IVA di gruppo ammissibile anche per le società di persone

La gestione dell’IVA di gruppo è ammissibile anche quando la società holding o controllante è una società di persone.

iva di ggruppo e società di personeAnalogamente a quanto accade nel settore delle imposte sui redditi per il consolidato fiscale, anche nel sistema IVA si è provveduto a garantire un riconoscimento «guidato» e condizionato della realtà del gruppo societario, mediante la procedura di liquidazione dell‘IVA di gruppo disciplinata dall’art. 73, ultimo comma, del D.P.R. n. 633/1972, e dal D.M. 13.12.1979.

Alla luce delle disposizioni normative di riferimento, tale regime fiscale – al contrario di quanto può affermarsi per la tassazione di gruppo ai fini delle imposte sui redditi – risulta applicabile anche nell’ipotesi in cui la società controllante sia costituita in forma di società di persone.

Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, qui ripreso e commentato, infatti, l’esclusione delle società di persone dall’ambito dei soggetti controllanti non può desumersi in base al fatto che l’art. 2 del D.M. 13.12.1979 limita l’applicazione del regime alle sole società controllate che siano società di capitali e nel contempo prevede che dette società controllate possano, a loro volta, assumere la veste di società controllanti di altre società.

Con riguardo alla posizione dei soggetti controllanti, non risulta infatti alcuna esplicita esclusione. D’altro canto, relativamente ai soggetti controllati, il decreto attuativo si pone in contrasto con la normativa primaria e – secondo la Corte – può conseguentemente essere disapplicato dal giudice.

 

IVA di gruppo – Norme e prassi

Ai fini dell’adozione della liquidazione IVA di gruppo, secondo quanto stabilisce l’art. 2 del decreto ministeriale attuativo,

«si considerano controllate soltanto le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata le cui azioni o quote sono possedute per una percentuale superiore al cinquanta per cento del loro capitale, fin dall’inizio dell’anno solare precedente, dall’ente o società controllante o da un’altra società controllata da questi ai sensi del presente articolo. La percentuale è calcolata senza tenere conto delle azioni prive del diritto di voto. Le società controllanti a loro volta controllate da un’altra società possono avvalersi della facoltà prevista dal presente decreto soltanto se la società che le controlla rinuncia ad avvalersene».

La liquidazione IVA di gruppo costituisce un particolare metodo di liquidazione dell’IVA che consente alle società controllanti e controllate appartenenti ad un gruppo di compensare, all’interno del medesimo gruppo, le situazioni creditorie in capo ad alcune società con quelle debitorie di altre. In virtù del presupposto soggettivo, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che alla procedura dovessero intendersi ammesse solamente le società di capitali1.

 

IVA di gruppo: presupposti e funzionamento del regime

Nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo le società partecipanti perdono la disponibilità dei propri crediti e debiti IVA periodici, i quali devono essere trasferiti al gruppo e non possono essere autonomamente compensati o chiesti a rimborso.

Con specifico riguardo al requisito del controllo, l’accesso e il mantenimento del regime IVA di gruppo presuppone il possesso ininterrotto delle quote o azioni delle società partecipate a decorrere dal 1° gennaio dell’anno solare precedente a quello in cui si intende partecipare alla procedura.

Il venir meno del requisito del controllo causa la fuoriuscita della società controllata dalla procedura di liquidazione IVA di gruppo a decorrere dallo stesso mese in cui è stato perduto il controllo di maggioranza.

 

IVA di gruppo: la sentenza del 2016

Come sopra accennato, la Corte di Cassazione è intervenuta con una recente pronuncia – sentenza Cass. SS.UU. 2.2.2016, n. 1915 – chiarendo che la liquidazione IVA di gruppo non incontra i limiti soggettivi cui finora si riteneva subordinata.

Nel contenzioso di merito era emersa proprio la questione della natura di società personale – e non di capitali -, ritenuta ostativa rispetto all’accesso al regime fiscale in rassegna.

In sintesi, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per cassazione censurando la decisione impugnata:

  • perché la CTR aveva omesso di considerare « … che l’applicazione della disciplina di cui alle norme evocate, e specificamente di quella di cui all’art. 2 del DM 13.12.1979 (…), presuppone necessariamente che tanto le società controllate quanto la società controllante siano società di capitali»;

  • perché la sentenza di merito « … supporta (va) il convincimento che l’applicazione del regime dell’“IVA di gruppo” non presuppone necessariamente che la società controllante sia società di capitali con il rilievo che le nozioni di “controllo” e di “gruppo”, prese in considerazione ai fini di detto regime, non coincide con quelle previste dall’art. 2395 c.c.».

 

Ricostruzione della problematica

Secondo quanto osservato dalla Corte, sia la normativa primaria che quella secondaria, sopra richiamate, relativamente al soggetto che esercita il controllo nel gruppo IVA, contengono la locuzione «ente o società controllante», «che non si qualifica per la necessaria esclusione delle società di persone dall’ambito di applicazione della sua previsione».

Al riguardo l’amministrazione finanziaria ha sempre recisamente negato che l’IVA di gruppo possa trovare applicazione quando la società controllante ha la veste di società di persone [oltre alla già citata risoluzione n. 171/E del 2009 – cfr. nota 1 – ciò è affermato nella circolare ministeriale 28.2.1986, n. 16/360711, nonché nelle risoluzioni 21.2.2005, n. 22/E, e 6.11.2002, n. 347/E.

Inoltre, sempre secondo la Corte, le istruzioni per la liquidazione dell’IVA periodica e per la dichiarazione annuale riportavano indicazioni contraddittorie.

 

Normativa europea e nazionale 

La disciplina in rassegna è ispirata a un criterio di tassazione di gruppo, che comporta il superamento degli schermi giuridici determinati dalle distinte soggettività, attraverso la costituzione del gruppo in unico soggetto passivo dell’imposta e il consolidamento degli imponibili.

La questione viene affrontata dai giudici di legittimità rivolgendosi alle fonti giuridiche comunitarie e nazionali: al riguardo viene sottolineato nella sentenza che la disciplina interna italiana è stata introdotta dall’art. 4, paragrafo 4, della sesta direttiva IVA [direttiva del Consiglio 17.5.1977, n. 77/388/CE], il cui contenuto [«… ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi»] è stato sostanzialmente riprodotto nell’art. 11, comma 1, della direttiva IVA «di rifusione» [direttiva del Consiglio 28.11.2006, n. 2006/112/CE].

La disciplina nazionale dell’IVA di gruppo poggia come sopra sottolineato sull’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, secondo la quale il Ministro delle finanze può prevedere con propri decreti che le dichiarazioni delle società controllate siano presentate dall’ente o società controllante all’ufficio del proprio domicilio fiscale, e che i versamenti siano fatti allo stesso ufficio.

L’ultimo periodo del comma 3 stabilisce, poi, che «si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente».

 

IVA di gruippo: il funzionamento del regime

Nell’analisi compiuta dalla Corte, la liquidazione IVA di gruppo viene inquadrata come un particolare e facoltativo meccanismo di assolvimento dell’IVA, che comporta:

  • la perdita da parte delle società controllate della disponibilità dei propri saldi IVA e il trasferimento dei relativi crediti e debiti d’imposta alla società controllante;

  • da parte di quest’ultima [capofila], la compensazione, con operazione algebrica, dei saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie.

In questo modo, le società partecipate rimangono l’unico soggetto legittimato al versamento ovvero ad effettuare la scelta annuale tra il rimborso o l’accredito nell’anno successivo dell’eccedenza detraibile del gruppo.

Tale strumento garantisce il vantaggio,

« … di natura eminentemente finanziaria (e, negli effetti, non dissimile da quello che assicura la cd. “procedura di rimborso accelerato” di cui all’art. 38 bis, comma 2, D.P.R. n. 600/1973: cfr. Cass. 4843/2015, 28692/2005), consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti IVA vantati da una (o da alcune) delle società del gruppo, mediante compensazione con l’eventuale IVA a debito di altra (o altre) società del gruppo medesimo (v. Cass. 12768/2006); di tal che, mediante liquidazione unitaria, si evita che, all’interno dello stesso gruppo, le società “a debito” debbano immediatamente versare l’imposta e le società “a credito”, siano, invece, costrette ad attendere i tempi, non celeri, del rimborso ordinario».

Rispetto dunque a un istituto in apparenza analogo come il consolidato fiscale, che è volto all’unificazione delle basi imponibili del gruppo per determinare unitariamente l’imposta dovuta, la procedura in esame si caratterizza per essere orientata a una compensazione intersoggettiva tra imposta a debito e a credito.

La normativa secondaria

Il D.M. 13.12.1979 [modificato dai successivi decreti 21.10.1988 e 18.12.1989], nell’attuare la normativa richiamata,

« … circoscrive testualmente il novero delle società controllate ammesse alla fruizione della liquidazione “di gruppo” alle sole “società per azioni, in accomandita per azione e a responsabilità limitata” e, dunque, alle sole società di capitali (v. l’art. 2, comma 1); e puntualizza, poi (v. l’art. 2, comma 2) che “le società controllanti a loro volta controllate da un’altra società possono avvalersi della facoltà prevista dal presente decreto soltanto se la società che le controlla rinuncia ad avvalersene”».

Secondo quanto disposto dall’art. 6 del decreto, le società controllate rispondono in solido con l’ente o società controllante delle somme o imposte che risultano dalle proprie liquidazioni periodiche o dalle proprie dichiarazioni e che non sono state versate dall’ente o società controllante.

Inoltre, il D.M. attuativo prescrive che le eccedenze di crediti d’imposta, risultanti dalle dichiarazioni di alcune società del gruppo, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società del gruppo medesimo devono essere garantite secondo «le disposizioni dell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972», cioè mediante cauzione o fideiussione, prestata dalla società il cui credito sia stato estinto, la quale, in assenza di garanzia, deve versare l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate nel termine di presentazione della dichiarazione.

 

La non corrispondenza con il sistema comunitario

Per quanto osservato dalla Corte, il regime in parola si risolve in una procedura di mera liquidazione del tributo, consistendo nella « … consolidazione dei debiti e dei crediti d’imposta, caratterizzato dal mantenimento della soggettività passiva delle singole società partecipanti al gruppo e dalla limitazione degli effetti semplificativi al trasferimento dei saldi d’imposta al fine della loro compensazione ad opera della società capogruppo … ».

Questo sistema [value added tax group] – non corrisponde a quello delineato nel sistema comunitario, che, nella prospettiva di consolidazione degli imponibili, comporta, invece, un’unificazione a livello intersoggettivo [value added tax consolidation].

Le norme comunitarie di riferimento – art. 4, paragrafo 4, della sesta direttiva IVA [« … ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo … »] e art. 11, comma 1, della direttiva IVA del 2006 [« … ogni Stato membro può considerare come unico soggetto passivo … »] – non sono disposizioni di diretta applicazione nell’ordinamento interno.

La discrepanza non comporta quindi, di per sé, profili di illegittimità della disciplina nazionale per incompatibilità con quella comunitaria.

Per tali ragioni, come puntualizzato dalla Corte di Giustizia comunitaria [sentenza 22.5.2008, in causa C-162/07], nonché da Cass. 6105/2009, lo Stato italiano non è inserito nell’elenco comunitario dei Paesi che hanno applicato la direttiva.

«Se ne deve, quindi, inferire che (…) la richiamata normativa europea, non potendo essere utilmente invocata al fine dell’applicazione del regime della liquidazione “di gruppo” in situazioni non corrispondenti alla previsione della normativa interna, non è di alcun ausilio ai fini della risoluzione del questione rimessa».

 

Applicazione esclusiva delle disposizioni interne

Per quanto sopra osservato, la questione è stata decisa dalla Corte facendo esclusivo ricorso alle disposizioni nazionali.

Secondo il ragionamento svolto dalla Cassazione, la normativa primaria di riferimento – art. 73, comma 3, del decreto IVA – adopera locuzioni come «società controllante» e «società controllate», che non escludono affatto dal novero dei soggetti ammessi alla fruizione del regime, con riguardo sia alla categoria dei soggetti controllati sia a quella dei soggetti controllanti, le società di persone [le quali rientrano a pieno titolo nella nozione legislativa di «società» e di «ente»].

La normativa secondaria invece il campo delle società controllate viene ristretto alle sole società di capitali [s.p.a., s.a.p.a., s.r.l.].

Secondo la circolare ministeriale 28.2.1986, n. 16/360711, l’art. 2 del D.M. 13.12.1979, questa limitazione soggettiva, unita alla previsione secondo la quale le società controllate possono, a loro volta, assumere la veste di società controllanti ulteriori società, lascerebbe intendere che entrambe [controllante e controllate] debbono assumere la veste di società di capitali.

 

La normativa secondaria di attuazione della disposizione in precedenza richiamata

Al riguardo la Cassazione ribadisce che le circolari amministrative costituiscono atti interni dell’amministrazione e non già fonti del diritto, queste ultime essendo rappresentate – con riguardo al caso esaminato – dapprima dal D.P.R. n. 633/1972 e quindi (in posizione gerarchicamente subordinata) dal decreto attuativo.

Elemento testuale

Sottolinea la Corte che, non diversamente rispetto alla norma primaria, anche la disposizione secondaria

« … non contempla, ai fini dell’applicazione del regime dell’IVA di gruppo, alcuna testuale diretta esclusione delle società di persone dal novero dei soggetti controllanti, giacché egualmente qualificano la relativa categoria con la non discriminante locuzione “ente o società controllante”».

Rispetto alla posizione assunta dall’amministrazione finanziaria [la Corte richiama la circolare 28.2.1986, n. 16/360711], si osserva nella sentenza che l’esclusione delle società di persone dall’ambito dei soggetti controllanti non può desumersi dal fatto che il regime richiede che le controllate abbiano natura giuridica di società di capitali.

In tale prospettiva,

« … la circostanza che le società controllate (…) possono, ai sensi del secondo comma della disposizione, assumere, a loro volta, la veste di società controllanti altre società non conduce alla conseguenza che, anche le società controllanti debbano inevitabilmente essere società di capitali, giacché, tra premessa e conseguenza che se ne trae, manca qualsiasi rapporto di interdipendenza logica».

In base quindi al testuale disposto normativo, secondo la Corte può legittimamente accedere alla liquidazione IVA di gruppo anche una società controllante di tipo personale [s.a.s., s.r.l., s.n.c.].

Per quanto invece riguarda la posizione delle società controllate, ha osservato la Corte che la tesi della non applicabilità del regime di liquidazione di gruppo poggia su una lettura sistematico-estensiva della previsione dell’art. 2, comma 1, del decreto attuativo.

A tale riguardo è stato affermato nella sentenza che la normativa secondaria

« … rivela profili di contraddizione con la normativa primaria, suscettibili di risoluzione, in via di disapplicazione, in base al richiamato (…) criterio della gerarchia delle fonti, alla stregua del quale, come si è visto, la norma secondaria non può mai prevalere sul dato legislativo e sull’interpretazione che se ne ricava; con la conseguenza che il sillogismo su cui si fonda la tesi qui criticata, ancor prima che per il motivo indicato al precedente n. 2, cade per l’inconsistenza della premessa principale».

In sostanza: la Corte di Cassazione adombra la parziale disapplicazione del decreto ministeriale che, circoscrivendo l’ambito soggettivo di legittimazione per adottare il regime IVA di gruppo, esclude le società controllate non aventi natura di società di capitali.

Elemento finalistico

Secondo quanto affermato nella sentenza in commento, l’esclusione delle società personali non appare giustificabile neppure in funzione di argomenti di tipo finalistico.

«In tale prospettiva, a sostegno della tesi secondo cui la liquidazione dell’IVA di gruppo è limitata alle società di capitali, viene solitamente dedotto che solo siffatta impostazione è coerente con la disciplina del consolidato fiscale nazionale ed, inoltre, che la limitazione, essendo la contabilità delle società di capitali più rigorosa rispetto a quella delle società di persone, varrebbe ad ostacolare fenomeni di frode».

Tali rilievi sono ritenuti non decisivi, in ragione anche della difformità dell’istituto della tassazione di gruppo nel settore dell’imposizione reddituale [consolidato fiscale] rispetto alla liquidazione IVA di gruppo.

Il consolidato fiscale infatti, oltre a riguardare

« … un differente prelievo tributario e ad essere diversamente strutturato, incide su soggetti, consolidanti e consolidati, specificamente individuati a termini di legge in base a criteri affatto diversi e presuppone, inoltre, una del tutto difforme nozione di “controllo” (…)».

«Deve, poi, osservarsi che – mentre gli adempimenti di contabilità a fini IVA non presentano differenze in funzione della natura del soggetto d’imposta l’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 ha corredato il regime dell’IVA di gruppo di presidi atti a contrastarne il possibile uso a finalità elusiva o evasiva (cfr. Cass. 12786/2006), e, oltre che attraverso l’espressa enunciazione della persistenza di obblighi e responsabilità in capo alla società il cui debito d’imposta risulti estinto nell’ambito della compensazione di gruppo, ha ritenuto di doverlo fare (v. l’ultima parte del comma terzo dell’art. 73 D.P.R. n. 633/1972, nelle versioni via via succedutesi) con precipuo riferimento all’ambito temporale d’applicazione del regime piuttosto che in funzione delle pure caratteristiche soggettive del contribuente («si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente») .

E va, peraltro, considerato che (con ciò confermando l’assimilazione, nelle finalità, dell’IVA di gruppo alla «procedura di rimborso anticipato» …) l’art. 6 DM 13.12.1979 n. 11065, questa volta nei limiti della demandata definizione delle modalità operative del regime, impone, a carico della società il cui credito sia stato estinto, di adottare – per le eccedenze di credito delle società controllate ovvero della società controllante compensate in tutto o in parte con le somme che società controllate ovvero società controllante avrebbero dovuto versare – di quella medesima garanzia che l’art. 38-bis DPR 633/72 prescrive per l’ipotesi di rimborso accelerato del credito IVA».

Ciò rilevato, la Cassazione ha fatto anche notare che non sarebbe giustificabile (alla luce degli interessi pubblici da tutelare) una discriminazione tra soggetti che operano egualmente nel medesimo mercato.

La questione è stata quindi risolta affermando che il regime della liquidazione IVA di gruppo trova applicazione anche qualora la società controllante abbia forma giuridica personale e non di capitali. Per gli stessi motivi che sono stati esposti dalla Corte, si dovrebbe puntualizzare che l’accesso al regime vale anche se la società personale è presente come controllata, previo esercizio del potere di disapplicazione (da parte dei giudici di merito) per contrasto della normativa secondaria con la disposizione primaria.

Si osserva al riguardo che il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi poggia sulla previsione normativa contenuta nell’art 5 della L. 20.3.1865, n 2248, allegato E. In tale funzione, il giudice ordinario, pur non potendo procedere all’invalidazione e alla caducazione dell’atto amministrativo ove ne riscontri l’illegittimità, è abilitato a disapplicarlo, e cioè a decidere la controversia sottoposta alla sua cognizione come se l’atto stesso non esistesse. Il giudice quindi, una volta accertata l’illegittimità del provvedimento, atto concreto o regolamento, dovrà ricostruire il rapporto prescindendo dagli effetti da esso prodotti e, quindi, giudicare come se questi non sussistessero2.

3 maggio 2016

Fabio Carrirolo

1 Cfr. sul punto la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 3.7.2009, n. 171/E.

2 Cfr. C. Buonauro, «Il sindacato incidentale del giudice tributario sugli atti amministrativi presupposti», in www.gazzettaforense.it [n. 14/2014 – pp. 166 e ss.].