La disapplicazione delle sanzioni va richiesta dal contribuente

in caso di incertezza normativa è il contribuente a dover richiedere la disapplicazione delle sanzioni tributarie: se viene presentata tale istanza i giudici valuteranno caso per caso; lo spunto per la disamina viene da dubbi sorti in merito all’assoggettabilità IRAP di plusvalenze da vendita di giocatori di calcio

camp-nouCon l’ordinanza n. 14402 del 14 luglio 2016 la Corte di Cassazione ha confermato che l’eventuale disapplicazione delle sanzioni va richiesta.

La sentenza

Secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte, “l’accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente (la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità, cfr. Cass. nn. 22890/2006; Cass, 25676 del 2008; Cass. 7502/2009; Cass. 8823 e 4031 del 2012; Cass. 24060 del 2014; Cass. 440 e 9335 del 2015)”.

L’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello e, correlativamente, dell’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità.

Conclude la Corte osservando che il giudice non può disporre la disapplicazione delle sanzioni d’ufficio, “quindi senza richiesta di parte, ma solo che la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione, quando domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati, può essere accertata anche dal giudice di legittimità. In tal senso si è già pronunciata questa Corte (Cass. n. 25676 del 2008), la quale, superando il remoto orientamento contrario citato dalla contribuente (Cass. 4053/2001), ha statuito che la disapplicazione da parte del giudice delle sanzioni per violazioni di norme tributarie, qualora abbia accertato che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, è possibile, anche in sede di legittimità, solo se domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati (cfr. anche Cass. 24060/2014 ed altre pronunce sopra citate)”.

ANALISI

La sentenza che si annota, unitamente alle altre pronunce emesse nel corso di questi anni, ci consente di fare il punto sulla questione, e di offrire al Lettore un preciso quadro di riferimento dell’ambito di applicazione dell’art. 8, del D.Lgs. n. 546/92.

La prassi

In sede di prassi, la C.M. n. 98/E del 23 aprile 1996 (in ordine all’art. 8 del D.Lgs. n. 546/929 ha ritenuto che “deve trattarsi di incertezza oggettiva – come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”.

La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 ha chiarito che “si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.”

La giurisprudenza di legittimità

In sede giurisprudenziale, sul versante delle regole e principi, con la sentenza n. 20302 del 4 settembre 2013 (ud. 4 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha osservato che, “l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, in base al principio generale stabilito nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, poi inserito nel c.d. Statuto del contribuente dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2192 del 16/02/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27707V2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013)”.

Ancora di recente, con la sentenza n. 208 del 9 gennaio 2014 (ud. 16 ottobre 2013) la Cassazione ha richiamato il principio più volte affermato secondo cui, “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito (tra le tante, Cass. nn. 24670 del 2007, 19638 del 2009, 2192, 4685, 13457 e 18434 del 2012, 3245 e 6190 del 2013)”.

E con l’ordinanza n. 2379 del 4 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito i principi contenuti nella pronuncia n.14476/2003, secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce potere riconosciuto dall’art. 39 bis del dPR 26 ottobre 1972, n.636 (applicabile ‘ratione temporis’), tenuto fermo dall’art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6, comma secondo, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente“.

E con la sentenza n. 11452 del 23 maggio 2014 (ud. 31 gennaio 2014) la Suprema Corte ha riconfermato l’orientamento secondo cui l’incertezza normativa oggettiva postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un qualsiasi contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.

E con l’ordinanza n. 17250 del 29 luglio 2014 (ud. 18 giugno 2014) la Suprema Corte di Cassazione ha ricordato, nel solco di una serie di precedenti (Cass. 28.11.2007 n. 24670, Cass. 21.03.2008 n. 7765 e Cass. 11.09.2009 n. 19638), che per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi “la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie”. L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di “fatti indice” oggi richiamati nella sentenza che si annota.

Sempre sul versante giurisprudenziale, in ordine alla prova, richiamiamo la pronuncia della Corte di Cassazione n. 4031/2012, che ha ricordato che la Corte ha stabilito che “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce … deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, nè, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto (Cass. n. 22890 del 2006; 7502 del 2009). Nel caso di specie questa ‘pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione’ non è rilevabile nella normativa applicabile”.

E con l’ordinanza n. 7067 dell’8 aprile 2015, la Corte di Cassazione, alla luce dei principi precedentemente espressi (Cass. Sent. nn. 4031/2012 e 22890/2006), ha riconfermato che “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente”.

E con la sentenza n. 12768 del 19 giugno 2015, la Corte di Cassazione osserva che “la generica richiesta di accertamento della non debenza delle sanzioni, contenuta nelle conclusioni del ricorso introduttivo, non può evidentemente valere, in un giudizio di tipo impugnatorio-misto, qual è quello tributario … a ricomprendere nel thema decidendum anche vizi di nullità del ruolo o della cartella non puntualmente dedotti, quale nella specie la richiesta di applicazione della ‘esimente’”, fondata su presupposti del tutto diversi (obiettiva incertezza sulla portata della norma tributaria violata) da quelli, attinenti ai requisiti formali dell’atto esecutivo…”.

Ma sicuramente è la sentenza n. 24512 del 2 dicembre 2015, quella con cui la Corte di Cassazione, nel tornare ad affrontare la questione relativa alla causa di non punibilità amministrativa, per incertezza normativa, che viene esclusa quando l’incertezza deriva da condizioni soggettive del contribuente, enuncia una serie di fondamentali principi di diritto:

  • per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi “la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie”;

  • l’incertezza normativa oggettiva costituisce “una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dall’art. 6 DLgs 18 dicembre 1997, n. 472, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione”;

  • l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento “nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria”;

  • l’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente:  “

    1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge;

    2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

    3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

    4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;

    5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;

    6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;

    7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;

    8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

    9) nel contrasto tra opinioni dottrinali;

    10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

    Tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili, (cfr Cass. Ord. n. 4394 del 24 febbraio 2014, Cass. Sent. n. 3113 del 12 febbraio 2014)”.

Da ultimo, con la sentenza n. 24589 del 2 dicembre 2015 (ud. 9 luglio 2015) la Corte di Cassazione ha ritenuto che non vadano applicate le sanzioni alle rettifiche relative all’omessa dichiarazione della plusvalenza derivante dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione, per incertezza normativa. Osserva la Corte che l’incertezza normativa oggettiva, di cui all’art. 8, del D.Lgs. n. 546/92, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, “richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere- dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2192 del 16/02/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez, 6 – 5,Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013)”. Prosegue la sentenza, affermando che per poter ravvisare una situazione di incertezza normativa oggettiva, “non può ritenersi sufficiente la divergenza tra l’indirizzo interpretativo seguito dall’Amministrazione finanziaria (nella specie espresso dalla risoluzione 213/E 2001) e le indicazioni offerte nelle istruzioni fornite dall’associazione di categoria del contribuente (nella specie, la Lega Calcio), ancorchè fondate su pareri rilasciati da studiosi di notoria autorevolezza”. Tuttavia, nel caso di specie, sull’interpretazione delle norme che regolano l’imponibilità a fini IRAP delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive professionistiche vi sono una serie di contrasti giurisprudenziali, “a cui la giurisprudenza di questa Corte collega l’esimente della condizione di incertezza normativa (cfr. a contrario, Cass. 22172/13, ove si legge: ‘Pertanto non essendo stati allegati e neppure essendo individuabili contrasti giurisprudenziali in ordine alla interpretazione delle predette norme tributarie, rimane destituita di fondatezza la tesi difensiva riproposta dalla società in ordine alla inapplicabilità delle sanzioni pecuniarie irrogate con l’avviso di accertamento opposto per asserita incertezza sulla portata precettiva delle stesse’)”.

6 settembre 2016

Gianfranco Antico