La cessione gratuita di prodotti oggetto dell'attività d'impresa: esclusione dalla base imponibile

le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa sono in via generale assoggettate all’IVA, mentre non concorre a formare la base imponibile il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono…

Aspetti generali

Secondo l’art. 2, comma 1, del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, «costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere».

La direttiva del Consiglio n. 2006/112/CE del 28.11.2006, che (con vigenza dall’1 gennaio 2007) ha sostituito la Sesta direttiva n. 77/388/CEE, stabilisce all’art. 2 che sono soggette all’IVA le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale.

Nell’ambito delle norme tributarie italiane, per quanto disposto dall’art. 2, c. 2, n. 4, del D.P.R. 633/1972, le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa, sono in via generale assoggettate all’IVA. Tale soluzione discende direttamente dalla normativa comunitaria, in particolare dall’art. 16 della direttiva del 2006, che considera le cessioni gratuite «assimilabili» a quelle onerose.

Un’ipotesi diversa è quella disciplinata dall’art. 15, sc. 2, del decreto IVA, ai sensi del quale non concorre a formare la base imponibile il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata.

Con la sentenza 29.7.2015 n. 16030, la Corte di Cassazione ha stabilito che la cessione gratuita di prodotti oggetto dell’attività dell’impresa, se effettuata non a scopo di liberalità, ma in vista di successive vendite, si qualifica come abbuono e non come omaggio. Essa costituisce quindi un’operazione esclusa dalla base imponibile IVA ai sensi dell’art. 15, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 ma non pregiudica il diritto all’esercizio della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti effettuati a monte1.

Aderendo a un’interpretazione sostanzialistica della norma, la Corte chiarisce che questa deve intendersi riferita non solamente alle riduzioni di prezzo offerto a parità di quantità, ma anche al caso opposto in cui, a parità di prezzo, viene aumentata la quantità di prodotto offerto.

La Corte sottolinea inoltre che, nel caso di specie, la qualifica dell’operazione come abbuono deriva dal fatto che alla cessione gratuita corrisponde in realtà una controprestazione, la quale consiste nell’opportunità di proseguire, successivamente, la fornitura del bene.

Il valore normale

L’art. 72 (riproducendo sostanzialmente il vecchio art. 11, parte A, par. 7, della Sesta direttiva), ha poi stabilito che per «valore normale» deve intendersi «l’intero importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente nel territorio dello Stato membro in cui l’operazione è imponibile per ottenere i beni o servizi in questione al momento di tale cessione o prestazione».

Nel caso in cui non fossero accertabili analoghe cessioni di beni o prestazioni di servizi, il valore normale può essere determinato:

  • nel caso delle cessioni di beni, in un importo non inferiore al prezzo di acquisto dei beni stessi o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, al prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano le operazioni;

  • nel caso delle prestazioni di servizi, un importo non inferiore alle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione della prestazione.

L’art. 14, comma 3, del decreto IVA, prevede che «per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi».

Il successivo quarto comma aggiunge che «per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa».

Nella R.M. 21.12.1979, n. 363705, è stato precisato che «il valore normale, ai sensi dell’art. 14 del medesimo DPR n. 633, è costituito dal prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie al medesimo stadio di commercializzazione, prezzo che si individua in quello praticato nella fase di produzione, qualora i beni ceduti a titolo di sconto siano prodotti dallo stesso soggetto e in quello praticato nella fase all’ingrosso qualora i cennati beni siano stati acquistati presso altri operatori».

Il riferimento ai beni acquistati presso altri soggetti, nell’ipotesi da ultima considerata, fa comprendere che l’acquisizione del bene, la quale serve quale riferimento per la determinazione del «prezzo medio», è quella che avviene tra il soggetto terzo (cedente) e l’impresa che effettua la successiva cessione gratuita (cessionaria).

Seguendo tale ragionamento, anche il prezzo «praticato nella fase di produzione» dovrebbe ricondursi in realtà alla nozione di costo di produzione.

Prezzo o costo?

La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 2.6.1994, n. C-33/93, è intervenuta proprio in materia di cessioni gratuite di beni, chiarendo che l’art. 11, lett. a, n. 1, sub a, della Sesta direttiva (che all’epoca costituiva la norma puntuale di riferimento) doveva essere interpretato «… nel senso che la base imponibile dell’articolo che un venditore fornisce a titolo gratuito ad una persona che si presenti come una nuova cliente potenziale o presenti un’altra persona in tale qualità è diversa dalla base imponibile dei beni acquistati presso lo stesso venditore dalla nuova cliente e corrisponde al prezzo d’acquisto pagato dal venditore per detto articolo».

Sul punto che qui interessa, le norme comunitarie dispongono senza possibilità di dubbio che la base imponibile per la cessione gratuita dei beni dell’impresa è costituita:

  • nel caso del bene acquistato dall’impresa e poi ceduto gratuitamente, dal prezzo d’acquisto (pagato al primo fornitore);

  • nel caso del bene prodotto dall’impresa stessa e poi ceduto gratuitamente, dal costo dello stesso (ovvero dal costo dei fattori impiegati per la sua produzione).

Anche se il coordinamento tra norma comunitaria e norma interna evidenzia qualche asperità interpretativa, le due disposizioni (art. 14, commi 3 e 4, D.P.R. 633/1972 e art. 72 della direttiva n. 2006/112/CE) non sono in aperto contrasto.

Nel caso delle cessioni gratuite, infatti, la norma interna andrebbe esplicata nel senso che il «prezzo» cui far riferimento è quello praticato nei confronti dell’impresa cedente dal fornitore della stessa, e non già quello che l’impresa cedente avrebbe praticato nei confronti del proprio cliente.

Alla luce anche di quanto precisato dalla risoluzione ministeriale n. 363705 del 21.12.1979, se il prezzo manca, perché il bene è stato prodotto dall’impresa che effettua la cessione gratuita, deve farsi riferimento al «costo» (anche se si parla di «prezzo» mediamente praticato nella fase della produzione, è evidente che è così, perché nella fase della produzione non avviene alcuna commercializzazione del prodotto finito).

Ipotesi di cessione gratuita

Le situazioni che possono concretamente verificarsi sono di seguito riassunte:

  • se all’atto dell’acquisto è detratta l’IVA, la consegna o la spedizione del bene configura una cessione imponibile (ipotesi nelle quali non si conosceva la destinazione del bene ad omaggio, nonché di detraibilità consentita perché il costo unitario dei beni era inferiore o uguale a euro 25,82 (corrispondenti a lire 50 mila);

  • se all’atto dell’acquisto non è stato possibile operare la detrazione per l’assenza del relativo diritto, in relazione, in particolare, alle spese di rappresentanza di costo superiore a euro 25,82, la consegna o la spedizione del bene da’ luogo a una cessione fuori campo IVA per assenza del presupposto oggettivo;

  • in presenza di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati, la consegna o la spedizione del bene da’ luogo a una cessione fuori campo IVA per assenza del presupposto oggettivo.

Aspetti peculiari caratterizzano però, con riferimento alla determinazione del valore imponibile, le cessioni gratuite di beni prodotti dall’impresa; in particolare, si segnala che l’art. 13, c. 2a, lett. c, del decreto IVA, riconduce tale valore a quello «normale», indicato – a norma del successivo art. 14, c. 3, come il «prezzo o corrispettivo» mediamente praticato dall’impresa o da altre imprese in analoghe condizioni di mercato.

La vertenza

La sentenza della Cassazione n. 16030/2015, sopra richiamata, sorge dall’accertamento compiuto dall’Agenzia delle Entrate in relazione ad alcune operazioni di cessioni di farmaci a titolo gratuito effettuate in base a un protocollo disciplinato (con apposito D.M. 20.07.2000) dal Ministero della Sanità.

Nel periodo di imposta 2000, la società ricorrente per cassazione aveva effettuato le prescritte forniture gratuite del farmaco alle Aziende sanitarie di riferimento e le aveva trattate fiscalmente come operazioni escluse ai sensi dell’art. 15 del decreto IVA. Dette operazioni erano state poi qualificate in sede di accertamento in operazioni esenti da inserire del calcolo del pro-rata.

Soccombente nel contenzioso di merito, la società ha proposto ricorso sulla base dei seguenti motivi:

  1. la sentenza d’appello trascurava di considerare che le parole sconto, premio o abbuono non possono intendersi solo come riduzione del prezzo offerto a parità di quantità, ma devono essere intese anche come aumento della quantità del prodotto offerto a parità di prezzo, «tale essendo la fornitura obbligatoriamente gratuita delle prime quattro confezioni farmaceutiche per ogni paziente ammesso al protocollo ministeriale di monitoraggio» (violazione dell’art. 15, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972];

  2. la sentenza della CTR non considerava altresì che la cessione gratuita delle prime quattro confezioni di farmaco per paziente era funzionalmente collegata alla prevedibile cessione onerosa delle successive confezioni del medicinale ai prezzi fissati dal decreto ministeriale stesso (errore di giustificazione sul fatto);

  3. nel motivare, la pronuncia della CTR si limitava ad affermare che la società appellante non aveva «contestato nello specifico le asserzioni contenute nell’accertamento» e non aveva «addotto alcuna prova», senza precisare (errore di giustificazione della decisione di merito sul fatto);

  4. la pronuncia di merito trascurava di considerare il motivo di gravame sull’errato utilizzo del meccanismo del pro-rata di cui all’art. 19-bis del decreto IVA (violazione dell’art. 112 del c.p.c.).

    Le precisazioni fornite dalla Corte

Puntualizza la Cassazione che:

  • nel diritto comunitario, ai fini della sesta direttiva, è assimilato a una cessione a titolo oneroso il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto passivo il quale lo trasferisce a titolo gratuito o, più generalmente, lo destina a fini extra-impresa, quando tale bene o gli elementi che lo compongono hanno consentito la deduzione (detrazione) totale o parziale dell’IVA;

  • non vanno invece compresi nella base imponibile gli sconti sul prezzo per pagamento anticipato, i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all’acquirente al momento in cui si compie l’operazione;

  • nel diritto interno italiano, costituiscono cessioni di beni:

    • gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere;

    • le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36-bis.

Non concorre a formare la base imponibile il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata [art. 15, D.P.R. n. 633/1972].

Secondo quanto argomenta la Cassazione, si ha una cessione gratuita vera e propria solamente quando il trasferimento del bene è davvero senza controprestazione, mentre restano escluse da tale definizione le operazioni permutative [art. 11, D.P.R. n. 633/1972] e quelle cessioni nelle quali la carenza apparente della controprestazione trova una peculiare giustificazione economica e giuridica, come accade ad esempio nel caso di sostituzione gratuita di un bene in garanzia o di beni invenduti [art. 73].

Per quanto attiene alle cessioni gratuite, insomma, la ratio dell’art. 2, secondo comma, n. 4), del decreto IVA si rinviene nell’esigenza di evitare che beni uguali giungano al consumo con diversi carichi fiscali ovvero addirittura senza tassazione.

Ne consegue l’esclusione dall’imponibilità delle cessioni gratuite di beni per i quali non sia stata detratta l’IVA al momento dell’acquisto o dell’importazione.

La soluzione fornita

Nel caso di specie, oggetto della sentenza della Suprema Corte, il rischio non sussisteva, giacché il farmaco in questione e gli altri omologhi erano per decreto ministeriale forniti, a prezzi prefissati, nell’ambito di un progetto sanitario nazionale e di un rigido protocollo scientifico.

La cessione gratuita delle prime quattro confezioni per ciascun paziente ammesso ali protocollo, quindi, non minava affatto l’esigenza di evitare che beni uguali giungessero al consumo con diversi carichi fiscali, atteso che tutti i farmaci inseriti nel progetto erano forniti alle Aziende sanitarie alle medesime condizioni, contrattate con la previsione obbligatoria delle fornitura gratuita delle prime quattro confezioni.

Il tutto era presidiato dallo specifico obbligo normativo sancito dal decreto ministeriale.

Dunque, nell’ambito delle previsioni del D.M. 20.7.2000, la cessione gratuita delle quattro prime confezioni di farmaci non poteva dirsi davvero senza controprestazione, dato che la carenza apparente della controprestazione trovava una peculiare giustificazione economica nel prevedibile prosieguo della terapia, e una giustificazione giuridica nelle esigenze sociosanitarie del pazienti (curati per la malattia di Alzheimer) e in quelle di non onerare la collettività dei costi iniziali di una terapia destinata a prolungarsi nel tempo.

Da ciò è stato fatto derivare il collegamento causale tra le cessioni gratuite iniziali e le programmate successive forniture onerose a prezzo prefissato e contrattato a livello ministeriale e, quindi, il sostanziale «abbuono» che, con le prime quattro cessioni gratuite, era accordato rispetto a una fornitura di durata non prevedibile nell’ambito del progetto sanitario, ma in conformità alle originarie condizioni contrattuali e al decreto ministeriale.

Operazioni escluse vs. cessioni gratuite

Per quanto sopra affermato, la Cassazione ritiene condivisibile la tesi della società contribuente, secondo la quale il valore normale dei farmaci ceduti gratuitamente doveva ritenersi escluso dalla base imponibile IVA.

In presenza infatti di cessioni motivate da ragioni di opportunità, di convenienza commerciale o anche di natura socio-sanitaria (come nel caso considerato), ancorché non direttamente onerose, si è del tutto al di fuori dalle cessioni a titolo di omaggio per liberalità.

Anzi, come argomenta la Corte, le cessioni gratuite dei farmaci, nella ratio del decreto ministeriale e della contrattazione che l’ha preceduto, rimane finalisticamente collegata alle successive forniture soggette ad IVA.

Queste operazioni vanno quindi assimilate alle operazioni escluse dalla base imponibile ex art. 15 più che alle cessioni contemplate dall’art. 2, c. 2, n. 4), del decreto IVA.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso ha causato l’assorbimento degli altri tre e la sentenza della CTR è stata cassata senza rinvio.

21 gennaio 2016

Fabio Carrirolo

1 Si definiscono “escluse dall’IVA” le operazioni che non solo non sono soggette al pagamento dell’imposta, ma che neppure sono soggette agli adempimenti formali, di regola prescritti anche per le operazioni non soggette all’IVA, quali non imponibili o esenti dall’IVA.

In linea generale le operazioni escluse sono del tutto estranee dal campo d’applicazione dell’IVA, in quanto prive del requisito oggettivo, soggettivo o territoriale. Per tale motivo non determinano generalmente alcun obbligo in capo a chi le pone in essere. Esse devono essere tenute in considerazione in funzione delle disposizioni che limitano la detrazione dell’IVA sugli acquisti di beni e servizi afferenti operazioni escluse.