Azienda in crisi, ristrutturazione del debito e piani di risanamento o di turnaround – soluzioni stragiudiziali

Il ruolo del professionista in tema di valutazione di aziende in crisi: puntiamo il mouse sulle possibilità di ristrutturazione aziendale che possono essere risolutive dello stato critico in cui versa l’azienda.

Ristrutturazione del debito e piani di risanamento o di turnaround
Soluzioni stragiudiziali

codice della crisi d'impresa testo integraleSi premette che il fattore tempo è essenziale nell’affrontare le crisi d’impresa; se l’azione di risanamento è tempestiva, essa ha più possibilità di portare a risultati positivi.

Gli effetti negativi della situazione di crisi tendono infatti a peggiorare e ad investire nuove aree aziendali e più il tempo passa, maggiore è la velocità degli sviluppi negativi.

Un tempo venivano indicati tempi di 2-3 anni per la ricerca e messa in atto di soluzioni di risanamento; oggi i tempi si sono contratti, 12-18 mesi possono apparire eccessivi, i segni di una chiara inversione si devono vedere entro 3 – 6 mesi e i risultati devono essere tangibili entro 12 mesi dall’inizio del processo di risanamento.

La ricerca di soluzioni alla crisi vede normalmente coinvolti diversi attori: gli amministratori – proprietari dell’azienda i creditori, spesso rappresentati dalle banche, consulenti che a vario titolo (ad es. i cd advisor) affiancano l’azienda, i principali clienti o fornitori interessati alla prosecuzione dell’attività aziendale.

Sul piano procedurale il management e/o la proprietà aziendale hanno la scelta:

a) predisporre un piano di risanamento o di turnaround;
b) intraprendere la strada della liquidazione. In pratica la strada della liquidazione societaria viene perseguita raramente durante le prime fasi di una crisi, in quanto:
  1. l’imprenditore italiano non vede di buon occhio il far cessare (liquidare) la propria attività;
  2. essa appare come extrema ratio da lasciare come residuale, tentando preliminarmente altre strade di recupero dell’attività aziendale.

 

La strada della liquidazione viene spesso perseguita relativamente ad alcuni specifici beni aziendali, che si ritiene non siano funzionali nella prospettiva del risanamento (tipico il caso di immobili di prestigio, non indispensabili per lo svolgimento dell’attività aziendale).

Sul piano aziendalistico le azioni di risanamento possono incidere sui seguenti aspetti della gestione aziendale, spesso in combinazione fra di loro.

  • Interventi gestionali:
    • Interventi sul management, quali:

      a) sostituzioni di manager chiave,

      b) utilizzo di temporary manager,

      c) interventi formativi

    • Interventi sulle strategie, quali:

      a) inserimento in nuovi mercati;

      b) introduzione di nuovi prodotti e servizi;

      c) accordi commerciali o di joint venture con altre realtà economiche

    • Interventi sulle politiche e strategie generali

  • Interventi di gestione straordinaria d’impresa:
  • Interventi sulla redditività aziendale, per riportare l’azienda in equilibrio economico:
    • azioni sui costi, quali:

      a) riduzione del personale,

      b) contenimento di costi fissi,

      c) eliminazioni di sedi o filiali non remunerative;

      d) miglioramento efficienza con conseguente riduzione di costi,

      e) delegare in outsourcing alcune fasi del processo produttivo o commerciale

    • azioni sui ricavi, quali:

      a) ricerca di nuovi prodotti e/o nuovi mercati,

      b) operazioni commerciali sulle vendite con applicazione di sconti o di diverse condizioni di pagamento

  • Interventi di carattere patrimoniale:

    a) cessione di beni, ovvero rami aziendali non redditizi o non in linea con i piani di ristrutturazione;

    b) vendite immobiliari.

  • Interventi di carattere finanziario:

    a) operazioni di ristrutturazione del debito;

    b) ricerca di nuove risorse finanziarie e patrimoniali;

    b) interventi sul capitale proprio;

    c) riscossione accelerata dei crediti;

    d) realizzo di eccedenze di magazzino a prezzi scontati

 

Su un piano legale occorre decidere

  • se accedere ad una delle procedure previste dalla Legge fallimentare (soluzione giudiziale), elencate nel successivo paragrafo 2.2

  • se agire al di fuori delle procedure concorsuali (soluzione stragiudiziale), con le opportune azioni di risanamento ad hoc sopra elencate

 

Sviluppo temporale delle azioni di risanamento

Da un punto di vista dello sviluppo temporale delle azioni di risanamento, è possibile distinguere:

  • una prima fase di attuazione degli interventi più urgenti di riduzione dei costi e/o delle attività, per tamponare l’emorragia economico-finanziaria in atto, nel contempo possono essere delineate alcune delle linee guida del possibile piano di risanamento

  • una seconda fase in cui si mettono in atto i vari steps del piano di risanamento, che, come abbiamo visto possono spaziare in diverse direzioni, nell’ambito o meno di una procedura concorsuale

 

Teniamo presente che, su un piano molto generale, l’obiettivo principale di chi è preposto alla guida delle operazioni di risanamento è un principio di efficienza, vale a dire deve tendere alla conservazione del massimo tra il valore di funzionamento di un’impresa e il suo valore di liquidazione, evitando così distruzioni di valore non necessarie, in un’ottica di minimizzare i costi della crisi:

  • costi diretti quali: spese giudiziarie, oneri legali e di consulenza, spese e costi di rinegoziazione dei debiti

  • costi indiretti quali: perdite connesse alla liquidazione dei cespiti sia materiali che immateriali (ad esempio marchi e brevetti) e perdite connesse a tutti i danni conseguenti alla perdita di immagine: perdita clientela, perdite di personale chiave, etc

Chi è preposto alla guida delle operazioni di risanamento deve tuttavia tenere presenti, oltre alle ragioni di efficienza, anche ragioni di equità, sulla base dei due noti principi: la par condicio creditorum e la absolute priority rule, le quali richiedono la parità di trattamento tra tutti i creditori dell’impresa, nel rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione

Teniamo anche presente che i piani di risanamento contengono quindi spesso business plan di sviluppo di determinati rami aziendali ritenuti salvabili e quindi da rilanciare.

Non bisogna tuttavia dimenticare che i business plan (talvolta chiamato piano industriale) è un documento che ha l’obiettivo di rappresentare progetti di sviluppo imprenditoriale in un’ottica prospettica, normalmente su un arco temporale di medio periodo (3 o 5 anni). I progetti di sviluppo vengono effettuati sulla base di determinate ipotesi di business.

Non a caso, infatti Borsa italiana, nel definire il business plan (piano industriale) ha posto come sottotitolo: “Le intenzioni del management”.

Il valutatore coinvolto,che deve dare uno specifico parere su questi business plan, ovvero che deve tenerli in considerazione ai fini delle proprie valutazioni d’azienda, dovrebbe effettuare una vera e propria due diligence, cioè una specifica procedura di analisi che prevede un completo accesso ai dati del business plan medesimo. Ove questo non fosse possibile è necessario comunque svolgere un’analisi critica di un business plan, necessaria anche quando l’accesso ai dati

Il valutatore può essere a volte coinvolto in situazioni di fusione d’impresa, connesse ad operazioni di ristrutturazione messe in atto per sanare situazioni di crisi aziendali. Come noto la fusione è un’operazione con la quale due o più società si concentrano in una sola. La disciplina generale, molto riveduta dalla riforma Vietti del diritto societario per precisarne e semplificarne il procedimento, è contenuta negli artt. da 2501 a 2504-quinquies c.c.. Scopo della fusione è creare delle sinergie tra le imprese prima indipendenti, ad esempio migliorando la competitività sul mercato delle imprese coinvolte, grazie alle maggiori dimensioni raggiunte. La fusione può compiersi in due forme: mediante fusione per unione, ovvero la costituzione di una nuova società, o mediante fusione per incorporazione, o assorbimento in una società di una o più altre.

Gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere:

a) un progetto di fusione, dal quale devono in ogni caso risultare il tipo, la denominazione, la sede delle società, il rapporto di cambio delle azioni o quote e le altre informazioni previste nell’art 2501-ter c.c.;

b) la situazione patrimoniale delle società partecipanti alla fusione, redatta con l’osservanza delle norme per la redazione del bilancio di esercizio;

c) una relazione la quale illustri e giustifichi, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di fusione e il rapporto di cambio delle azioni o quote.

Uno o più esperti, nominati dal presidente del Tribunale tra i revisori abilitati, devono redigere per ciascuna società una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni (o quote). La relazione deve contenere:

a) il metodo o i metodi di valutazione adottati;

b) le eventuali difficoltà di valutazione.

Una normativa particolare è prevista dall’art 2501-bis c.c. in caso di fusione con indebitamento (leveraged buyout).

Il valutatore può infine intervenire in situazioni che prevedono il conferimento di beni ovvero di rami d’azienda. Il conferimento è l’operazione mediante la quale un soggetto (conferente) apporta determinati beni a titolo di capitale in una società (conferitaria) ricevendo in cambio azioni o quote rappresentanti il capitale sociale della conferitaria stessa: oggetto del trasferimento può essere qualsiasi bene o diritto (quindi anche diritto di godimento oltre che di proprietà), al quale le parti attribuiscono un’utilità economica. Esso è regolamentato dagli artt. 2342 e segg. del cod. civile per le Spa e dall’art 2464 e segg. del cod. civile per le Srl.

In situazioni di crisi aziendale l’ipotesi di recesso di un socio risulta poco praticata, a causa dell’elevato rischio di azione revocatoria da parte dei creditori, in caso di procedura concorsuale.

 

Azienda in crisi e soluzioni giudiziali – evoluzione legislativa in corso

Come noto, la riforma della Legge fallimentare ha avuto un percorso lungo l’arco di diversi anni, con numerose variazioni intervenute nel testo legislativo originario. In questa sede si farà riferimento al testo di legge esistente a Luglio 2016, con qualche cenno sull’ennesimo progetto di riforma in corso. Si anticipa infatti che è in corso una profonda revisione dell’attuale normativa che dovrebbe, fra gli altri cambiamenti, spostare l’enfasi sulle procedure di allerta prima che la crisi divenga grave e irreversibile con davanti l’unica strada delle procedure giudiziali.

Ad oggi è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza elaborato dalla Commissione Rordorf. Il disegno di legge va a completare e ad integrare le disposizioni normative varate nel decreto 83 del 2015 ed allinea la normativa italiana in tema d’insolvenza a quella presente negli altri Stati membri della UE. Il tentativo è quello di attuare un organico approccio di riforma attraverso un nuovo Testo unico dell’insolvenza. Con l’approvazione del disegno di legge delega il legislatore si pone il perseguimento di una emersione tempestiva della crisi d’impresa che limiterebbe le perdite dell’intero tessuto economico oltre che consentire, laddove possibile, il risanamento aziendale a beneficio della preservazione dei valori aziendali.

Ad oggi le procedure giudiziali previste dalla Legge Fallimentare (LF) sono:

  • fallimento (art 5 e segg. LF)

  • concordato fallimentare (art 124 e segg. LF)

  • concordato preventivo (art 160 e segg. LF)

  • amministrazione controllata (art 187 e segg. LF)

  • liquidazione coatta amministrativa (art 194 e segg. LF)

  • accordi di ristrutturazione del debito (art 67 e 182 LF)

Nell’ambito delle attuali procedure concorsuali, diversi sono i momenti in cui può intervenire l’esperto in valutazione di complessi aziendali (i riferimenti agli articoli sono tutti alla Legge fallimentare -LF):

  • valutazione ex art 14, c., LF; sebbene nella maggior parte dei casi, lo stato estimativo che l’imprenditore, che chiede il fallimento, è tenuto a depositare sia molto scarno e meramente elencativo, sarebbe opportuno che esso si fondi su valutazioni effettuate professionalmente;

  • relazione giurata di stima ex art 124, c.3, KF; esse sono redatte da un professionista nominato da un tribunale, quando, nel caso di proposta di concordato fallimentare, non sia contemplata la soddisfazione integrale dei crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca

  • valutazioni nel contesto dei piani ex art 67, c. 2, lett. d, LF; è previsto esplicitamente l’intervento di un esperto valutatore che deve attestare la validità del piano e in molti casi procedere alla valutazione di beni, la cui cessione sia prevista nel piano medesimo;

  • valutazioni presentate dal debitore ai fini del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, nel caso di cui all’art 160 c. 2 LF, la perizia di valutazione deve essere una relazione giurata

  • valutazioni ex art 161 c. 2; il piano da presentare con la domanda di concordato preventivo, deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista designato dal debitore, professionista che deve necessariamente misurarsi con profili estimativi, insiti nella domanda del debitore

  • valutazioni di cui all’art 182-bis c. 1; analogamente a quanto previsto dall’art 67 e nelle fattispecie del concordato, anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti possono fondarsi sulla cessione di beni e sono soggetti pertanto a stima

  • art 87 c. 2; la valutazione dei beni inventariati richiede spesso l’intervento di uno specialista di valutazioni

  • art 104-bis c. 2; il canone di locazione dell’azienda, che il curatore è stato autorizzato ad affittare, dipende dal valore economico dell’azienda stessa e richiede pertanto valutazioni specialistiche

  • art 105 c. 1; in questo caso, solamente una valutazione professionalmente condotta può far decidere se più conveniente cedere l’azienda in toto, ovvero scissa in diversi rami;

  • art 172 c. 2; in caso di concordato preventivo, può essere necessario un supporto specialistico di valutazione che assista il commissario giudiziale nel redigere l’inventario dei beni

  • art 182; nella fase liquidatoria del concordato con cessione dei beni, si può rendere opportuna / consigliabile una valutazione specialistica dei beni

Nonostante i PIV (principi italiani di valutazione), emessi da OIV (Organismo italiano di valutazione), non dedichino una sezione apposita alle valutazioni necessarie o consigliabili in sede di procedure concorsuali, ovvero in caso di crisi d’impresa, si ritiene utile richiamare le configurazioni di valore, più adatte alla fattispecie, previste dai PIV al par. I.6, più precisamente:

  • il valore intrinseco o fondamentale; PIV I.6.8 il valore intrinseco o fondamentale di un’attività reale o finanziaria (o di un’attività aziendale) esprime l’apprezzamento che un soggetto razionale, operante sul mercato senza vincoli e in condizioni di trasparenza informativa dovrebbe esprimere alla data di riferimento, in funzione dei benefici economici offerti dall’attività medesima o dei relativi rischi Questa configurazione appare indicata quando il conseguimento delle ragioni dei creditori avviene mantenendo l’oggetto di stima nell’ambito del patrimonio e/o del controllo del debitore (ad esempio nei concordati in continuità aziendale)

  • il valore di mercato; PIV I.6.3. Il valore di mercato di un’attività reale o finanziaria (o di un’attività aziendale) o di una passività, è il prezzo al quale verosimilmente la medesima potrebbe essere negoziata, alla data di riferimento dopo un appropriato periodo di commercializzazione, fra soggetti indipendenti e motivati che operano in modo informato, prudente, senza essere esposti a particolari pressioni (obblighi a comprare o a vendere). Questa configurazione di valore è indicata nei casi in cui i beni oggetto di valutazione escono dalla sfera di dominio del debitore del complesso aziendale (esempio concordato preventivo con finalità liquidatorie)

  • il valore di smobilizzo, PIV I.6.7. Il valore di smobilizzo è il prezzo fattibile in condizioni non ordinarie di chiusura del ciclo d’investimento. Il valore cauzionale è un particolare valore di smobilizzo definito ex ante; il valore di liquidazione (ordinaria o forzata) è un particolare valore di smobilizzo. La configurazione del valore di smobilizzo appare indicata in tutti i casi in cui l’evoluzione della procedura concorsuale prevede la cessazione della continuità aziendale e il perseguimento di ipotesi liquidatorie

 

17 ottobre 2016

Angelo Fiori