La perdita di qualifica di ente non commerciale per le associazioni sportive dilettantistiche

è possibile attribuire correttamente la qualifica di ente non commerciale ad un’associazione sportiva che impieghi per lo svolgimento della sua attività (sportiva) i proventi conseguiti con le sponsorizzazioni, la gestione del bar, del ristorante ed altre attività commerciali… ma tale qualifica si può perdere qualora…

calcetto-immagineL’art. 149 del TUIR, la cui rubrica è “Perdita della qualifica di ente non commerciale” non si applica alle associazioni sportive. Tuttavia tale circostanza non impedirà all’Agenzia delle entrate di disconoscere la natura di ente associativo qualora in sede di accesso, ispezione o verifica dovessero emergere elementi idonei a rilevare l’oggetto (principale) commerciale del contribuente.

La disposizione citata così dispone: “Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per l’intero periodo d’imposta”. Il successivo comma 2 precisa che ai fini della qualificazione commerciale dell’ente si tiene conto di una serie di parametri. Nell’ambito dei predetti indici viene ad esempio indicata la prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali (quote associative, contributi…).

Possono essere agevolmente intuite le ragioni che hanno indotto il legislatore a disporre la disapplicazione della norma in esame nei confronti dei club sportivi. Nella maggior parte dei casi le “società sportive” ottengono la disponibilità dei proventi per lo svolgimento dell’attività istituzionale/sportiva dagli sponsor. E’ frequente, qualora anche in tempi di crisi un club sportivo ottenga la sponsorizzazione dell’attività, che i proventi così percepiti siano superiori alle entrate istituzionali. Pertanto se il legislatore non avesse disposto la disapplicazione della norma in commento nei confronti dei predetti enti associativi, esercenti attività sportiva/dilettantistica, nella maggior parte dei casi l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto disconoscere la qualificazione.

Ai sensi dell’art. 73, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986 devono essere compresi nella categoria degli enti non commerciali i soggetti “che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. Pertanto se un ente associativo svolge effettivamente un’attività sportiva, finalizzata sia all’insegnamento, ma più in generale finalizzata alla diffusione della pratica sportiva tramite la partecipazione a campionati, trofei, competizioni, etc. non possono sussistere dubbi. Lo scopo principale dell’associazione è in questo caso la partecipazione alle competizioni sportive.

L’elemento fondamentale è, ai fini dell’analisi sin qui condotta, l’oggetto principale o esclusivo. Non è casuale la circostanza che il legislatore abbia utilizzato nell’art. 73, lett. c, citato tale espressione e non la locuzione “prevalente”. In buona sostanza il legislatore ha inteso ribadire ancora una volta la possibilità di esercitare collateralmente attività di tipo commerciale purché in forma sussidiaria o meramente strumentale rispetto all’attività istituzionale, indipendentemente, quindi, dal requisito della prevalenza.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte risulta evidente che è possibile attribuire correttamente la qualifica di ente non commerciale ad un’associazione sportiva che impieghi per lo svolgimento di tale attività (sportiva) i proventi conseguiti con le sponsorizzazioni, la gestione del bar, del ristorante ed altre attività commerciali. Lo scopo non è certo quello di gestire tali attività commerciali, ma piuttosto impiegare le somme così ottenute per acquistare le attrezzature sportive, le borse, le tute, per “finanziare” le trasferte da effettuare in vista della partecipazione ai campionati, etc. In sostanza lo scopo è principalmente sportivo.

Non è possibile però escludere del tutto che dietro lo “schermo” dell’attività sportiva il reale obiettivo dell’ente sia quello di gestire il bar, il ristorante ovvero svolgere ulteriori attività commerciali. In questo caso l’esercizio “minimale” dell’attività sportiva sarebbe effettuato al solo scopo di assicurare all’ente una possibile difesa nei confronti del Fisco. Infatti, l’Amministrazione finanziaria potrebbe riqualificare in fase di verifica e poi di accertamento l’attività non commerciale come una vera e propria attività d’impresa svolta da un soggetto che presenta solo formalmente la veste di associazione, ma che nella sostanza rappresenta ad ogni effetto un’impresa.

La verifica della concreta attuazione delle finalità istituzionali e, quindi, dell’oggetto principale rappresenta un’operazione molto complessa. Il riscontro deve essere effettuato avendo riguardo alle disposizioni dello statuto, all’effettiva osservanza delle stesse, al rispetto del principio di democraticità e considerando ogni altro elemento che qualifichi i rapporti associativi. La previsione dell’art. 149 del TUIR non impedirà all’Agenzia delle entrate, sia pure dopo un’attività di accertamento complessa e minuziosa da effettuare caso per caso, di attribuire all’ente associativo la natura di impresa.

30 gennaio 2016

Nicola Forte