la differenza tra il valore della merce realmente verificata in magazzino e quello risultante dalle scritture contabili espone il contribuente a controllo fiscale basato su presunzioni: proponiamo un’analisi analitica delle presunzioni a favore del fisco e le modalità di difesa del soggetto controllato
Il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 ha provveduto alla sostituzione delle regole contenute nel citato articolo 53 del D.P.R. n. 633 del 1972. In particolare il menzionato D.P.R. n. 441 del 1997 si compone di cinque articoli: gli articoli 11 e 2 disciplinano la presunzione di cessione; l’art. 3 si occupa della presunzione d’acquisto; l’art. 4 regola l’operatività delle presunzioni; l’art. 5 stabilisce le norme di coordinamento e la soppressione di disposizioni superate con la nuova disciplina.
In base all’art. 1 del D.P.R. n. 441/1997, si presumono2 ceduti ai fini Iva3 i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. I beni acquisiti devono trovarsi presso uno dei luoghi di svolgimento delle operazioni aziendali; altrimenti, salvo prova contraria, si presume che siano stati ceduti. La presunzione legale di avvenuta cessione si realizza quando i beni non risultano più presso uno dei luoghi aziendali (o degli intermediari con rappresentanza). La presunzione opera solo quando i fatti indizianti siano acclarati nella loro esistenza.
La presunzione di cessione scaturisce, infatti, dal raffronto4 tra: l’entità dei beni acquistati, importati o prodotti (al netto dei beni utilizzati per la produzione perduti o distrutti, nonchè, dei beni consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato…) e l’entità dei beni effettivamente giacenti nei luoghi (sussiste la non operativita` della presunzione legale di cessione per quei beni acquistati,importati o prodotti che si trovano nei luoghi ove il contribuente svolge le proprie operazioni) ove il contribuente svolge le proprie operazioni, comprese le dipendenze… La differenza tra le due entità evidenzia la quantità dei beni che, in via presuntiva, sono da considerare ceduti con la conseguenza che ove le effettive consistenze finali risultino inferiori a quelle contabilizzate, i beni costituenti la differenza si considerano ceduti senza il pagamento dell’imposta In merito all’operatività delle presunzioni , di cui all’art. 4 del D.P.R. n. 441/1997, per l’applicazione delle presunzioni è necessario che vi sia un controllo (fiscale) fisico presso i luoghi del contribuente. In queste circostanze, si possono verificare conseguenze diverse, in termini di accertamento, a seconda che le irregolarità contestate derivino dalla rilevazione fisica delle giacenze o dal mero riscontro dei dati contabili. In particolare:
– le differenze quantitative5 emergenti dalla rilevazione fisica delle quantità fisiche in giacenza: devono essere riscontrate al momento dell’inizio di accessi, ispezioni e verifiche; in questo caso, le presunzioni avranno efficacia solo in relazione al periodo d’imposta coincidente con l’anno solare in corso a detto momento;
– le differenze quantitative emergenti da discrepanze contabili6: possono essere contestate durante il controllo, ma non necessariamente al momento del suo inizio; in questo caso, le presunzioni potranno avere validità per tutti i periodi d’imposta oggetto del controllo stesso, che risultino irregolari.
PROVA LIBERATORIA OVVERO ADEMPIMENTI A CARICO DEL CONTRIBUENTE
La cessione dei beni non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività è presunta per disposto di legge, salvo che il contribuente, cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all’assenza, in sede di verifica, del materiale che pacificamente risultava in carico all’azienda e che, quindi, avrebbe dovuto essere rinvenuto nei relativi locali (Cass. civ. Sez. V, 16-12-2011, n. 27195). La presunzione legale di cessione si supera solo se si prova che i beni di cui alla discrepanza sono stati impiegati nella produzione7, perduti o distrutti, ovvero consegnati a terzi a titolo diverso, altrimenti gravando sul contribuente l’onere di offrire obiettivi riscontri di una falsità ideologica della contabilità di magazzino, come tale improduttiva di maggiori ricavi (Cass. civ. Sez. V, 10-12-2014, n. 25983).
Tale presunzione8 di cessione dei beni non opera se è dimostrato che i beni stessi:
a) sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà.
La consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo della proprietà risulta in via alternativa:
a) dal libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile o da apposito registro tenuto in conformità all’articolo 39 del D.P.R. n. 633 del 1972 o da atto registrato presso l’ufficio del registro, dai quali risultino la natura, qualità, quantità dei beni medesimi e la causale del trasferimento;
b) dal documento di trasporto previsto dall’articolo 1, c. 3, del D.P.R. n. 472/1996, integrato con la relativa causale, o con altro valido documento di trasferimento;
c) da apposita annotazione effettuata, al momento del passaggio dei beni, in uno dei registri previsti dagli articoli 23, 24 e 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, contenente, oltre alla natura, qualità e quantità dei beni, i dati necessari per identificare il soggetto destinatario dei beni medesimi e la causale del trasferimento
PRESUNZIONE
Per effetto dell’art. 1 del D.P.R. n. 441/1997, si presumono ceduti i beni (in alternativa): acquistati; importati; prodotti dall’impresa stessa; che non si trovano più nei luoghi:
a) in cui il contribuente svolge le proprie operazioni;
b) né in quelli dei suoi rappresentanti.
La presunzione in genere, trova applicazione sia per i beni di magazzino che per quelli strumentali. Nel concetto di luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni rientrano, ad esempio (l’elenco non è esaustivo, ma solo esemplificativo): sedi secondarie; filiali; succursali; dipendenze; stabilimenti; negozi; depositi; mezzi di trasporto (che siano nella disponibilità del medesimo contribuente).
EFFETTIVA DISPONIBILITA’
La disponibilità dei luoghi sopra indicati deve risultare da uno dei seguenti mezzi di prova (quest’elenco è da considerare tassativo): iscrizione al Registro delle imprese, alla Camera di commercio o da altro pubblico registro; ovvero, in alternativa: dichiarazione all’ufficio iva, di inizio o variazione dell’attività (articolo 35, D.P.R. n. 633/1972) se questa è effettuata prima del passaggio dei beni; altra idonea documentazione. Tale documento (esempio: contratto di affitto) deve essere stato annotato in uno dei registri in uso ai fini dell’iva, regolarmente tenuto ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R. n. 633/1972.
PRASSI
La circolare del Ministero delle finanze 23 luglio 1998, n. 193/E ha chiarito alcuni aspetti interessanti.
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La documentazione probatoria della loro disponibilità possa essere attestata, a seconda delle circostanze: da annotazione presso il PRA, da contratto di leasing, noleggio e simili (adeguatamente indicati nelle scritture contabili).
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Il rapporto di rappresentanza “con deposito” deve risultare, alternativamente, da: atto pubblico; scrittura privata registrata; lettera annotata, in data anteriore a quella in cui è avvenuto il passaggio dei beni, in apposito registro presso l’ufficio Iva competente in relazione al domicilio fiscale del rappresentante o del rappresentato (consentita soltanto se vi è passaggio dei beni); comunicazione effettuata all’ufficio IVA, con le modalità previste dal già citato articolo 35, in data anteriore al passaggio dei beni.
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Le presunzioni di cessione non hanno ragione di essere quando la mancanza dei beni presso i luoghi aziendali risulti regolarmente giustificata da un’apposita fattura; la regolare cessione con fatturazione emessa nei confronti di un altro imprenditore permette senz’altro di vincere le presunzioni di cessione.
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La legge non prescrive specifici adempimenti per fornire la dimostrazione dell’avvenuto impiego dei beni (i.e. materie prime) nella produzione.
DIMOSTRAZIONE DEL CONTRIBUENTE
Le citate disposizioni operano come presunzioni nel senso che, in deroga al principio fissato dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, deve solo provare il fatto indicato dalla norma, vale a dire gli ammanchi di beni a seguito di riscontro fisico, ovvero le “differenze quantitative” tra consistenza delle rimanenze registrate e scritture obbligatorie di magazzino o documentazione obbligatoria.
Dal canto suo il contribuente, per superare dette presunzioni, dovrà provare, secondo le modalità stabilite dagli artt. 2 e 3 del D.P.R. n. 441/1997, che la giacenza o la mancata giacenza dipende dal verificarsi di fatti diversi dall’acquisto e/o dalla cessione. La presunzione di cessione in evasione d’imposta viene vinta quando il contribuente dimostra che i beni acquisiti sono stati: impiegati per la normale produzione; consegnati a terzi in base ad un qualsiasi titolo non traslativo della proprietà (i.e. in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, commissione); ceduti gratuitamente a Onlus, o altri enti, per beneficenza…; perduti; trasformati in beni di minor valore; distrutti; venduti in blocco. Per ciascuna delle suddette operazioni, deve essere fornita una particolare prova che attesti l’effettiva destinazione dei beni nel senso indicato dal contribuente9.
IMPOSIZIONE DIRETTA
Le presunzioni in argomento, specificamente preordinate all’esercizio dell’attività di controllo e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto, e più precisamente quelle di cessione, non possono non riflettersi, quanto ai loro effetti, anche nel campo dell’imposizione diretta, quantomeno nella forma di “presunzioni semplici“. Tali presunzioni, peraltro, non operando in via diretta ed immediata in materia di imposte dirette, non sono da sole sufficienti a giustificare l’accertamento, ma necessitano di ulteriori riscontri, adeguati alla disciplina delle singole imposte (Cass. 19-07-2006 n. 16483 sez. T).
Le presunzioni dettate per l’Iva sono estendibili all’accertamento delle imposte sui redditi: deve considerarsi, infatti, che, in virtù del principio dell’unitarietà dell’ordinamento, le disposizioni in oggetto risultano applicabili anche in tema di imposte dirette. E’ vero che tali presunzioni, non operando in via diretta e immediata in materia di imposte dirette, possono non essere sufficienti da sole a giustificare l’accertamento, sebbene il convincimento del giudice possa fondarsi anche su un solo elemento presuntivo, ma occorre pur sempre affermare la necessità che il contribuente il quale, dinanzi a palesi differenze riscontrate dai verbalizzanti, alleghi l’impiego produttivo di beni, debba provare un tale fatto attraverso obiettivi riscontri suscettibili di libera valutazione da parte del giudice di merito, con apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (Cass. civ. Sez. V, 27-05-2015, n. 10915). Questa impostazione porta ad escludere l’automatica trasposizione dell’accertamento operato ai fini dell’applicazione dell’IVA a quello operato ai fini dell’applicazione delle imposte dirette: se è vero, infatti, su un piano assolutamente generale, che la base imponibile dell’IVA è costituita da elementi che rilevano anche ai fini della imposizione sui redditi (ricavi o corrispettivi che derivano dall’esercizio di imprese, arti o professioni), è altrettanto vero, ad esempio, che, in sede giurisdizionale, la prova del fondamento della pretesa tributaria, gravante sull’Amministrazione finanziaria che la fa valere in giudizio, deve essere adeguata alla disciplina della singola imposta di cui si chiede l’applicazione.
OPERATIVITA’ DELLA PRESUNZIONE
Gli effetti della presunzione di cessione conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano esclusivamente al momento dell’inizio degli accessi, controlli e verifiche. La norma, quindi, presuppone implicitamente una verifica fiscale da parte degli organi accertatori al fine di rilevare, al momento dell’inizio delle operazioni di controllo, i beni esistenti nei luoghi di svolgimento delle operazioni del contribuente. Pertanto la presunzione in argomento opera limitatamente al periodo d’imposta coincidente con l’anno solare nel corso del quale è effettuata la verifica
In tema di IVA, gli effetti della presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, come chiarito dall’art. 4 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, con riferimento al momento di inizio delle operazioni di verifica ed al periodo d’imposta oggetto di controllo. Ne deriva che non è consentito al contribuente, al fine di superare la presunzione, alterare il presupposto della norma mediante una “spalmatura” delle riconosciute cessioni in frode all’imposta, sugli anni anteriori a quello dell’accertamento, e che si rendono irrilevanti le vicende tributarie relative a quegli anni (Cass. 19-03-2002 n.3949 sez. T).
Allegato
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2016, n. 7231
Svolgimento del processo
A seguito di una verifica generale nella sede della società “C.M.A.”, l’Agenzia delle Entrate ha riscontrato una differenza tra la merce formalmente prodotta o acquistata e le rimanenze di magazzino. L’Agenzia ha dunque presunto un maggior reddito, utilizzando a presupposto dell’accertamento proprio la differenza tra la merce contabilizzata e quella risultante dai relativi registri ancora in magazzino. Inoltre ha ritenuto che la società avesse imputato come costi deducibili due fatture relative a prestazioni di opera non sufficientemente documentate.
Ha proceduto pertanto a rideterminare le rimanenze di magazzino, presumendo maggiori ricavi per circa 1.218314,96 euro, ed ha recuperato a tassazione i costi ritenuti non documentati per 44.284,00 euro.
La società ha fatto inizialmente ricorso alla Commissione Provinciale, che ha rigettato la domanda. Fatto appello, la Commissione regionale ha invece accolto il ricorso, ritenendo che l’onere di dimostrare il maggior ricavo competeva all’Ufficio, che invece si sarebbe limitato a presumere il maggior reddito dal mero dato della rimanenza di magazzino. Per quanto, invece, relativamente ai costi portati in deduzione, secondo la Commissione di secondo grado, essi dovevano ritenersi in senso lato attinenti all’attività di impresa.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia deducendo violazione di legge, ed in particolare dell’art. 1 del DPR 441 del 1997, che consente di presumere dai dati di magazzino un reddito diverso da quello dichiarato, e violazione delle norme che impongono una stretta attinenza dei costi dedotti all’attività di impresa.
Resiste con controricorso la società, che ha presentato anche memoria integrativa.
Motivi della decisione
1. – Con il primo ed il secondo motivo l’Agenzia fa valere la violazione dell’art. 1 DPR 441 del 1997, e difetto di motivazione.
La Commissione Tributaria ha ritenuto che l’Agenzia ha fatto cattivo uso delle presunzioni, ricavando dal dato di magazzino (mancanza di capi, pur contabilizzati) la conclusione che quei capi mancanti erano stati venduti, e dunque avevano prodotto reddito, non dichiarato.
Secondo il giudice di appello si tratta di una induzione indimostrata, nel senso che l’Agenzia non avrebbe adeguatamente giustificato come da quel dato noto (mancanza di capi in magazzino) sia risalita al fatto ignoto (che i capi sono stati venduti).
L’Agenzia ricorrente denuncia violazione di legge, in quanto la presunzione è prevista espressamente da un norma, e dunque non v’era bisogno di dimostrare la fondatezza dell’inferenza.
In particolare, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 1 DPR n. 441 del 1997, nella parte in cui consente di presumere, al contrario di quanto affermato dal giudice di appello, che quanto non risultante come giacente nella sede dell’impresa sia stato in realtà venduto.
Secondo la ricorrente, erra la decisione di secondo grado nel ritenere che spettasse all’Agenzia l’onere di dimostrare che lo scarto tra quanto formalmente prodotto o acquistato e le effettive rimanenze di magazzino significasse un reddito maggiore di quello dichiarato, per via di vendite o cessioni onerose maggiori di quelle dichiarate.
Il motivo è fondato.
Quanto deciso dal giudice impugnato viola il disposto dell’art. 1 DPR n. 441 del 1997 il quale prevede che si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni.
Davanti dunque al fatto che risultavano formalmente dal bilancio 95687 capi di abbigliamento, mentre dalle scritture di magazzino i capi erano 68497, e dunque davanti al dato che in magazzino mancavano capi risultanti invece in bilancio, l’Agenzia ha legittimamente presunto che i capi non contabilizzati siano stati ceduti, e che la loro cessione ha prodotto un reddito.
L’art. 1 DPR n. 441 del 1997 contiene infatti una presunzione che si ricava non solo dal dato letterale (si presumono ceduti), ma altresì dalla circostanza che al successivo comma 2 indica i fatti da addurre per superare quanto stabilito al primo comma.
Di fronte al ricorso alla presunzione di cessione dei beni, e dunque del conseguente reddito, era onere del contribuente allegare uno dei fatti indicati nel secondo comma. Così che l’onere della prova non era, se non nei limiti del ricorso alla presunzione, dell’Agenzia, ma era, una volta fatta valere correttamente la presunzione, del contribuente, che evidentemente, per quanto risulta agli atti, non l’ha assolta.
La sentenza va pertanto cassata con rinvio affinché il giudizio di merito si attenga al principio per cui, nel l’accertamento del venduto, opera la presunzione di cui all’art. 1 della legge n. 441 del 1997, mentre è a carico del contribuente smentirla deducendo una delle circostanze di cui al secondo comma del medesimo articolo.
Il secondo motivo, che denuncia difetto di motivazione su tale punto, può dirsi assorbito dal primo.
2. – Con il terzo motivo l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 75 (ora 109) del DPR n. 917/1986.
l’Ufficio infatti non ha consentito il recupero in deduzione, come costi d’impresa, di alcune fatture, relative a rapporti non sufficientemente documentati.
In particolare una fattura risultava emessa da un professionista (commercialista), con la dicitura “prestazione di consulenza commerciale effettuata”, mentre le altre fatture risultavano emesse da una società terza per prestazioni di intermediazione nell’acquisto di merce da imprese rumene.
In entrambi i casi, non solo le fatture contenevano diciture generiche, ossia generici riferimenti al rapporto retribuito, ma non è stata trovata sufficiente documentazione di quest’ultimo.
La Commissione Regionale, pur prendendo atto di tale insufficienza documentale, ha ritenuto, però, che i costi relativi potessero essere dedotti, in quanto comunque correlati “in senso ampio” all’attività di impresa.
L’Agenzia denuncia il fatto che la Commissione ha ritenuto legittima la deduzione del costo, pur in presenza di una documentazione del tutto insufficiente a dimostrarne l’inerenza, e lo ha fatto ritenendo che sia sufficiente una inerenza “in senso ampio”.
Il motivo è fondato.
Entrambe le fatture contengono una generica menzione della prestazione effettuata a favore della società e da quest’ultima retribuita, prestazione della quale la società non ha esibito documentazione di riferimento.
E’ regola invero che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’inerenza del costo e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili.
A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (da ultimo Cass. n. 21184 del 2014).
Non può ritenersi assolto questo onere quando non solo la descrizione della prestazione in fattura è generica e laconica, ma anche quando sia insufficiente o mancante la documentazione del contratto che ha dato luogo a quella prestazione, così che il Fisco non può verificare l’inerenza effettiva della spesa sostenuta all’attività di impresa.
Anche su questo punto dunque la decisione va cassata affinché il giudice del rinvio tenga conto del principio di diritto per cui la spesa portata in deduzione va documentata in modo che se ne possa ricavare l’inerenza e la coerenza economica della stessa, che non può intendersi come correlata “in senso ampio” all’attività di impresa.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria regionale di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
1 Si può ricavare dal dato di magazzino (mancanza di capi, pur contabilizzati) la conclusione che quei capi mancanti erano stati venduti, e dunque avevano prodotto reddito, non dichiarato. L’art. 1 del DPR 441 del 1997, consente di presumere dai dati di magazzino un reddito diverso da quello dichiarato. Nell’accertamento del venduto, opera la presunzione di cui all’art. 1 della legge n. 441 del 1997, mentre è a carico del contribuente smentirla deducendo una delle circostanze di cui al secondo comma del medesimo articolo (Corte di Cassazione,Sentenza 13 aprile 2016, n. 7231) Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo. La norma si riferisce alle c.d. “differenze inventariali” ovvero a quelle differenze che si possono registrare nelle giacenze di magazzino tra le quantità dei beni iscritti nell’inventario annuale e quelle che si possono verificare in corso d’anno per effetto di cali fisici, errato utilizzo dei codici identificativi all’atto del carico e/o dello scarico, ammanchi, distruzioni e fatti analoghi, che l’imprenditore è autorizzato a far constare. Ancorché, dunque, le variazioni nella consistenza del magazzino in questo caso non siano da porsi in relazione a finalità di evasione dell’imposta, in quanto esse, come comunemente si afferma, si connettono ad un fenomeno del tutto fisiologico nell’andamento dell’impresa, nondimeno il legislatore non per questo ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione la presunzione di cessione più generalmente stabilita per i beni che non si rinvengono presso i luoghi in cui l’impresa svolga la propria attività o quelli ad essi assimilati, sicché in applicazione della norma anche per le differenze inventariali trovano applicazione le presunzioni anzidette. Si tratta, tuttavia, di presunzioni legali “miste”, che consentono la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova tassativamente prefigurati dalla norma(Cass. civ. Sez. V, 27-05-2015, n. 10915) In tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, in base all’art. 4, c. 2, del d.P.R. n. 441 del 1997, le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui all’art. 14, c. 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solamente con le prove tassativamente indicate dagli articoli 1 e 2 del citato DPR (Cass. civ. Sez. V, 25-07-2012, n. 13120) Ai fini dell’operatività della presunzione legale (relativa) di cessione, occorre che la differenza quantitativa, in negativo, tra beni esistenti nei luoghi sopra indicati e quelli acquistati, importati o prodotti risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto (“differenza inventariale”) tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino (Cass. civ. Sez. V, 13-06-2012, n. 9628).
2 L‘art. 1 del DPR 441 del 1997, consente di presumere dai dati di magazzino un reddito diverso da quello dichiarato.
3 L’applicazione della presunzione di cessione comporta Il recupero a tassazione del tributo dovuto della presunta cessione, nelle forme della rettifica o dell’accertamento induttivo ai sensi rispettivamente degli articoli 54, secondo comma e 55 del citato D.P.R. n. 633 del 1972 a seconda che ricorrano i presupposti dell’uno o dell’altro tipo di accertamento. In tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni, risultanti in carico all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione, pone una presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione, e che legittima il ricorso, da parte dell’ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art. 55, c .2, n. 2, del citato d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. civ. Sez. V, 30-07-2014, n. 17298).
4 Tale raffronto, perché la presunzione di cessione sia applicabile, deve essere eseguito sui beni e non sul mero valore ad essi attribuito al momento dell’acquisto e/o della vendita (Cass. civ. Sez. V, 09-03-2011, n. 5572).
5 Le presunzioni in esame si rendono operanti per quelle merci che “fisicamente” si trovano o non si trovano al momento della verifica e non può estendersi ad un momento precedente in cui l’uscita o l’entrata delle merci, a titolo non traslativo di proprietà, sia stato rispettivamente comprovato dal corrispondente rientro o riconsegna delle merci stesse. Ne consegue, pertanto, che qualora risulti comprovata la riconsegna delle merci anteriormente alla verifica fiscale, sono da considerarsi insussistenti i rilievi concernenti le presunzioni stesse .
6La Cassazione (sent. n. 10927 del 27 maggio 2015), ha ribadito che le “differenze inventariali” non legittimano, di per sé, l’operatività delle presunzioni di cessione e di acquisto, siccome basate sul riscontro “fisico” dei beni giacenti; tuttavia, tali differenze rappresentano un elemento per l’accertamento fondato su presunzioni semplici, consentendo al contribuente di fornire la prova contraria senza le limitazioni previste dal D.P.R. n. 441/1997. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 31 del 2 ottobre 2006 ha evidenziato che, in sede di verifica fiscale, è necessaria un’attenta valutazione del richiamo dell’art. 4, c. 2, del D.P.R. n. 441/1997, in ordine alla presunzione di acquisti non documentati (differenze positive) o vendite non fatturate (differenze negative) allorquando ci si trovi di fronte a “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente nella contabilità obbligatoria di magazzino. In tali casi, il verificatore è sempre chiamato ad una analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata. Conseguentemente, se nel corso del controllo dovessero riscontrarsi le rettifiche contabili sopra descritte, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente.
7 La presunzione di cessione dei beni acquistati, ma non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita l’attività, può essere vinta con qualsiasi mezzo di prova, anche con semplici presunzioni, nelle ipotesi di utilizzazione dei beni per la produzione, perdita o distruzione dei medesimi. In applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto che potesse essere provato per presunzioni l’impiego di un consistente quantitativo di deodoranti, acquistati e non reperiti, nello smaltimento di rifiuti da parte del contribuente che svolgeva tale attività (Cassazione Sez. V Sentenza n. 5196 del 04/03/2011).
8 Trattasi di presunzione iuris tantum di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività. Tale presunzione è superabile se l’interessato dimostri, attraverso documentazione che i beni sono invece stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà. Non sono, viceversa, idonei a superare la presunzione, estratti notarili e documenti provenienti esclusivamente dalle ditte consegnatarie, ma che non hanno riscontro nei documenti del contribuente cedente (Cass. 27-06-2008 n. 17636 sez. T)..
9 L’art. 2, c. 3, del D.P.R. n. 441/1997 prevede che la perdita di beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del contribuente è provata da idonea documentazione fornita da un organo della Pubblica amministrazione (ad esempio, provvedimento di sequestro amministrativo/giudiziario o anche un verbale di accertamento della distruzione dei beni redatto da parte dei Vigili del fuoco) o, in mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (da rendersi entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza) dalle quali risulti il valore complessivo dei beni mancanti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato. In particolare, al fine di garantire maggiore trasparenza circa le modalità di determinazione delle differenze inventariali, alla dichiarazione sostitutiva dovrà essere tempestivamente associata una relazione che specifichi il calcolo delle differenze medesime e la loro distribuzione distinta per tipologia fenomenologica (i.e. furto, cali, deperimento, distruzione accidentale, mancata rettifica delle distinte base delle materie prime nel corso della fase di produzione di un bene, errore nella conta fisica delle materie prime di piccolissime dimensioni…)