Le cessioni gratuite, gli omaggi, le liberalità: effetti fiscali per le imprese

analisi della normativa corrente e delle novità in arrivo dal 2016 per il trattamento fiscale (ai fini dell’IVA e delle imposte dirette) di spese sostenute per omaggi e rappresentanza

Aspetti generali

Nell’attività delle imprese si presentano diverse ipotesi nelle quali assume rilevanza fiscale la cessione di beni a titolo gratuito. Tale ipotesi conduce ad esiti diversi sotto il profilo reddituale e relativamente all’IVA, potendo alimentare le cosiddette spese di rappresentanza, oppure venendo a costituire erogazioni liberali destinate a determinati soggetti.

Si osserva innanzi tutto che, secondo l’art. 2, comma 1, del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, «costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere».

In base poi all’art. 108, comma 2, secondo periodo, del TUIR, le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse. Come verrà esplicitato più avanti, i successivi periodi del comma 2 stabiliscono varie percentuali di deducibilità per tali spese e il criterio della deducibilità integrale per le cessioni gratuite di beni di valore unitario non superiore a 50 euro.

La soggezione a IVA delle cessioni gratuite

La direttiva del Consiglio n. 2006/112/CE del 28.11.2006, che (con decorrenza dall’1 gennaio 2007) ha sostituito la Sesta direttiva n. 77/388/CEE, stabilisce all’art. 2 che sono soggette all’IVA le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale.

Nell’ambito delle norme tributarie italiane, per quanto disposto dall’art. 2, c. 2, n. 4, del D.P.R. 633/1972, le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa, sono in via generale assoggettate all’IVA. Tale soluzione discende direttamente dalla normativa comunitaria, in particolare dall’art. 16 della direttiva del 2006, che considera le cessioni gratuite «assimilabili» a quelle onerose.

Un’ipotesi diversa è quella disciplinata dall’art. 15, secondo comma, del decreto IVA, ai sensi del quale non concorre a formare la base imponibile il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata.

Con la sentenza 29.7.2015 n. 16030, la Corte di Cassazione ha stabilito che la cessione gratuita di prodotti oggetto dell’attività dell’impresa, se effettuata non a scopo di liberalità, ma in vista di successive vendite, si qualifica come abbuono e non come omaggio. Essa costituisce quindi un’operazione esclusa dalla base imponibile IVA ai sensi dell’art. 15, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972 ma non pregiudica il diritto all’esercizio della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti effettuati a monte1.

Aderendo a un’interpretazione sostanzialistica della norma, la Corte chiarisce che questa deve intendersi riferita non solamente alle riduzioni di prezzo offerto a parità di quantità, ma anche al caso opposto in cui, a parità di prezzo, viene aumentata la quantità di prodotto offerto.

La Corte sottolinea inoltre che, nel caso di specie, la qualifica dell’operazione come abbuono deriva dal fatto che alla cessione gratuita corrisponde in realtà una controprestazione, la quale consiste nell’opportunità di proseguire, successivamente, la fornitura del bene.

Il valore normale

L’art. 72 della direttiva del 2006 [riproducendo sostanzialmente il vecchio art. 11, parte A, par. 7, della Sesta direttiva] ha stabilito che per «valore normale» deve intendersi «l’intero importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente nel territorio dello Stato membro in cui l’operazione è imponibile per ottenere i beni o servizi in questione al momento di tale cessione o prestazione».

Nel caso in cui non fossero accertabili analoghe cessioni di beni o prestazioni di servizi, il valore normale può essere determinato:

  • nel caso delle cessioni di beni, in un importo non inferiore al prezzo di acquisto dei beni stessi o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, al prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano le operazioni;

  • nel caso delle prestazioni di servizi, un importo non inferiore alle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione della prestazione.

L’art. 14, c. 3, del decreto IVA, prevede che «per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi».

Il successivo quarto comma aggiunge che «per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa».

Nella R.M. 21.12.1979, n. 363705, è stato precisato che «il valore normale, ai sensi dell’art. 14 del medesimo DPR n. 633, è costituito dal prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie al medesimo stadio di commercializzazione, prezzo che si individua in quello praticato nella fase di produzione, qualora i beni ceduti a titolo di sconto siano prodotti dallo stesso soggetto e in quello praticato nella fase all’ingrosso qualora i cennati beni siano stati acquistati presso altri operatori».

Il riferimento ai beni acquistati presso altri soggetti, nell’ipotesi da ultima considerata, fa comprendere che l’acquisizione del bene, la quale serve quale riferimento per la determinazione del «prezzo medio», è quella che avviene tra il soggetto terzo (cedente) e l’impresa che effettua la successiva cessione gratuita (cessionaria).

Seguendo tale ragionamento, anche il prezzo «praticato nella fase di produzione» dovrebbe ricondursi in realtà alla nozione di costo di produzione.

IVA detratta e non

Le situazioni che possono concretamente verificarsi sono di seguito riassunte:

  • se all’atto dell’acquisto è stata detratta l’IVA, la consegna o la spedizione del bene configura una cessione imponibile (ipotesi nelle quali non si conosceva la destinazione del bene ad omaggio, nonché di detraibilità consentita perché il costo unitario dei beni era inferiore o uguale a euro 25,82);

  • se all’atto dell’acquisto non è stato possibile operare la detrazione per l’assenza del relativo diritto, in relazione, in particolare, alle spese di rappresentanza di costo superiore a euro 25,82, la consegna o la spedizione del bene da’ luogo a una cessione fuori campo IVA per assenza del presupposto oggettivo;

  • in presenza di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati, la consegna o la spedizione del bene da’ luogo a una cessione fuori campo IVA per assenza del presupposto oggettivo.

Aspetti peculiari caratterizzano però, con riferimento alla determinazione del valore imponibile, le cessioni gratuite di beni prodotti dall’impresa; in particolare, si segnala che l’art. 13, c. 2, lett. c, del decreto IVA, riconduce tale valore a quello «normale», indicato, a norma del successivo art. 14, c. 3, come il «prezzo o corrispettivo» mediamente praticato dall’impresa o da altre imprese in analoghe condizioni di mercato.

Si rammenta che la soglia di detraibilità IVA per le cessioni gratuite, già fissata nella misura del costo unitario di euro 25,82, è passata a 50 euro in forza dell’art. 30 del D.Lgs. 21.11.2014, n. 175.

L’orientamento della Cassazione

La sentenza della Cassazione n. 16030/2015, sopra richiamata, ha puntualizzato quanto segue:

  • nel diritto comunitario, ai fini della sesta direttiva, è assimilato a una cessione a titolo oneroso il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto passivo il quale lo trasferisce a titolo gratuito o, più generalmente, lo destina a fini extra-impresa, quando tale bene o gli elementi che lo compongono hanno consentito la deduzione (detrazione) totale o parziale dell’IVA;

  • non vanno invece compresi nella base imponibile gli sconti sul prezzo per pagamento anticipato, i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all’acquirente al momento in cui si compie l’operazione;

  • nel diritto interno italiano, costituiscono cessioni di beni:

    • gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere;

    • le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36-bis.

Non concorre a formare la base imponibile il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata (art. 15, D.P.R. n. 633/1972).

Secondo quanto argomenta la Corte, si ha una cessione gratuita vera e propria solamente quando il trasferimento del bene è davvero senza controprestazione, mentre restano escluse da tale definizione le operazioni permutative (art. 11, D.P.R. n. 633/1972) e quelle cessioni nelle quali la carenza apparente della controprestazione trova una peculiare giustificazione economica e giuridica, come accade ad esempio nel caso di sostituzione gratuita di un bene in garanzia o di beni invenduti (art. 73).

Nella sentenza richiamata, in particolare, la controprestazione era ravvisata nella necessità di proseguire in una terapia farmacologica con successivi acquisti onerosi, dopo la cessione gratuita ai pazienti delle prime quattro confezioni a titolo gratuito.

Per quanto attiene alle cessioni gratuite, insomma, la ratio dell’art. 2, c. 2, n. 4, del decreto IVA si rinviene nell’esigenza di evitare che beni uguali giungano al consumo con diversi carichi fiscali ovvero addirittura senza tassazione.

Ne consegue l’esclusione dall’imponibilità delle cessioni gratuite di beni per i quali non sia stata detratta l’IVA al momento dell’acquisto o dell’importazione.

Le spese di rappresentanza

Sotto il profilo dell’imposizione reddituale, l’art. 85, c. 2, del TUIR, include tra i ricavi il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

In deroga a tale principio generale, diverse disposizioni del TUIR prevedono che il costo dei beni ceduti gratuitamente possa essere deducibile se rientra in una delle seguenti ipotesi:

  • sconti merce o premi in natura alla clientela;

  • spese di rappresentanza;

  • spese di pubblicità;

  • omaggi a dipendenti;

  • erogazioni liberali.

L’art. 108 del TUIR prevede dei limiti alla deduzione delle spese di rappresentanza, tra le quali rientrano anche quelle sostenute per i beni distribuiti gratuitamente.

Rimangono tuttavia interamente deducibili le spese relative ai beni distribuiti gratuitamente di valore unitario fino a 50 euro (art. 108, . 2, u.p.).

Le spese di rappresentanza devono i seguenti requisiti:

  • inerenza: queste spese (riferibili a erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni) devono essere effettivamente sostenute e documentate e rispondere a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa;

  • riferimento ai clienti dell’impresa, sia effettivi che potenziali.

Le disposizioni attuative in materia sono state emanate con D.M. 19.11.2008, quanto ai requisiti di inerenza e congruità, anche in funzione della natura e della destinazione delle spese stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa.

Le novità decorrenti dal 2016

L’art. 9 del D.Lgs. 14.9.2015, n. 147, recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (decreto internazionalizzazione) è intervenuto sull’art. 108, c. 2, del TUIR, con un innalzamento, dal 2016 per i soggetti con esercizio solare, della soglia di deducibilità fiscale delle spese di rappresentanza.

Le spese di rappresentanza divengono deducibili considerando i seguenti limiti, rapportati all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi:

  • 1,5% dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro [in luogo del precedente 1,3%];

  • 0,6% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni [in luogo del precedente 0,5%];

  • 0,4% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni [in luogo del precedente 0,1%].

Con successivo decreto ministeriale potranno essere variati:

  • la misura deducibile delle spese di rappresentanza;

  • il limite di deducibilità integrale dei beni distribuiti gratuitamente (omaggi), fissato in misura pari a 50 euro.

La disciplina IVA delle spese di rappresentanza valida per il 2015 e il 2016 prevede la detraibilità totale delle «spese di vitto e alloggio per ospitare clienti per mostre, fiere ed eventi simili e/o per le trasferte dei propri dipendenti e/o collaboratori».

Ai fini IVA per le spese di rappresentanza valgono le seguenti regole di detraibilità:

  • detraibilità IVA al 100% per le spese di rappresentanza fino ad euro 50;

  • indetraibilità IVA al 100% per le spese di rappresentanza superiori ad euro 50.

Sconti merce e premi in natura

Gli sconti merce e i premi in natura, pur avendo finalità promozionali, non costituiscono spese di rappresentanza.

Si osserva al riguardo che:

  • lo sconto merce è un’operazione che prevede la consegna di un bene, anche non rientrante tra quelli prodotti dall’impresa, in seguito a comportamenti commerciali ritenuti favorevoli dal venditore. La caratteristica fondante dello sconto merce è, quindi, la sua subordinazione a un’altra operazione commerciale di compravendita;

  • per quanto riguarda i premi occorre guardare alla disciplina di concorsi e operazioni a premio: l’art. 2, c. 1, del D.P.R. 26.10.2001, n. 430, definisce i concorsi a premio come manifestazioni commerciali in cui l’attribuzione dei premi offerti ai partecipanti dipende dalla sorte o dall’alea, ovvero dall’abilità o dalla capacità dei concorrenti; sono invece operazioni a premio – ai sensi dell’art. 3, comma 1 – le manifestazioni che prevedono: a) le offerte di premi a tutti coloro che acquistano o vendono un determinato quantitativo di prodotti; b) le offerte di un regalo a tutti coloro che acquistano o vendono un determinato prodotto o servizio.

Sconti e omaggi

Gli sconti consistono in un riconoscimento gratuito al cliente di un certo bene, o meglio di una quantità aggiuntiva di un certo bene prodotto o commercializzato dall’impresa, in rapporto a determinati comportamenti di compravendita.

Sono invece omaggi quei beni la cui distribuzione è gratuita e viene effettuata quale atto unilaterale senza prevedere alcuna contropartita.

In generale, gli omaggi destinati ai clienti rientrano tra le spese di rappresentanza.

Giacché la norma fa riferimento ai soli «beni» di modico valore distribuiti gratuitamente, la stessa non è riferibile alle spese relative a servizi (cfr. circolare Agenzia delle Entrate 13.7.2009, n. 34/E, paragrafo 5.4).

17 novembre 2015

Fabio Carrirolo

1 Si definiscono “escluse dall’IVA” le operazioni che non solo non sono soggette al pagamento dell’imposta, ma che neppure sono soggette agli adempimenti formali, di regola prescritti anche per le operazioni non soggette all’IVA, quali non imponibili o esenti dall’IVA.

In linea generale le operazioni escluse sono del tutto estranee dal campo d’applicazione dell’IVA, in quanto prive del requisito oggettivo, soggettivo o territoriale. Per tale motivo non determinano generalmente alcun obbligo in capo a chi le pone in essere. Esse devono essere tenute in considerazione in funzione delle disposizioni che limitano la detrazione dell’IVA sugli acquisti di beni e servizi afferenti operazioni escluse.