Accertamento anticipato: vale la data di emanazione e non quella della successiva notifica

in caso di accertamento anticipato, per valutare se sono decorsi i 60 giorni da quella del PVC, bisogna verificare la data di emanazione dell’accertamento non quella di notifica al contribuente

Con la sentenza n. 5361 del 17 marzo 2016, la Corte di Cassazione ha confermato che ai fini del rispetto dei 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, vale la data di emanazione dell’atto e non quella della successiva notifica. In caso diverso l’atto è nullo.

Il fatto

L’Agenzia delle entrate, dopo aver chiuso, in data 26.10.2011, un PVC concernente talune violazioni fiscali, provvedeva all’emissione, in data 21.12.2011, dell’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006, notificando il relativo atto in data 28.12.2011.

Il contribuente impugnava l’atto di accertamento sostenendone l’illegittimità per il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dall’emissione del pvc.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso con sentenza confermata in appello dalla CTR della Liguria.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000. “Deduce che ai fini del rispetto del termine dilatorio indicato dalla disposizione anzidetta occorre fare riferimento alla data in cui l’atto di accertamento viene portato a conoscenza del contribuente, a nulla rilevando l’epoca di emissione dello stesso, peraltro non risultando che il contribuente avesse fatto pervenire all’ufficio alcuna memoria difensiva tra la data di emissione e quella di notifica dell’avviso”.

La sentenza della Suprema Corte

Per la Corte la censura è manifestamente infondata. “Ed invero, questa sottosezione, con sentenza n. 11088/2015 ha di recente chiarito che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale garantito dall’art. 12 c.7 I. n. 212/2000 sussiste quando l’avviso di accertamento risulta emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente. In questa direzione milita la disposizione di cui all’art. 12, comma 7 della L. 212/2000 che non può essere intesa come equivalente a non può essere notificato o, comunque, altrimenti portato a conoscenza legale del contribuente. A tali conclusioni si giunge per due ordini di considerazioni. In primo luogo perché la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria cosicché, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato emanato… In secondo luogo, perché … la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale, ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà impositiva si forma quando l’atto impositivo è ancora infierì. Ne consegue che l’Ufficio deve attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione delle osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga emanato“.

Brevi riflessioni

Il comma 7, dell’articolo 12, dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000) prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

A Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013, è intervenuta sulla questione, fissando dei precisi principi. In particolare, in relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus sull’urgenza, ha così scritto:

  • la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio, conduce il collegio a preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità “ non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza”. Infatti, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, “non essendo, invece, necessario dar conto, in quella sede (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di regole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario). Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esame, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta”. L’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non appare alla Corte in sé decisiva, “poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine “motivata” non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento. In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requisito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’esonero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata. Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e particolare – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento”.

In conclusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione enunciano il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

Si è aperto, quindi, un nuovo fronte nell’ambito di questa problematica. La lettura che ne dà la Cassazione mira a salvaguardare il corretto esercizio del contraddittorio, atteso fra l’altro che il dettato normativo fa riferimento all’emanazione e l’atto emanato anticipatamente, pur se non notificato, è già scritto, in contrasto con lo spirito della norma e con il pensiero della Cassazione a SS.UU.

4 maggio 2016

Roberto Pasquini