Consulente infedele: le nuove modalità di riscossione delle sanzioni

il consulente tributario può essere esposto (oltre all’azione di risarcimento dei danni patrimoniali per violazione dell’obbligo di diligenza) anche all’applicazione diretta delle sanzioni amministrative tributarie: vediamo in quali casistiche può scattare questa grave penalizzazione

bandiera-pirata_21053085 Il professionista che svolga anche attività di consulenza tributaria può essere esposto (oltre all’azione di risarcimento dei danni patrimoniali per violazione dell’obbligo di diligenza) anche all’applicazione diretta delle sanzioni amministrative tributarie.

Il quadro normativo (previsto dal nostro ordinamento e di seguito descritto) ha mutuato, nell’ambito della materia delle sanzioni tributarie, molti principi ispiratori del diritto penale e, tra questi, l’elemento cardine della “personalità” che impone l’individuazione dell’autore materiale dell’illecito e quindi del soggetto al quale è legittimamente irrogabile la pena pecuniaria.

Intorno questo aspetto, con la sent. n. 12620 del 17 giugno 2016, emessa in tema di effetti pregiudizievoli provocati sul contribuente da un consulente negligente o infedele, la Suprema Corte ha cassato una sentenza della Ctr Liguria rievocando dapprima la circostanza che persino “l’infedeltà dell’intermediario che, incaricato del pagamento dell’imposta e della trasmissione della dichiarazione dei redditi, ometta di provvedervi, quand’anche accertata in sede penale, non esonera il contribuente dal pagamento dell’imposta stessa, rimanendo non dovuti soltanto gli interessi e le sanzioni, in base al principio di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3 (cfr . Cass. Civ 8630/2012)”.

Successivamente, lo stesso collegio ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui era incorsa in un vizio di omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello sollevato in relazione alla non applicabilità delle sanzioni; in effetti, in ricorso il contribuente (appellante) aveva lamentato la mancata applicazione della disposizione più favorevole di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, c. 3 (cfr. Cass. 27056/2007; Cass. 26848/2007; Cass. 26850/2007; Cass. 25136/2009).

Invero, la C.T.P. aveva ritenuto necessaria, ai fini della esclusione delle sanzioni, la ricorrenza delle tre condizioni previste ratione temporis dal L. n. 423 del 1995, art. 1, c. 2 (denuncia penale, pagamento delle imposte ancora dovute e prova della provvista fornita al professionista), richieste ai fini dell’istanza di sospensione delle sanzioni in sede amministrativa, laddove, nella fattispecie, il contribuente aveva esclusivamente fornito la prova della denuncia penale inoltrata nei confronti del consulente fiscale.

Ma ( considerato che sulla specifica doglianza del contribuente il giudice d’appello non aveva provveduto, nemmeno implicitamente cfr. Cass. 11381/2013; Cass. S.U. 17931/2013; Cass. 24596/2915) la Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata , onde consentire, a diversa sezione della Ctr ,di verificare la ricorrenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, c. 3, in tema di sussistenza delle cause di non punibilità ai fini della non applicazione delle sanzioni.

Tale arresto non è isolato nel panorama giurisprudenziale attinente il tema delle sanzioni al professionista.

Va, infatti , ricordato che (ad esempio) anche con la pronuncia della Corte di Cassazione, n. 23601del 20 dicembre 2012, era stato affrontato il caso della impugnazione delle sanzioni tributarie inizialmente ricadenti sul contribuente in conseguenza del mancato versamento dell’imposta da parte del proprio consulente di fiducia.

La suindicata sentenza teneva in debita ragione “la convincente dimostrazione del fatto che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista denunciato all’autorità giudiziaria” così implicitamente richiamando il profilo della “personalità” della violazione (art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997).

Lo stesso precedente faceva altresì esplicito riferimento all’altra disposizione dianzi citata (art. 1 della L. n. 423/1995) che regola la riscossione delle sanzioni e della imposte in un regime di tutela del cliente truffato.

I giudici di Piazza Cavour, sottolineando che tale norma opera esclusivamente sul piano della riscossione, nell’occasione rappresentavano che la stessa non osta a che la non punibilità del contribuente, salva la “convincente dimostrazione” di cui sopra, resti indipendente dalla commutazione delle sanzioni in capo al professionista responsabile della violazione per effetto di giudicato penale a carico di quest’ultimo.

In questo contesto, anche la giurisprudenza di merito si è sempre distinta per una particolare attenzione sull’esenzione di colpa in capo al contribuente (CTP Vercelli 9 febbraio 2012, n. 8; CTR Lazio, sez. Latina, 14 gennaio 2005, n. 2; CTP Treviso, sez VI, 6 agosto 1997, n. 128) e , per identificare il concetto di “colpa”, gli organi giudicanti fanno generalmente riferimento, stante l’assenza nel nostro codice civile di una precipua definizione di tale presupposto, all’art. 43 c.p. che richiama (oltre all’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline) i tradizionali concetti di negligenza, imprudenza e imperizia.

Talvolta anche la giurisprudenza di legittimità si è concentrata intorno l’aspetto della colpa del contribuente. Ad esempio, le ordinanze n. 12472 e n. 12473 del 21 maggio 2010 sembrano aver affermato, neanche tanto implicitamente, l’ulteriore obbligo per il contribuente del controllo sull’esecuzione del mandato conferito (“poiché ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche con colpa, il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di avere incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”).

Una volta rielaborata, in via succinta e generale, la problematica così come affrontata dalla giurisprudenza, è bene rimarcare che dall’art. 6, c. 1, del D.Lgs. n. 159/2015 (decreto c.d. “riscossione”) ha abbastanza sensibilmente mutato i contenuti dell’art. 1. Legge n. 423/1995 .

Tale disposizione oggi prevede che contribuente (e sostituto d’imposta) possano richiedere la sospensione delle sanzioni anche prima ed indipendentemente dal versamento dell’imposta il cui pagamento è stato omesso, ritardato o è risultato insufficiente.

E’ cambiato anche il destinatario di tale istanza, stante il fatto che oggi non è più la Direzione regionale l’ente preposto alla concessione di tale beneficio, poiché esso è rimesso all’attenzione dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competente in base al domicilio fiscale del contribuente (o del sostituto), la cui istanza rimane comunque ferma quale condizione per l’avvio del procedimento.

Il legislatore ha cancellato dal testo normativo la condizione , almeno apparente, che i professionisti elencati , a cui imputare il fatto del mancato o ritardato versamento, fossero iscritti nei rispettivi albi. Inoltre, nel caso di assoluzione del professionista, il contribuente e il sostituto che abbiano fruito della sospensione non incorreranno nell’inasprimento della sanzione, che resterà comunque a loro carico, ma senza l’aumento del 50%.

L’ irrogazione della sanzione a carico del professionista, laddove ne ricorreranno le condizioni, avverrà tramite diretta iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 17, c. 3, del D.Lgs. n. 472/1997, ma è stato ampliato il periodo di sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza per l’esercizio della potestà sanzionatoria dell’Ufficio, che si estenderà fino al 31 dicembre dell’anno successivo alla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento che conclude il giudizio penale a carico del professionista o il giudizio civile promosso nei suoi confronti.

27 luglio 2016

Antonino Russo