Leasing nautico e abuso del diritto

Il contratto di leasing nautico si presta ad essere riqualificato dal Fisco come contratto di acquisto di imbarcazione: analisi su tale tipo di possibile contenzioso.

contratto di leasing nautico e abusi del dirittoLa Commissione Tributaria Regionale di Firenze, con la sentenza n. 648/17/16 del 7.4.2016, ha chiarito le conseguenze fiscali in caso di leasing nautico ed in particolare gli eventuali presupposti di contestazione di abuso del diritto.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze aveva accolto il ricorso proposto dal ricorrente avverso avvisi di accertamento derivanti da un recupero a tassazione di tale imposta basata sulla riqualificazione di tre contratti di leasing di altre tante imbarcazioni, quali atti di compravendita anziché di locazione finanziaria.

L’agenzia delle Entrate infatti, vista la previsione contrattuale di un maxi canone iniziale di importo superiore al 40% del valore del finanziamento, aveva rilevato l’abusivo ricorso al contratto di leasing in luogo di quello di compravendita, adottato unicamente, secondo la tesi dell’ente impositore, per godere dei benefici previsti in materia di leasing nautico consistenti nell’abbattimento dell’imponibile in base alle percentuali fornite dall’agenzia delle Entrate.

L’Ufficio aveva conseguentemente sottoposto a tassazione le relative operazioni come se si trattasse di un contratto di compravendita.

La commissione di primo grado aveva tuttavia ritenuto erronea tale impostazione giuridica, rilevando che il contratto di leasing attribuisce al conduttore non il possesso del bene, ma la mera detenzione, avendo peraltro il legislatore inquadrato il contratto di leasing come contratto avente ad oggetto prestazioni di servizi, qualificazione questa incompatibile con gli effetti traslativi di una cessione di beni, che comporta potere di disposizione uti dominus.

Non vi erano poi, secondo la Commissione, neppure gli elementi sintomatici dell’abuso di diritto, quali, in particolare:

  1. vantaggio fiscale;
  2. aggiramento di norme;
  3. assenza di ragione economica apprezzabile dell’operazione.

 

Nonostante la previsione della maxi rata iniziale, sottolineavano i giudici di merito, stante la particolare natura del bene oggetto di leasing, doveva infatti considerarsi la sussistenza di ragioni economicamente apprezzabili nella conclusione dei siffatti contratti, tenendo conto della necessità di una maggiore garanzia da parte della società di leasing, connaturata alla intrinseca mobilità del bene imbarcazione e della necessità di ottenere una maggiore garanzia per l’adempimento dell’obbligazione.

Escluso dunque l’abuso del diritto, veniva accolto il ricorso della contribuente.

L’Agenzia proponeva quindi appello davanti alla CTR, lamentando l’erroneità della soluzione adottata dal primo giudice, che aveva, a suo avviso, errato nell’inquadrare la fattispecie nell’ambito dell’articolo 37-bis d.p.r. 600/73, richiamandosi alla previsione tassativa dei fenomeni elusivi ivi contenuti (aggiramento di obblighi o divieti previste dall’ordinamento, mancanza di valide ragioni economiche, indebito risparmio di impasta), laddove tale fattispecie doveva essere invece tenuta ben distinta dalla figura generale dell’abuso di diritto, integrata dal comportamento di colui che, pur non violando formalmente specifiche disposizioni, utilizzi la normativa per ottenere un risultato contrastante con i principi dell’ordinamento tributario statale e comunitario.

Il giudice di primo grado aveva dunque errato nell’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie e dunque anche nell’attribuzione alle parti dell’onere probatorio, anche considerato che:

  • in materia di abuso del diritto, l’onere probatorio è invertito, laddove, a fronte degli elementi indiziari gravi precisi e concordanti posti alla base del disegno elusivo, neppure presi sufficientemente in considerazione dalla sentenza di primo grado, non era stato dato rilievo alla mancanza di prova contraria, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova dell’esistenza delle alternative o concorrenti ragioni economiche dell’operazione in esame;

  • vi erano delle particolari anomalie nei contratti, quali, in primo luogo, la previsione di un maxi canone in misura superiore al 40%, che rappresentava una sorta di pagamento anticipato di gran parte del valore dell’imbarcazione, che, rilevando una forte disponibilità finanziaria e patrimoniale dell’utilizzatore, portava a far ritenere che la causa del contratto fosse diversa da quella tipica del contratto di leasing. L’anomalia di tale percentuale era stata del resto rilevata dall’Agenzia delle Entrate basandosi sulle medie elaborate dalla Assilea (associazione italiana società di leasing), secondo la quale nel 2005 il 73,9% dei contratti di leasing nautico prevedeva un maxi canone fra il 30 e il 40% del valore. E la controparte, peraltro, non aveva neppure spiegato le ragioni per le quali la maxi rata era stata determinata in misura superiore alla media citata.

 

Altro elemento sintomatico dell’uso strumentale del contratto di leasing doveva poi ravvisarsi nell’esiguità del prezzo di riscatto, decisamente irrisorio.

In conclusione, secondo l’Amministrazione, nel caso di specie, l’abusivo ricorso al contratto di leasing aveva agevolato il debitore d’imposta, che aveva goduto indebitamente delle agevolazioni sulla forfettizzazione della base imponibile.

Lamentava infine ancora l’appellante come la sentenza di primo grado avesse omesso di considerare anche l’ulteriore argomentazione per la quale, in base alla giurisprudenza della corte di giustizia europea, si ha “cessione” di un bene ogni volta che venga disposto il trasferimento del potere di disporre come proprietario, a prescindere dalle qualificazioni giuridiche che abbiano prodotto il medesimo risultato.

E peraltro, trattandosi nel caso di specie della cosiddetta ipotesi di leasing traslativo, nel quale, secondo l’interpretazione di Cass, sez Un. n. 65 del 1993,

“.. Le parti già al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, con riguardo alla sua natura all’uso programmate alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicchè il trasferimento del bene all’utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un’eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto”,

doveva ancor più ritenersi che si individuasse un’ipotesi di cessione dei beni rispondente alla citata sesta direttiva comunitaria.

La Commissione Tributaria Regionale, riteneva tuttavia che la sentenza di primo grado andasse confermata, e che, nell’esame di merito si potesse comunque prescindere dall’inquadramento teorico e dalla relazione tra le previsione dell’articolo 37 bis d.p.r. 600/73, rispetto alla più generale figura dell’abuso del diritto di elaborazione giurisprudenziale quale principio di immanente espressione del sistema fiscale, in quanto non ricorrevano nel caso di specie neppure gli elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, prospettati dall’ufficio a sostegno dell’avviso di accertamento, rispetto ai quali sarebbe in tal caso gravato, per inversione dell’onere della prova, sul contribuente la relativa prova contraria.

I dati indiziari posti dall’agenzia della Entrate alla base dell’accertamento, sottolinea la CTR, dovevano infatti porre in risalto anomalie tali da evidenziare che il contratto rispondesse a ragioni estranee alla causa tipica del leasing, sottintendendosi piuttosto la realizzazione di un contratto di compravendita.

Quale particolare elemento sintomatico l’agenzia delle Entrate additava invece solo l’entità del maxi canone iniziale, in quanto fattore indicativo di una particolare disponibilità finanziaria del fruitore, che lo avrebbe posto in contrasto con la causa tipica del contratto di leasing.

Tuttavia tale elemento, secondo il giudice di secondo grado, appariva già di per sè equivoco, anche perché, trattandosi di cifre ingenti, non era indifferente per il fruitore disporre di un finanziamento che coprisse almeno la metà del bene acquistato, essendoci dunque un interesse economicamente apprezzabile al contratto di leasing da parte di entrambi i contraenti, anche considerato che anche la società di leasing, in relazione al particolare elevato valore dei beni e alla loro facile occultabilità, sopporta in questi casi un rischio superiore certamente all’ordinario e bilanciabile appunto attraverso previsioni di anticipi più elevati rispetto a quelli di altri settori.

D’altra parte, evidenzia ancora la Commissione, i maxi anticipi nel caso di specie si attestavano su percentuali di poco superiori a quelle medie del settore (precisamente come indicato dall’appellata variano dallo 0,1% al 10%).

La stessa indicazione media attestava anzi la usualità del ricorso nella nautica a pattuizioni di canoni iniziali di importo ben superiore a quelli riscontrati in altri settori economici, il che privava la differenza di cui si trattava dei connotati di abnormità ed anomalia rispetto alla causa contrattuale di leasing.

Economicamente consequenziale appariva quindi anche l’ulteriore tratto additato come anomalo dall’agenzia delle Entrate, consistente nella esiguità del prezzo di riscatto, visto che alla scadenza contrattuale anche per effetto delle rate intermedie, il prezzo risultava quasi integralmente corrisposto e che non era prevista alcuna soglia limite per i contratti di leasing.

Ma ciò che era dirimente, secondo i giudici, era il fatto che, pur tenendo conto degli elementi sopra citati, a riprova della loro scarsa valenza indiziaria, non mutava la causa del contratto, il che impediva di operare la pretesa riqualificazione giuridica del contratto in senso sostanziale, assimilandone gli effetti a quelli della proprietà.

Nel caso infatti del c.d. leasing traslativo, qual quello in esame, la funzione del contratto è infatti quella tipica del finanziamento, funzione che, soprattutto in considerazione degli importi elevati, non risultava nel caso di specie affatto secondaria o trascurabile, non producendosi per contro alcun effetto traslativo, neppure di fatto, non realizzandosi la trasmissione al fruitore del diritto di proprietà, nè del possesso in senso tecnico, e rimanendo egli, fino al momento del riscatto, un semplice detentore.

In altri termini, come detto, non si realizzava un’alterazione della causa del contratto di leasing che potesse portare a traslare la funzione di finanziamento in quella di trasmissione delle prerogative principali connesse al diritto di proprietà.

Conclude dunque la Commissione che

“anche lo stesso concetto di abuso del diritto, trova un limite nella legittima modulazione degli interessi delle parti nell’ambito dell’autonomia contrattuale, dove permanga all’evidenza come nel caso di specie, l’effetto giuridico tipico della regolamentazione pattizia posta in essere, e non si riscontri per contro la realizzazione neppure indiretta dei diversi effetti giuridici cui la amministrazione ancora la pretesa tributaria”.

Non c’è quindi abuso del diritto nella scelta di acquisire un’unità da diporto attraverso il leasing nautico, e non con una più tradizionale compravendita, anche quando alcuni parametri contrattuali (maxicanone, durata, riscatto) appaiono atipici rispetto ad altri comparti del leasing (cfr. anche Ctr Lombardia 6518/44/2014).

La presenza di un maxicanone elevato, di una durata ridotta e di un prezzo di riscatto esiguo, seppur «atipici» in altri comparti del leasing, sono dunque giustificabili nel settore della nautica da diporto, dove la particolarità dei beni finanziati e le esigenze dei clienti inducono la società di leasing a limitare il più possibile il rischio creditizio attraverso maxicanoni elevati e durate contrattuali brevi.

In tale contesto, dunque, salva la dimostrazione specifica di un uso abnorme dello strumento (l’Agenzia ha anche diramato una sorta di griglia di indicatori di abnormità), essendo il leasing uno strumento giuridico che l’ordinamento ha previsto come valida ed ordinaria alternativa alla cessione, nella misura in cui un contribuente, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, decide di acquisire un’imbarcazione in locazione finanziaria, l’ordinamento stesso non può ritenersi raggirato per il solo fatto di aver raggiunto un minor aggravio in termini di imposta.

La giurisprudenza di merito si è comunque pronunciata in numerose sentenze a favore delle società di leasing (C.T.R. di Bologna sentenza n. 51 del 24 marzo 2011; C.T.R. di Firenze, sentenza n. 55 del 21 giugno 2013), ritenendo che le clausole, sopra riportate, siano da considerarsi valide e legittime quando oggetto del contratto di leasing sono unità da diporto.

 

23 agosto 2016

Giovambattista Palumbo