Vecchio accertamento sintetico: scostamento biennale sì, ma solo per periodi aperti

ci sono tantissimi contenziosi aperti a seguito accertamenti da redditometro sull’anno 2008, fondati sullo scostamento nel biennio 2007-2008 quando l’anno 2007, al momento dell’accertamento, era già decaduto. Con questo apporfondimento spieghiamo concretamente perchè le contestazioni dell’Agenzia delle entrate non possono essere considerate valide

Abbiamo letto, ed apprezzato come sempre, l’intervento di Gianfranco Antico (“Vecchio sintetico: serve un biennio” del 26 novembre 2015) a commento della sentenza della Cassazione n.21995 del 28 ottobre 2015: la Corte ha ribadito, come del resto chiaramente prevede(va) la norma, che occorre lo scostamento di un biennio per effettuare l’accertamento sintetico (vecchio redditometro). Laddove il Giudice di merito riduca la pretesa (anche per un solo anno del biennio) a meno del 25% di scostamento tra reddito accertato e reddito dichiarato, poiché viene a mancare lo scostamento per uno dei due anni, l’atto deve essere annullato.

Sul tema anche altra giurisprudenza si è già espressa: Cass. sent. 4 maggio 2009, n. 10178 e Ctr Aosta, sent. 14 marzo 2011, n. 3; si veda anche Cass. n. 17200 del 23 luglio 2009.

Poi l’articolo si sofferma sul fatto che i due anni monitorati possono non essere consecutivi (circa la non necessaria consucutività degli anni accertati si è espressa Cass. n. 237 del 9 gennaio 20091) e si cita una sentenza della CTR di Bologna che non condividiamo per le motivazioni appresso indicate.

La questione riguarda numerosi accertamenti emessi nel 2013 per il biennio 2007-2008 (ultimi anni accertati con il “vecchio” redditometro).

In tali casi l’Agenzia delle entrate accerta il biennio ma chiede le imposte per il solo anno 2008, il solo che, in presenza di dichiarazione dei redditi presentata, era accertabile entro il 31 dicembre 2013.

L’anno 2007 è utilizzato al solo fini di provare lo scostamento per un altro anno.

L’art. 43 (rubricato “Termine per l’accertamento”), D.P.R. 600/1973, ai primi due commi prevede che “1. Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

2. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del Titolo I, l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.”.

Sulla base di questa norma l’Ufficio (in relazione al periodo d’imposta 2007) è decaduto dal potere di accertamento il 31 dicembre 2012, mentre l’avviso è stato emesso solo nel corso dell’anno 2013.

Si tratta di un comportamento inammissibile, in quanto se all’Ufficio fosse concesso di accertare, anche solo presuntivamente, i dati del 2007, anche quando i termini di accertamento sono scaduti, il contribuente dovrebbe avere il diritto di difendersi: di fatto si riaprirebbe il termine per l’accertamento di tale anno, invero già spirato (articolo 43, comma 1, D.P.R. 600/1973)!

Diversamente interpretando, verrebbero calpestati i diritti fondamentali (di difesa, della certezza del diritto…), incrinando il rapporto di fiducia tra contribuenti e Fisco, che è alla base di un sistema tributario civile e costituzionalmente orientato.

Anzi, l’accertamento effettuato nel 2013 anche in relazione ai redditi del 2007 (oltre che quelli del 2008) per il quale il termine di accertamento è spirato l’anno prima costituisce una grave violazione del principio della buona fede e della collaborazione tra Fisco e contribuente, sancito dall’art. 10 della L. n. 212 del 2000.

La conclusione è che, se l’Ufficio non ha richiesto i dati del 2007 entro il 2012, e non ha emesso un avviso di accertamento per tale annualità, non può effettuare un accertamento per tale anno e l’eventuale atto emanato d’ufficio sarebbe illegittimo. E neppure può utilizzare tali dati ai fini di provare lo scostamento biennale, salvo che l’accertamento del 2007 non si sia reso definitivo.

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Di seguito si tenterà di dar luogo ad un’attività ermeneutica delle norme de quibus, al fine di comprendere il reale perimetro temporale a disposizione dell’Ufficio, per accertare un contribuente, in relazione a un determinato periodo d’imposta.

Un importante aiuto, al fine di dare risposta alla questione, può ricavarsi da una corretta interpretazione dell’art. 43 appena menzionato, volta a comprendere la sua reale ratio. Orbene, il dettato normativo de quo, altro non è che un baluardo volto a garantire il contribuente da eventuali usi distorti delle potestà pubbliche, nell’espletamento delle attività di accertamento fiscale. Il fatto che il Legislatore abbia imposto la notifica dell’avviso di accertamento entro un preciso termine, a pena di decadenza, comporta quanto segue:

a) solamente entro il termine decadenziale, l’Ufficio potrà porre in essere tutte le attività di verifica, di ispezione e di controllo (esercitabili ex art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 – da concludere con la redazione di un processo verbale di constatazione; cfr. da ultimo Cass. sent. 11 settembre 2013, n. 20770 e CTP di Treviso, sent. 831/05/14 – prodromiche all’emissione e notificazione dell’avviso di accertamento);

b) in quanto ancora non concluso il termine di decadenza, l’Ufficio potrà inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento, o, in ogni caso, instaurare un contraddittorio che consenta al contribuente, in ossequio all’art. 24 della Costituzione, di poter esercitare il proprio diritto alla difesa già durante la fase amministrativa e non solamente durante la successiva ed eventuale fase contenziosa; c) se e solo se il termine stabilito dalla norma in discorso non sia spirato, l’Amministrazione finanziaria potrà integrare o modificare precedenti avvisi di accertamento, sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Da quanto evidenziato, ai sensi dell’art. 43, spirati i termini da esso riportati, l’anno d’imposta di riferimento non sarà più accertabile, con ciò intendendo che si tratterà di un periodo impositivo definitivamente chiuso, in relazione al quale non solo l’Amministrazione finanziaria non potrà più emettere e notificare un avviso di accertamento che rettifichi quanto dichiarato dal contribuente, ma non potrà nemmeno esperire alcuna delle attività appena elencate, proprio perché prodromiche a trovare quegli elementi volti a recuperare l’imposta eventualmente evasa dal contribuente, ma in relazione ad un periodo che, ormai, non può essere più oggetto di accertamento.

Del resto, l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, rubricato “Poteri degli uffici” è collocato, così come l’art. 43 del medesimo decreto, all’interno del Titolo IV dello stesso, intitolato “Accertamento e controlli”. Ciò vuol dire che il Legislatore ha voluto inglobare nei termini di cui all’art. 43 tutti i poteri attribuiti all’Amministrazione finanziaria, sicché non si vede la ragione per cui, spirati tali termini, la stessa possa ricorrere ad uno di tali poteri in relazione a un anno d’imposta che, ormai, non esiste più e, senza neppure ricorre a detti poter, emettere un avviso di accertamento.

Sul punto, poi, tanto la Suprema Corte di Cassazione (cfr., ex multis, Cass. civ., sent. 5 ottobre 2004, n. 19865), quanto la Corte Costituzionale, hanno ribadito che è principio fondamentale insito nel nostro ordinamento, quello della “certezza dei termini di accertamento”, in relazione al quale il contribuente da un lato e l’Amministrazione finanziaria dall’altro, devono necessariamente avere la certezza del perimetro temporale a disposizione di quest’ultima, al fine di esercitare i poteri impositivi.

Si ricordano, ex plurimis, i principi espressi dalla Corte Costituzionale, sent. 15 luglio 2005, n. 280, nella quale il Giudice delle leggi dispone quanto segue: “è conforme a Costituzione, e va dall’interprete ricercata, soltanto una ricostruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto, senza limiti temporali, all’azione esecutiva del fisco … non essendo consentito, dall’art. 24 Cost., lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque … l’Amministrazione (lato sensu intesa), sempre soggetta a rigorosi termini di decadenza per attività ben più complesse … l’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che l’avviso di accertamento – quale atto conclusivo di un ben più complesso procedimento – sia notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione...” (idem, Corte Costituzionale, ord. n. 352 del 2004).

Infine, si segnala che la giurisprudenza si è già espressa in relazione a casi:

– relativi proprio alle imposte dirette (CTR della Lombardia, sentenza 209/63/2013; Ctr Piemonte 27.5.2010, n. 28/10/10; Cass., sez. trib, 5.11.2008, n. 26541; Cass., sez. trib, n. 23.7.2009, n. 17200);

– differenti a quello in esame. In tutti i casi viene rimarcato il principio secondo cui non è possibile sottoporre a verifica anni d’imposta decaduti, al fine di trovare i presupposti fondanti accertamenti afferenti ad anni successivi.

Ad esempio, in materia di “rimborsi Iva”, i Giudici della Suprema Corte di Cassazione, facendo proprie le affermazioni della C.T.R. Umbria, sostengono che debba ritenersi escluso il potere della amministrazione di utilizzare i risultati di verifiche concernenti un anno d’imposta decaduto, per negare un rimborso relativo ad un anno d’imposta successivo e ancora “aperto” (Cass., sent. 22 aprile 2005, n. 8460). Nel caso di specie, i Supremi Giudici, a corroboramento di quanto affermato dai Giudici Umbri, affermano: “La commissione tributaria regionale dell’Umbria ha correttamente interpretato l’art. 57, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 nel senso che il termine decadenziale ivi previsto si riferisce anche al controllo, da parte dell’Ufficio, dei presupposti su cui si fonda la richiesta di rimborso dell’eccedenza imposta detraibile risultante dalla dichiarazione”.

E, sullo stesso piano, si colloca un pronunciamento della C.T.R. di Milano, in tema di accertamento concernente operazioni elusive, in relazione al quale si dispone che “se le annualità in cui le operazioni hanno avuto luogo non sono più accertabili e pertanto non sono più discutibili le operazioni poste in essere” e neppure è “possibile rimetterle in discussione e ‘valutarle’ al solo fine di dichiarare illegittimi gli effetti negli anni successivi” (Ctr Lombardia, sez. XLIV di Milano, sent. 25 febbraio 2013, n. 31).

Nello stesso senso si esprime la Ctp Milano, sent. 3 giugno 2013, n. 199 dispone quanto segue: “È illegittima l’attività ispettiva, ancorché effettuata negli ordinari termini di accertamento, qualora i rilievi contestati siano conseguenza di un’operazione straordinaria di riorganizzazione di gruppo attraverso cui vengono conseguiti vantaggi fiscali di presunta natura elusiva eseguita in un periodo d’imposta per il quale l’ente imposta per il quale l’ente impositore è decaduto dalla propria facoltà accertativa”.

Anche in merito al caso di una “perdita fiscale” dichiarata in un determinato anno d’imposta e poi ritenuta compensabile dal contribuente negli anni successivi alla sua formazione, la Giurisprudenza ribadisce l’importanza della “certezza dei termini di accertamento”, censurando l’operato dell’Amministrazione finanziaria che aveva ritenuto di intervenire su di un esercizio legittimamente accertabile, ma azzerando un componente di compensazione (la perdita, appunto), divenuto ormai definitivo, siccome risalente ad un anno d’imposta non più verificabile (Ctr Veneto, sez. VI Venezia, sent. 16 aprile 2007, n. 18).

D’altro canto, proprio in materia di accertamento sintetico da redditometro, la Suprema Corte di Cassazione ha sostenuto che l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, pur non imponendo all’Amministrazione finanziaria di emettere l’accertamento contestuale per i due o più periodi d’imposta per i quali si ritiene che la dichiarazione non sia congrua, impone all’Ufficio procedente, di motivare l’avviso di accertamento emesso sulla base delle ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazione per le altre annualità.

Da ciò, se ne ricava che l’Amministrazione dovrà necessariamente reperire quegli elementi che le permettano di verificare la incongruenza anche per l’altra o le altre annualità diverse da quella oggetto dell’avviso di accertamento, ricorrendo all’esame di documentazione, inviando un questionario al contribuente, in sostanza ricorrendo a quegli strumenti predisposti dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. E potrà farlo, solo nel caso in cui le annualità di riferimento non siano ancora decadute (Cass., sent. 5 novembre 2008, n. 26541).

In altre parole, i “termini certi” (o certezza del diritto) di cui parla la giurisprudenza sono volti non solamente a tutelare il contribuente, ma si tratta di un imprescindibile argine, in uno Stato di diritto come il nostro, necessario a garantire l’applicazione dei fondamentali principi sanciti dagli art. 3, 24 e 97 della nostra Carta Costituzionale (principi di uguaglianza, del buon andamento e dell’imparzialità dell’attività della pubblica amministrazione, nonché del diritto alla difesa).

Il principio della “certezza del diritto” è, oggi, un fondamentale principio generale della Comunità europea (ex multis, Corte di Giustizia Unione Europea, Sez. III, 31 gennaio 2013, n. 643/11, nonché, Corte di Giustizia Unione Europea, sent. 23 aprile 2009, causa C-533/07). Del resto, a far rimando a tale principio generale inerente all’ordinamento giuridico comunitario è la stessa Suprema Corte di Cassazione, sent. 11 dicembre 2012, n. 22577.

Pertanto, se l’Amministrazione finanziaria tenesse un comportamento volto a raggirare quanto, in realtà, le viene imposto dall’ordinamento giuridico italiano (sottoponendo a verifica un anno d’imposta ormai decaduto, al fine di ricavarne i presupposti per accertare l’anno d’imposta ancora aperto) lo farebbe violando principi fondamentali di matrice costituzionale e di matrice comunitaria.

In tal proposito, doveroso riferimento va fatto a Corte Costituzionale, sent. 22 novembre 2000, n. 525, nella quale il Giudice delle Leggi evidenzia come i principi costituzionali impongano la “tutela dell’affidamento legittimo posto dalla certezza dell’ordinamento giuridico”, nonché l’importanza per tutti i soggetti di “operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico”.

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Operare diversamente significherebbe far perdere valore agli accertamenti che vanno a contrastare la vera evasione. Come pregevolmente commentato da parte di autorevole dottrina: “Più si dice che l’evasione è dappertutto … più i controlli perdono serenità, ed i fatti individuati vengono interpretati nel modo più malevolo. Come se il fisco avesse il dovere di determinare la ricchezza in modo capzioso e distorto…” (R. Lupi, in Manuale giuridico di scienze delle finanze. Le scienze dell’organizzazione sociale, tra economia, politica, imprese e diritto, Roma, 2012, par. 8.7).

Un’affascinante interpretazione del principio della “certezza del diritto” è fornito da G. Pernigotti, Decreti omnibus, legislazione d’urgenza e principio della certezza del diritto, in www.professionegiustizia.it del 21 giugno 2013. Secondo l’autore: “… il concetto – sicurezza del diritto o, meglio, nel diritto – esprime un valore costituzionale: l’esigenza per i consociati di conoscere a quali norme attenersi… Sicurezza significa, nella prospettiva dei consociati, la percezione che la loro vita quotidiana all’interno di un ordinamento è garantita da un principio di chiarezza nella cognizione delle norme oggi vigenti. Si comprende come un vulnus su questo fronte genererà incertezza in ogni comportamento, in ogni condotta e in ogni ambito (lavorativo, familiare, culturale e di espressione)”.

Anche il medesimo art. 38, comma 4, D.P.R. 600/1973 (alla base dell’atto di cui si discute) consente l’accertamento qualora il “reddito accertabile” si discosti da quello dichiarato dal contribuente.

Ora: è chiaro che l’espressione utilizzata dal Legislatore è quello di consentire un accertamento del maggior reddito per i periodi d’imposta ancora “accertabili”, secondo i termini perentori di cui al successivo art. 43.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria giammai potrà ricercare negli anni d’imposta non più accertabili la differenza tra il reddito dichiarato e quello presunto, neppure al fine di giustificare la notificazione di un avviso di accertamento da redditometro afferente all’anno d’imposta non ancora decaduto (nel caso che ci occupa, è intervenuta la decadenza anche in relazione all’accertamento per il 2008).

Se così non fosse, significherebbe svilire la portata dell’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, svuotare di significato il principio della certezza del perimetro temporale di cui dispone l’Ufficio, disfarsi dei principi di buon andamento, efficienza, efficacia e uguaglianza che devono necessariamente stare alla base dell’agere amministrativo.

In altri termini, se l’anno d’imposta non è più accertabile vuol dire, non soltanto che l’Ufficio non potrà più emettere un avviso di accertamento afferente allo stesso periodo, ma non potrà più ricorrere a tutti quei poteri che gli consentirebbero di ricavare i presupposti volti a motivare e giustificare l’accertamento relativo ad un periodo d’imposta ancora aperto.

Se ciò fosse possibile, inoltre, il contribuente si troverebbe nella situazione per la quale, in relazione ad un determinato periodo d’imposta ormai chiuso, potrebbe ancora esser soggetto a verifiche, sottoposto ad un questionario, potrebbe ancora vedersi convocare dall’Amministrazione finanziaria al fine di instaurare un contraddittorio, il tutto allo scopo di trovare quei presupposti fondanti l’attività accertativa riferita all’anno d’imposta ancora accertabile.

Ciò è tanto più vero se fosse vero quanto sancito da Cass. 237/2009 secondo cui lo scostamento può verificarsi anche per due periodi non consecutivi. Per estremizzare, l’Ufficio potrebbe convocare il contribuente o inviargli un questionario per verificare il periodo d’imposta 1980 per porre le basi dell’accertamento di un periodo d’imposta ancora accertabile (es. 2008 fino al 31.12.2013 o anche successivamente in caso di omessa dichiarazione) o anche semplicemente verificare lo scostamento sulla mera applicazione (matematica) dei coefficienti dei vari Decreti ministeriali che hanno individuato gli indici di capacità contributiva, con evidenti difficoltà di difesa del contribuente. E comunque egli dovrebbe difendersi in relazione a periodi d’imposta chiusi.

E’ evidente come questa interpretazione sia, ci sia consentita una valutazione personale, “impossibile”.

Perciò, l’unica interpretazione possibile dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 (“vecchia formulazione”), ci porta ad affermare che, per entrambi gli anni d’imposta per cui risulta quella distanza tra reddito dichiarato e reddito accertato (assunta a fondamento dell’avviso di accertamento da redditometro) non devono essere ancora spirati i perentori termini di decadenza sanciti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973.

18 dicembre 2015

Gioacchino Pantoni, Claudio Sabbatini e Daniele Gabriele

1 Neppure è consolidato detto orientamento. Ad esempio Cass. 26541/2008 afferma: “E’ pacifico che la norma non impone all’ufficio di procedere all’accertamento contestualmente per i due o più periodi di imposta per i quali esso ritiene che la dichiarazione non sia congrua … ma l’accertamento postula che l’atto di accertamento sintetico per un determinato anno di imposta contenga – al fine di consentire la difesa del contribuente su tale aspetto – la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per altri periodi di imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico”.

Come osservato dall’Avv. Maurizio Villani “Per la verità, anche se la lettera della norma non prevede alcun limite, è evidente che per essere un elemento significativo a supporto della presunzione i periodi dovrebbero essere ragionevolmente vicini.

Ciò sembrerebbe significare come solo la notifica di accertamenti per anni d’imposta contigui possa rendere la pretesa tributaria rafforzata sul piano probatorio.

In effetti, le analisi estese su un arco temporale più ampio consentono di escludere da accertamento posizioni per le quali i redditi dichiarati, apparentemente non congrui in relazione alle spese sostenute, sono, in realtà, influenzati da situazioni contingenti, piuttosto che da perduranti e sistematici comportamenti evasivi”.