La cancellazione della società dal registro delle imprese non vale, di per sé sola, come rinuncia tacita ai crediti non riportati nel bilancio finale di liquidazione, quand’anche incerti, illiquidi o ancora controversi. La regola è la sopravvivenza e la trasmissione in capo ai soci di tutte le situazioni attive non esaurite, le quali divengono oggetto di una successione a titolo universale impropria. Solo la prova di una volontà abdicativa inequivoca, riconducibile alla remissione del debito ex art. 1236 c.c. e portata a conoscenza del debitore ai sensi dell’art. 1334 c.c., può determinare l’estinzione del diritto di credito.
Cancellazione societaria e crediti residui: la parola ai soci
Il principio, dettato dalle Sezioni Unite inverte la prospettiva seguita da un consolidato orientamento di legittimità che riteneva la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione sufficiente ad integrare una presunzione juris et de jure di rinuncia.
Tale costruzione, secondo la Suprema Corte, è incompatibile con la natura negoziale della remissione, con i principi contabili civilistici che escludono la rilevazione in bilancio di mere attività potenziali e, soprattutto, con l’esigenza di tutela dei creditori sociali, che resterebbero ingiustificatamente pregiudicati da un automatismo meramente formale.
Pertanto, in assenza di una remissione validamente perfezionata, ogni credito sopravvissuto alla cancellazione, pur incerto o litigioso, si trasferisce ai soci della società estinta, i quali ne divengono legittimi titolari e sono legittimati a coltivarne la pretesa in giudizio.
Il caso concreto e la quaestio iuris rimessa alle Sezioni Unite
La vicenda trae origine da un’azione promossa da una S.r.l. nei confronti di una banca per la ripetizione di interessi e oneri ritenuti illegittimi nell’ambito di un rapporto di conto corrente. Il Tribunale di Napoli, preso atto dell’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, dichiarava cessata la materia del contendere in relazione alle domande proposte dalla società attrice, ritenendo che la cancellazione avesse implicato una rinuncia tacita alla pretesa creditoria.
Contestualmente, venivano rigettate le domande avanzate dai fideiussori, ritenuti privi di autonoma legittimazione ad agire.
La Corte d’appello di Napoli ribaltava tale ricostruzione, affermando che l’evento estintivo non comporta di per sé rinuncia al diritto azionato, né determina in automatico la cessazione della materia del contendere. In particolare, veniva sottolineato come, in mancanza di dichiarazione del procuratore o rinuncia espressa della società, continuasse ad operare la regola dell’ultrattività del mandato alle liti.
La Corte territoriale riconosceva così la successione del socio unico nei diritti già facenti capo alla società estinta, attribuendogli legittimazione a proseguire il giudizio e condannando la banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
Investita del ricorso proposto dalla banca, la Prima Sezione Civile ha ravvisato la presenza di un contrasto giurisprudenziale che rendeva necessario l’intervento delle Sezioni Unite. Il nodo concerneva la sorte dei crediti non inseriti nel bilancio finale di liquidazione in caso di cancellazione della società pendente lite, se cioè tale omissione dovesse essere intesa come rinuncia tacita alla pretesa, con conseguente estinzione del diritto e inammissibilità della prosecuzione del giudizio, ovvero se anche i crediti incerti, illiquidi o litigiosi potessero trasferirsi ai soci in virtù del fenomeno successorio delineato dall’art. 2495 c.c..
Il contrasto giurisprudenziale
La questione rimessa alle Sezioni Unite si inserisce in un solco giurisprudenziale già tracciato. Dopo le pronunce del 2013 (Cass. sent. nn. 6070, 6071 e 6072), la Corte di cassazione aveva affermato che:
“La cancellazione d