Imposta di registro: la sostanza prevale sulla forma

l’imposta di registro è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente

Con la sentenza n. 20029 del 7 ottobre 2015 (ud. 22 aprile 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di registro, vale la sostanza e non la forma.

Il principio fissato

E’ noto che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 che in rubrica reca ‘Interpretazione degli atti’“, statuisce che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” e, in ambito fiscale, si pone in maniera complementare alla disposizione civilistica in tema di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. che, nell’interpretazione del contratto, fa carico all’interprete d’indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, a tal fine valutando il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto. Questa Corte ha, più volte, anche di recente, affermato il principio secondo cui, in tema di determinazione dell’imposta di registro, in caso di pluralità di atti non contestuali debba essere “attribuita preminenza, in applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 alla causa reale dell’operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicchè, ai fini del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali (in tale senso Cass. civ. sez. 5 19 marzo 2014, n. 6405, correttamente richiamata in termini da parte ricorrente e tra le altre, in senso conforme, Cass. civ. sez. 5 4 febbraio 2015, n. 1955)”.

Brevi note

Con la sentenza n. 21770 del 15 ottobre 2014 (ud. 2 luglio 2014) la Corte di Cassazione, partendo dal dettato normativo di riferimento (art. 20 D.P.R. n. 131/86, secondo cui l’imposta di registro è applicata secondo lintrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente) ha rilevato che in sede giurisprudenziale si è affermato (cfr., più di recente, Cass. civ. sez. trib. 5 giugno 2013, n. 14150; tra le altre si vedano Cass. civ. sez. trib. 25 febbraio 2002, n. 2713; Cass. civ. sez. trib. 23 novembre 2001, n. 14900) “che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche in maniera frazionata, in uno o più atti. Tale giurisprudenza, d’altronde, si è sviluppata parallelamente all’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa (corrispettivo del servizio di registrazione avente ad oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale) a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva commisurabile ad una specifica forza economica. Da ciò deriva che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è solo norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione volta ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, che è dato dall’oggetto e che viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che li compiono (così, testualmente, la già citata Cass. n. 2713/2002).

Sempre di recente, con la sentenza n. 14150 del 5 giugno 2013 (ud. 3 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che, in base all’art. 20, del D.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro “è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“. E sul punto la Corte richiama dei significativi precedenti (v. in particolare Sez. 5 nn. 14900/01 e 2713/02) con cui ha chiarito che “la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma; id est, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali”. E conclude affermando il seguente principio: “In tema di imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, attribuisce prevalenza, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca e agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente; e in tal senso vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente – in uno o più atti. Pertanto una pluralità di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale costituito dal trasferimento della proprietà di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva“.

E con la sentenza n. 15319 del 19 giugno 2013 (ud. 28 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che l‘imposta di registro va applicata secondo la intrinseca natura degli atti, senza ritenerla una disposizione antieleusiva che necessita del contraddittorio. La Corte di Cassazione prende le mosse dal dettato normativo (art. 20 del D.P.R.n.131/86, richiamato ai fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale dall’art.13 del D.Lgs. n. 347 del 1990), secondo cui “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“. La Corte osserva subito che, proclamando, ai fini dell’applicazione delle imposte in rassegna, la preminenza del reale dato giuridico, dell’effettiva causa negoziale dell’atto sottoposto a registrazione, rispetto al relativo assetto cartolare, la disposizione esprime “la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione, non della loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridici prodotti (v. Cass. 10273/07, 2713/02)”. Sul punto, precedenti pronunce hanno avuto modo di affermare che l’applicazione delle imposte in oggetto ai sensi dell’art. 20, del D.P.R. n. 131/86, ha luogo, attesa l’unitarietà della causa, anche in ipotesi di collegamento negoziale; “di atti, cioè, che, ancorchè frazionatamente e non contestualmente, realizzino, sul piano della regolamentazione degli interessi dei contraenti, un preordinato unico risultato, identificabile in funzione di valutazione complessiva (cfr., tra le altre, Cass. 15192/10, 9162/10, 11769/08, 8098/06, 2713/02, 14900/01)”. Inoltre, osserva la Corte, che la norma, quand’anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura “disposizione antielusiva” (del resto la sua formulazione, mutuata peraltro da normativa previgente, è storicamente ben precedente al diffondersi del dibattito sull’elusione), giacchè, in combinazione col precedente art. 1, interviene a delineare positivamente l’ambito oggettivo del rapporto giuridico tributario di riferimento, con specifica opzione per i contenuti sostanziali degli atti registrati rispetto ai relativi profili meramente cartolari (v. Cass. nn. 10273/07, 2713/02), e non pone (come, invece, fa in relazione a situazioni specifiche il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis) una generale clausola antielusiva “di chiusura“, tesa a rendere comunque inopponibili all’Amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi, che risultassero privi di valide ragioni economiche e diretti solo ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario. Pertanto, nella prospettiva dell’imposta di registro si procede alla ricostruzione dell’obiettiva portata, sul piano degli effetti giuridici, dell’attività negoziale posta in essere. Ciò comporta che “la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale ai fini dell’applicazione della previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (cfr. Cass. 9162/10, 11769/08, 2713/02, 14900/01), in considerazione della specifica positiva definizione normativa dell’oggetto del rapporto impositivo”. La natura della disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, peraltro, l’estraneità delle imposte d’atto al novero dei tributi armonizzati privano, poi, di ogni rilievo i richiami operati dalle società contribuenti alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria in tema di obbligatorietà del contraddittorio in sede di procedimento amministrativo.

Conclusioni

Attraverso l’art. 20, del D.P.R. n. 131/86, si tassa l’atto secondo lintrinseca natura e gli effetti giuridici che presenta alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche in maniera frazionata, in uno o più atti, così da divenire non solo norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione volta ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario (cfr. Cass. Sent. n. 21770 del 15 ottobre 2014, ud. 2 luglio 2014) )

26 gennaio 2016

Gianfranco Antico