza e la volontà del rifiuto anche il dolo – costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento – rimanendo quindi esclusa la operatività del divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non esibiti, in caso di mera negligenza ed imperizia nella custodia e conservazione degli stessi (cfr. SU n. 45/2000, cit), orientamento successivamente corretto dalla più recente giurisprudenza che ha ritenuto applicabile il divieto – previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5 – di utilizzazione probatoria, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, dei libri, delle scritture e dei documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione ‘doloso’) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, anche per colpa semplice (cfr. 5 sez. n. 7269/2009; id. n. 21768/2009; id. n. 10448/2013, cit)”.

Per la Corte, la richiesta di esibizione dei documenti deve essere effettivamente conforme al modello legale definito legislativamente. E “la conseguenza della inutilizzabilità nel giudizio tributario, a favore del contribuente, dei documenti non esibiti nella fase istruttoria amministrativa è ricollegata ad una specifica richiesta dell’Ufficio accertatore che deve rispondere a determinati requisiti formali (trasmissione dell’invito a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento; assegnazione di un termine non inferiore a gg. 15, prorogabile; avviso al contribuente delle conseguenze processuali determinate dalla mancata esibizione dei documenti; facoltà del contribuente di evitare tali conseguenze depositando i documenti in allegato al ricorso introduttivo dimostrando che la impossibilità di ottemperanza era dipesa da causa non imputabile): ne segue che una richiesta di esibizione di scritture, fatture od altri documenti commerciali e contabili formulata dall’Ufficio con modalità difformi dallo schema legale descritto è inidonea, in caso di inottemperanza del contribuente, a produrre gli effetti giuridici preclusivi previsti dalle norme tributarie”.

Ancora di recente, con la sentenza n.6654 del 21 marzo 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto che i documenti non intenzionalmente sottratti ai verificatori sono utilizzabili in giudizio. Per la Suprema Corte “è pacifico l’orientamento secondo il quale i documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario in cui si controverta sull’IVA, dei quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’amministrazione finanziaria, non possono essere presi in considerazione ai fini del decidere. Nella fattispecie in esame, tuttavia, non risulta che la documentazione e le fatture atte a provare lo svolgimento nel 1998 dei lavori relativi alle fatture da emettere, fossero state sottratte intenzionalmente ai verificatori e che pertanto la successiva produzione in giudizio fosse inammissibile benché irrilevante”. Osserva la Corte che “per essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture, il contribuente stesso deve aver tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque, capace di far fondatamente dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito nel corso di giudizio (Sez. 5, Sentenza n. 16536 del 14/07/2010 Presidente: Miani Canevari F. Relatore: Tirelli F.)”. Nel caso specifico non risulta precisato a quali specifiche fatture, che non erano state esibite nel corso della verifica fiscale, l’Amministrazione finanziaria intenda fare riferimento, e in ogni caso “non è risultato in alcun modo nel corso del giudizio di merito che la parte privata si sia sottratta dolosamente o colposamente all’esibizione della documentazione in questione”.

E da ultimo, con la sentenza n. 24787 del 4 dicembre 2015 (ud. 17 novembre 2015) la Corte di Cassazione ha “ribadito che la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’ufficio dell’Agenzia delle entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine e accertamento bancario propri dell’amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 – comma 4 (per l’imposizione diretta) e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 (per l’imposizione sul valore aggiunto), opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’amministrazione purchè accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il fisco (Sez. 6- 5, Ordinanza n. 11765 del 26/05/2014, Rv. 630992; conf. Sez. 5, Sentenza n. 22126 del 27/09/2013, Rv. 628934)”.

13 ottobre 2016

Gianfranco Antico

1 In materia di imposte dirette l’art. 33, co1 del D.P.R. n. 600 del 1973, rubricato “Accessi, ispezioni e verifiche” dispone che “Per l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”.

2 Cfr.ANTICO-GENOVESI, Atti non esibiti in sede di verifica: necessario il dolo o basta la colpa a fare scattare le presunzioni?, in IlFisco, n. 23/2016, pag. 2232.