Cessione d'azienda, plusvalenza rateizzata e contributi INPS (risposta a quesito)

come influisce la rateizzazione ai fini IRPEF di una plusvalenza da cessione d’azienda (plusvalenza rateizzata in 5 anni) sui contributi INPS? Anche i contributi vengono calcolati con gli stessi tempi della rateizzazione IRPEF?

FAQ-CTQUESITO – Contributi INPS

La società Alfa SNC ha ceduto la propria azienda (attività di bar-ristorazione) realizzando una plusvalenza e optando nella dichiarazione dei redditi, per la rateizzazione dell’irpef in 4 anni.

Chiedo conferma della correttezza di quanto abbiamo fatto:

– comunicazione all’Inps di cessata attività dei soci lavoranti e alla CCIAA di inattività dalla data della cessione d’azienda;

– obbligo per i soci, di assoggettare interamente alla contribuzione Inps commercianti anche la plusvalenza nell’anno 2014 senza la possibilità di rateizzare come per l’Irpef.

 

PREMESSA

Con il quesito sopra riportato si chiede di conoscere il trattamento fiscale e previdenziale, nonché gli adempimenti amministrativi, che conseguono alla cessione di azienda da parte di una società di persone che, a seguito di tale atto dispositivo, consegue una plusvalenza che viene opzionalmente rateizzata.

PARERE

Dopo una breve disamina del trattamento fiscale della plusvalenza derivante dalla cessione di azienda, sicuramente bene conosciuto dall’utente, focalizzeremo l’attenzione sui risvolti ai fini previdenziali della rateizzazione del plusvalore realizzato.

Imposte dirette

Secondo l’art. 86, c. 4, D.P.R. 917/1986 (Tuir) la plusvalenza può essere opzionalmente rateizzata in 5 esercizi (leggasi periodi d’imposta) nell’ipotesi in cui l’azienda ceduta sia stata posseduta da almeno 3 anni. La disposizione citata, destinata ai soggetti IRES, è applicabile anche ai soggetti IRPEF in virtù del richiamo effettuato alla norma stessa da parte dell’art. 56, co. 1, Tuir.

Per stabilire il decorso del triennio di possesso occorre fare riferimento al momento in cui l’azienda è stata acquistata (anche a seguito di fusione; circ. Ag. Entrate 18.1.2002, n. 4/E, par. 5; circ. Min. Fin. 19.12.1997, n. 320/E; circ. Min. Fin. 27.5.1994, n. 73/E; circ. Min. Fin. 10.4.1991, n. 9/E) o l’impresa (sotto forma societaria) è stata costituita, a nulla rilevando la data di acquisto dei singoli beni che compongono il complesso unitario (circ. Min. Fin. 19.12.1997, n. 320/E, par. 1.2.2; circ. Min. Fin. 6.3.1998, n. 76/E).

La plusvalenza realizzata va indicata nella dichiarazione dei redditi, alternativamente:

– nel quadro RF (per i soggetti in contabilità ordinaria), riportando mediante apposite variazioni in aumento e in diminuzione. In particolare, tra le variazioni in diminuzione si indica l’intera plusvalenza, mentre tra le variazioni in aumento la quota imputabile al periodo d’imposta oggetto di dichiarazione (con un massimo di 5 rate);

– nel quadro RG (per i soggetti in contabilità semplificata).

La scelta di rateizzare il plusvalore non ha effetti civilistici o in bilancio (salva la necessità di calcolare ed iscrivere le imposte differite in relazione alla quota frazionata).

Solo per completezza di trattazione (ma anche perché il concetto ci servirà per l’analisi del trattamento previdenziale) ricordiamo che per l’imprenditore individuale non si applica il descritto frazionamento, in più periodi d’imposta (con un massimo di 5), della plusvalenza qualora decida di assoggettarla a tassazione separata (art. 58, co. 1, Tuir), esistendo le condizioni di legge – plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute, anche in usufrutto o in affitto (circ. Min. Fin. 18.12.1997, n. 320/E), da più di 5 anni – previste dall’art. 17, co. 2, lett. g), Tuir. In caso di opzione per la tassazione separata si rende necessaria la compilazione del quadro RM del modello Unico PF.

Gestione previdenziale

Si pone ora il problema della debenza dei contributi Inps in caso di rateizzazione della plusvalenza nei periodi d’imposta in cui la società cedente, rimasta – di fatto – in vita solo per la fruizione della plusvalenza rateizzata.

Le questioni a cui dare risposta riguardano l’obbligatorietà o meno di mantenere, in capo ai soci, l’iscrizione alla gestione IVS durante gli anni in cui opera la rateizzazione (escluso il primo periodo) e su quale base avviene il calcolo dei contributi previdenziali.

In dottrina, alcuni hanno ipotizzato che i contributi siano dovuti per il solo fatto che la rateizzazione della plusvalenza ha effetti solo fiscali, mentre i contributi sono dovuti sull’intero importo realizzato.

Noi non condividiamo questa soluzione.

I contributi previdenziali sono dovuti da coloro che in qualità di soci operano all’interno della società se l’attività viene svolta con carattere di abitualità e prevalenza. Non hanno alcun obbligo invece coloro che si limitano a conferire il capitale (es. socio accomandante) o che lavorano in società solo occasionalmente e che hanno altra copertura previdenziale per via di altra attività svolta con carattere di prevalenza.

Da quanto ora affermato risulterà comunque il rischio di un possibile contenzioso con l’istituto di previdenza laddove il socio, illimitatamente responsabile (accomandatario, nel caso che ci occupa), sia amministratore e non abbia altra copertura previdenziale, in quanto – secondo la giurisprudenza di legittimità – la sfera delle attività tipiche dell’amministratore di una società non è ristretta al compimento dei soli atti giuridici relativamente previsti, incombendo invece su tale soggetto il dovere di occuparsi dell’organizzazione dell’impresa e di tutto ciò che attiene ad essa e al raggiungimento dei fini sociali (Cass. 23.8.2000, n. 11023; Cass. 24.3.1997, n. 2582; Cass. SS.UU. 23.3.1989, n. 1539). Ora, una società tenuta in vita al solo fine di rateizzare la plusvalenza non consegue lo scopo di divisione degli utili come previsto dal codice civile (art. 2247 cod. civ.), per cui delle due l’una: o la società, non avendo alcuno scopo, avrebbe dovuto estinguersi (con l’effetto di non poter rateizzare la plusvalenza rateizzata) oppure continuando ad esistere si afferma, implicitamente, che deve ancora conseguire lo scopo sociale (e pertanto, in ogni periodo d’imposta, si imputa una quota della plusvalenza realizzata, ma diviene difficile sostenere che i soci – illimitatamente responsabili e non aventi altra copertura previdenziale derivante dallo svolgimento di una attività prevalente – possano non essere iscritti alla gestione IVS).

Ad ogni modo, non svolgendo altra attività, è senz’altro opportuno annotare presso il Registro delle Imprese lo status di inattività dell’azienda e tentare di sostenere la non iscrivibilità dei soci alla gestione previdenziale IVS (qualora l’obbligo non scatti per via dello svolgimento di altra attività estranea a quella svolta nella società in questione), giacché l’obbligo assicurativo scatta con l’inizio dell’attività e, di conseguenza, cessa con il termine della stessa (Cass. 3.7.2001, n. 9006); e ciò sulla base delle seguenti considerazioni.

La Legge 22.07.1966, n. 613 ha esteso l’obbligo di assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (in sigla, IVS) agli esercenti attività commerciali, creando sulla scia di altre categorie di lavoratori autonomi, una apposita gestione presso l’Inps. La legge collegata alla Finanziaria per il 1997 (del 23.12.1996, n. 662), all’art. 1, co. 202-208 ha riordinato la materia definendo i requisiti generali per l’iscrizione alla gestione dei commercianti ed ha allargato la platea degli obbligati alla Gestione ai soggetti che esercitano, in qualità di lavori autonomi (intendendosi i non dipendenti), le attività inquadrate nel settore “terziario” dalla L. 9.3.1989, n. 88 (con esclusione degli artisti e dei professionisti).

I soggetti che esercitano contemporaneamente varie attività autonome che danno titolo a diverse forme di assicurazione IVS (per la pensione), sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente (art. 1, co. 208, L. 662/1996). La regola è applicabile anche se le attività plurime sono svolte in un’unica impresa. La scelta della gestione compete all’Inps.

Per essere iscritti alla gestione IVS i soggetti devono possedere le seguenti caratteristiche:

1) essere titolari o gestori in proprio di imprese organizzate prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero essere i familiari coadiutori preposti al punto di vendita;

2) avere la piena responsabilità dell’impresa e assumere tutti gli oneri e i rischi relativi alla gestione (tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita e per i soci a responsabilità limitata);

3) partecipare personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

4) essere in possesso, ove previsto da leggi e regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o essere iscritti in albi, registri o ruoli.

Si presti attenzione che, nel caso in cui l’attività commerciale sia svolta in forma di società, sono iscrivibili all’assicurazione, sempre che siano in possesso dei requisiti visti, solo i soci che possono rispondere agli impegni assunti anche col patrimonio personale (es. soci di società in nome collettivo e soci accomandatari di S.a.s., ma non anche i soci di S.p.A. o di S.a.p.a.), con l’eccezione dei soci di S.r.l. (art. 1, c. 203, L. 662/1996; circ. Inps 07.02.1997, n. 25) i quali determinano i contributi dovuti sulla base del reddito d’impresa prodotto dalla società, a nulla rilevando l’eventuale successiva distribuzione dello stesso sotto forma di utili o l’accantonamento a riserva (circ. Inps 26.2.2002, n. 43), che si qualificano invece come redditi di capitale (art. 1, L. 2.8.1990, n. 233; circ. Inps 15.2.1999, n. 32; nota Min. Lavoro 6.12.1999); circ. Inps 5.6.1998, n. 121).

Dunque, il reddito d’impresa costituisce il punto di riferimento per la determinazione del contributo da versare, e non il presupposto per l’iscrizione alla gestione previdenziale. Se dunque manca il presupposto per l’iscrivibilità, nessun contributo è dovuto, a prescindere dalla realizzazione di un reddito d’impresa.

Infatti, sin dall’origine, il reddito imponibile ai fini contributivi è stato “il reddito annuo derivante dall’attività di impresa … dichiarato ai fini IRPEF” (art. 1, c. 1, L. 233/1990), poi allargato a tutti i redditi di tale natura (e non solo quelli che avevano dato titolo all’iscrizione alla gestione di appartenenza, come invece applicabile fino al 1992; circ. Inps 21.12.1990, n. 274) dall’art. 3-bis, D.L. 384/1992, conv. dalla L. 14.11.1992, n. 438 (il quale ha previsto che “l’ammontare del contributo è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciata ai fini IRPEF”). Si veda la circ. Inps 12.6.2003, n. 102. Sul punto si ricordano le recenti sentenze della Corte di Appello dell’Aquila 25.06.2015, nn. 752 e 774 in relazione all’obbligo assicurativo e alla determinazione dei contributi sul reddito d’impresa derivante dalla partecipazione a S.r.l. nella quale il socio non presta alcuna attività lavorativa.

Come precisato dalla Corte Cost., sent. 7.11.2001, n. 354 che ha confermato la legittimità costituzionale del citato art. 3-bis, lo scopo dell’allargamento della base imponibile previdenziale ha lo scopo di rispettare la sopravvenuta armonizzazione delle base imponibili fiscale e previdenziale prevista dall’art. 6, D.Lgs. 2.9.1997, n. 314.

Ancora: in aderenza al parere del Ministero delle Finanze, l’Inps (circ. 12.6.1997, n. 135) ha chiarito che il reddito d’impresa a cui fa riferimento l’art. 1, L. 233/1990 deve coincidere con il reddito d’impresa determinato in base all’art. 8 del Tuir e cioè quello che risulta dopo aver sottratto le perdite che derivano dall’esercizio di imprese commerciali in regime di contabilità ordinaria relative ai 5 periodi d’imposta precedenti (secondo la normativa allora vigente). E’ evidente che occorre aver riguardo, per la determinazione dei contributi da versare, al reddito d’impresa imputato per trasparenza ai soci (nel caso di società di persone): così che nell’anno di realizzo della plusvalenza si imputerà ai soci il reddito d’impresa che deriva da tutte le variazioni in aumento e in diminuzione, incluso lo scomputo di perdite pregresse. Anche nei successivi periodi d’imposta (in cui viene ripartita la plusvalenza) le quote della plusvalenza rateizzata parteciperanno alla formazione del reddito d’impresa societaria, ma non è detto che esso risulti positivo (es. in presenza di perdite pregresse o di significative variazioni in diminuzione), e ciò dimostra che non è la plusvalenza realizzata (es. pari a 100) ad essere assoggettata a contribuzione previdenziale, ma il reddito d’impresa. Ma sempre che si realizzi il presupposto dell’iscrivibilità alla gestione previdenziale.

Infatti, è stato lo stesso istituto previdenziale ad individuare i righi della dichiarazione dei redditi d’impresa da prendere a riferimento per determinare la base imponibile ai fini previdenziali, distinguendo a seconda che si tratti di contabilità ordinaria, contabilità semplificata, partecipazione in società di persone, soci di S.r.l. (circ. Inps. 07.06.2005, n. 72), a dimostrazione del fatto che non si va ad indagare sulle scelte operate ai fini fiscali (rateizzazione delle plusvalenze) o alla natura delle variazioni in aumento o in diminuzione previste dal Tuir, ma semplicemente al reddito d’impresa così come risulta dalla dichiarazione dei redditi.

A dimostrazione della validità della nostra interpretazione, si consideri che nel caso di assoggettamento a tassazione separata (art. 17, lett. g, Tuir) della plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso dell’unica impresa posseduta dall’imprenditore individuale, poiché detto importo non concorre alla formazione del reddito imponibile (giacché assoggettato a tassazione separata!!!) neppure è assoggettato a contribuzione previdenziale. Infatti, l’Inps, nell’individuare i righi da prendere a base della contribuzione previdenziale, indicato solo i quadri RH, RG, RF, ma non anche il quadro RM in cui si indica il plusvalore assoggettato ad tassazione separata.

Conclusivamente, fermo restando l’obbligo di contribuzione (eventualmente anche per il minimale) per il periodo d’imposta di realizzo della plusvalenze (per la sola quota che concorre alla determinazione del reddito d’impresa), riteniamo che nessuna disposizione prevede l’assoggettamento a contributi Inps della plusvalenza rateizzata fiscalmente sulla base del corretto calcolo del reddito d’impresa.

In altre parole, la scelta operata ai fini fiscali vale anche ai fini contributivi.

Claudio Sabbatini

26 Ottobre 2015

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