Gli effetti processuali dell’estinzione della società nel corso del contenzioso tributario

di Giovambattista Palumbo

Pubblicato il 7 settembre 2016

in caso di contenzioso che coinvolge una società cancellata dal registro delle imprese sono tanti i dubbi relativi a chi (in qualità di contribuente accertato) deve impugnare gli avvisi di accertamento ed essere parte nel processo; analizziamo le regole sulla rappresentanza processuale della società cessata

business-commercialista-telematico-1La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4789 dell'11.3.2016, ha chiarito gli effetti processuali dell’estinzione della società in corso di giudizio.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale rigettava l'appello proposto dal contribuente, una Srl in liquidazione, e confermava la decisione di prime cure che aveva dichiarato legittima la cartella di pagamento, avente ad oggetto la liquidazione delle somme dovute a titolo IVA per gli anni dal 1993 al 1995.

I Giudici di appello rilevavano che la messa in liquidazione della società di capitali non determinava alcun effetto estintivo, essendo stato, pertanto, correttamente istituito il contraddittorio con la persona giuridica.

La notifica della cartella, secondo i giudici di merito, era stata quindi validamente eseguita presso il domicilio del liquidatore, attesa la relata negativa della notifica precedentemente eseguita presso la sede legale della società, e rimanendo sanati in ogni caso eventuali vizi di irregolarità dalla tempestiva proposizione del ricorso in primo grado della contribuente.

La sentenza d'appello veniva impugnata per cassazione dalla società cancellata dal registro delle imprese.

Il Collegio, ritenuto necessario verificare pregiudizialmente la corretta instaurazione del contraddittorio, assegnava termine alle parti per deposito di note a chiarimento, e disponeva l'acquisizione della visura camerale presso la CCIAA di Venezia, città in cui risultava aver sede legale la società, dalla quale si evinceva che, a far data dal 10 gennaio 2006, la società di capitali era stata cancellata dal registro delle imprese, essendosi pertanto estinta la persona giuridica anche anteriormente alla udienza di trattazione in primo grado.

I giudici di legittimità rilevavano allora che, come emergeva dall’intestazione del ricorso principale, nonchè dalla procura speciale apposta a margine dell'atto e dalla visura ordinaria della CCIAA di Venezia, la società di capitali, soggetto giuridico debitore, era già estinta alla data di proposizione del ricorso per cassazione, a seguito dell’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese.

Visto quindi il disposto dell'art. 2495, c. 2, c.c., che ricollega l'effetto "estintivo" delle società dotate di personalità giuridica alla pubblicità costitutiva della iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, la Corte evidenzia che, una volta estinta la società, i diritti vantati dai creditori della società, rimasti insoddisfatti, possono essere fatti valere esclusivamente nei confronti dei soci e soltanto fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero anche nei confronti del liquidatore, ma soltanto nel caso in cui questo avesse versato in colpa.

Al riguardo, rileva ancora la Corte, a seguito della cancellazione, si determina il sopravvenuto difetto di legittimazione processuale del liquidatore, in quanto il fenomeno successorio che si verifica con l’estinzione della società di capitali (che viene privata della capacità di stare in giudizio: Corte cass. SU 12.3.2013 n. 6070), determina il trasferimento, ex art. 110 c.p.c., delle obbligazioni della società direttamente ai singoli soci, che, come detto, ne rispondono solo in quanto risultino attributari di diritti e beni in base al bilancio finale di liquidazione e soltanto nei limiti di quanto riscosso.

Pertanto, in pendenza di lite, anche la legittimazione sostanziale e processuale viene acquistata dai soci, i quali soltanto e nei cui confronti soltanto possono rispettivamente proporre e debbono essere proposte le eventuali impugnazioni (cfr. Corte cass., III sez., 10.11.2010 n. 22830; V sez., 16.5.2012, n. 7676; V sez., 6.6.2012, n. 9110, che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio, nel giudizio in cui era stata originariamente parte la società poi cancellata), rimanendo esclusa una concorrente legittimazione processuale dell'ex liquidatore, rimasto privo, a seguito della estinzione della società, del potere di rappresentanza (e dunque anche del potere di conferimento della procura ad litem, che, se rilasciata, deve ritenersi affetta da nullità: cfr Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 29242 del 12/12/2008; V sez., ord. 3.11.2011 n. 22863).

Infine, la Corte di Cassazione sottolinea che non trova applicazione al caso di specie l'art. 28, c. 4, del Dlgs 21.11.2014 n. 175, che dispone ai fini della "validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi", il differimento dell'effetto estintivo alla scadenza del quinquennio successivo alla iscrizione della cancellazione, trattandosi di norma priva di efficacia retroattiva (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 6743 del 02/04/2015).

In conclusione la Corte evidenzia anche che, cessata la capacità processuale della società, qualora l'evento estintivo della persona giuridica, verificatosi, come detto, anteriormente alla udienza di trattazione in primo grado, fosse stato portato ritualmente a conoscenza della controparte o del Giudice tributario, il giudizio avrebbe dovuto essere interrotto, dando così modo ai soggetti legittimati di riassumere nei termini di legge.

Nella specie, tuttavia, tale evento estintivo non era stato dichiarato dal difensore della società, nè era emerso dalle relate di notifica di atti processuali compiuti nel corso del processo.

In proposito i giudici di legittimità evidenziano che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che:

a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace;

b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione però del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace;

c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, c. 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante.

I giudici di legittimità ricordano poi che la sentenza delle SS.UU. della Cassazione, n. 15295/2014, ha, in particolare, inteso aderire e confermare, con riferimento anche al giudizio di cassazione, alla tesi della "ultrattività" della rappresentanza processuale della parte costituita in giudizio, richiamandosi alla disciplina del contratto di mandato ex artt. 1728 e 1396 c.c., ritenuta applicabile anche al "mandato ad litem".

Pertanto, in riferimento al caso di specie, escluso che la dichiarazione contenuta nel ricorso principale (che riportava che la società in liquidazione era stata "cancellata dal registro delle imprese in data 10 gennaio 2006") potesse perfezionare il negozio processuale diretto a produrre l'effetto interruttivo del giudizio di legittimità, osserva il Collegio che, secondo i principi di diritto enunciati nella citata sentenza SSUU n. 15295/2014, deve ritenersi che:

A) il ricorso principale per cassazione, proposto da un soggetto giuridico estinto, deve essere dichiarato inesistente per nullità della procura speciale ad litem conferita da soggetto ("ex liquidatore") privo di poteri rappresentativi, non potendo operare in sede di legittimità il principio di ultrattività della procura ad litem, applicabile, come detto, in assenza di dichiarazione o comunicazione dell'evento estintivo della società, esclusivamente alla attività difensiva svolta nei gradi di merito;

B) il controricorso e la proposizione del ricorso incidentale condizionato da parte dell'Agenzia fiscale e di Equitalia, notificati a soggetto inesistente (in quanto presso difensore sfornito di valida procura speciale ad litem) è inidoneo ad instaurare il contraddittorio nel giudizio di legittimità, dovendo peraltro escludersi che il ricorso incidentale condizionato possa trasformarsi in impugnazione principale, ostandovi altresì la invalida instaurazione del contraddittorio, essendo state eseguite anche le notificazioni di tali atti nei confronti di un soggetto (la società) inesistente, diverso dai soci, succeduti nei rapporti obbligatori ancora pendenti (riferibili alla società estinta), e pertanto soli legittimati, in via esclusiva, ad impugnare per cassazione la sentenza della CTR ed a resistere all’impugnazione incidentale proposta, nel caso di specie, dall'Agente della riscossione.

In conclusione, con la sentenza in commento, la Cassazione dichiara inammissibili sia il ricorso principale, per nullità della procura speciale ad litem, in quanto conferita da soggetto estinto, e sia i controricorsi ed il ricorso incidentale condizionato, dell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia, per difetto di interesse a resistere ed impugnare, nonchè per mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti legittimati.

La sentenza interviene dunque, ancora una volta, sugli effetti giuridici dell’estinzione della società e della sua cancellazione dal registro delle imprese, evidenziando la stretta connessione tra profili sostanziali e processuali.

Anche con la sentenza n. 13259 del 26 giugno 2015 la Corte era peraltro intervenuta sulla questione della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società in caso di estinzione del soggetto giuridico, rilevando che la cancellazione della società dal registro della imprese, pur provocando l'estinzione dell'ente debitore, non comporta la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi (tra cui anche l’Amministrazione Finanziaria), determinandosi un fenomeno di tipo successorio, in dipendenza del quale i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali, conservando il debito originario della società nei limiti in cui abbiano ricevuto utili in base a riparto, a seguito di bilancio finale di liquidazione.

La sentenza appena uscita affronta invece il (forse ancor più delicato) aspetto degli effetti in termini processuali. Senz’altro dirimenti quando, come nel caso di specie, determinano l’inesistenza della notifica.

Riassumendo, quindi, la norma, in caso di estinzione della società, prevede tre categorie di soggetti che possono essere chiamati in causa dal Fisco:

a) i liquidatori;

b) gli amministratori;

c) i soci.

La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori non è collegata, peraltro, ad un presupposto d’imposta espressivo di capacità contributiva, bensì ad un comportamento illecito proprio.

La Suprema Corte ha infatti più volte ribadito che l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, o dell’ex amministratore, per il mancato pagamento delle imposte, non presuppone una coobbligazione nel debito tributario, ma soltanto un’obbligazione per fatto proprio; e che il fondamento di tale responsabilità si rinviene nella inosservanza di una specifica obbligazione degli stessi soggetti nei confronti del fisco.

Per quanto concerne invece la responsabilità dei soci, essa trae origine dall’indebito arricchimento dagli stessi, realizzato (e in questo caso la prova spetta all’Amministrazione Finanziaria) per effetto delle assegnazioni di denaro e altri beni sociali loro fatte dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, ovvero dai liquidatori nella fase della liquidazione.

Tale responsabilità non ha quindi carattere sanzionatorio, ma riguarda direttamente l’obbligazione tributaria della società rimasta inadempiuta nei periodi innanzi indicati e l’indebito arricchimento realizzato dai soci, che trova però un limite quantitativo nel valore dei beni da essi ricevuti.

Mentre quindi la cancellazione dal registro delle imprese costituisce il presupposto della proponibilità dell'azione nei confronti dei soci, l'avvenuta percezione di somme in sede di liquidazione del bilancio finale costituisce il limite della stessa responsabilità dei soci, e l’onere della prova sull’an e sul quantum di tale responsabilità spetta all’Amministrazione Finanziaria.

Come affermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6070, depositata il 12 marzo 2013, per non ledere il diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost., deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l'estinzione dell'ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi.

Deve pertanto escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l'estinzione dell'ente debitore, determini la sparizione tout court dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, essendo possibile concludere che questi debiti si trasferiscono con un meccanismo di tipo successorio.

Su chi però ha la legittimazione attiva (e passiva) per risponderne in giudizio, come dimostrato dalla sentenza in commento, bisogna sempre prestare molta attenzione.

7 settembre 2016

Giovambattista Palumbo