Termini raddoppiati per l’accertamento anche senza denuncia

la Cassazione ha recentemente confermato che il raddoppio dei termini per l’accertamento consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale

Con la sentenza n. 20043 del 7 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha confermato che “il raddoppio dei termini per l’accertamento consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale…, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”.

Il fatto

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento, relativo ad IRPEF, a seguito della rettifica del reddito d’impresa di una società a ristretta base sociale, di cui il contribuente era socia (con quota pari al 20%, insieme al coniuge, titolare della restante quota), per la quota a lei imputabile, stante la presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili extracontabili.

I giudici d’appello hanno sostenuto, in particolare, in ordine all’eccepita decadenza dell’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria, la piena operatività della proroga dei termini di cui all’art. 43 DPR 600/1973, stante l’effettiva sussistenza, nella specie, di ipotesi di reato, con riguardo all’omessa dichiarazione dei redditi prodotti nell’anno 2005, da parte della società, di cui il contribuente era socia e, conseguentemente, “coobbligata in concorso, ex art. 2932 c.c.“, oltre che onerata alla vigilanza, ex art. 2639 c.c.. La contribuente non poteva, ad avviso della Commissione, ritenersi estranea alle omissioni poste in essere dalla società “cessionaria“, anche per la presunzione di avvenuta distribuzione degli utili extracontabili ai soci, stante la ristretta base societaria, non superata da adeguata prova contraria.

La contestazione

La ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 43 DPR 600/1973, avendo i giudici d’appello, nel respingere l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo, stante l’operatività del raddoppio dei termini di accertamento, fatto riferimento ad una denuncia penale (comunicazione di notizia di reato) riguardante un soggetto terzo, il legale rappresentante della società, a fronte del principio costituzionale di cui all’art. 27 Cost. (carattere strettamente personale della responsabilità penale), mentre l’azione penale nei confronti della socia era prescritta, trattandosi di dichiarazione infedele (non essendo contestato che la contribuente aveva presentato, nel 2006, la propria dichiarazione dei redditi per l’anno 2005), e comunque nessuna azione penale risultava promossa nei confronti della stessa.

La decisione

La Corte ritiene che non sussista la denunciata violazione dell’art. 13 DPR 600/1973 e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale, sulla base del fatto che l’art. 43 d.p.r. 600/1973, come novellato, prevede che “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti (cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento) sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione“.

A supporto la Corte suprema richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011, che ha chiarito che:

a) “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale“;

b) l’obbligo di denuncia “sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale“;

c) “la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciato nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato“;

d) subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto ‘doppio binario’ tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000“;

e) l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita“;

f) il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia“;

g) sussiste “il dovere del Giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell’obbligo di denuncia“.

Applicando tali principi di diritto alla fattispecie in esame, per la Corte risulta evidente che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertairice, “rileva l’astratta configurabiiità di un’ipotesi di reato e l’intervenuta prescrizione del reato non è dì per sé stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perché non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di ‘doppio binario’ tra giudizio penale e procedimento e processo tributario”.

Come osservato già in una precedente pronuncia della Corte (Cass. n. 9974/20151) “perché sussista l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 361 c.p., è sufficiente che il pubblico ufficiale che vi è tenuto ravvisi nel fatto il fumus di reato” il che significa che “presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita“, mentre “i giudizi di valore complementari al fatto tipico vale a dire antigiuridicità e dolo, competono invece in via esclusiva all’autorità giudiziaria“.

Per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte costituzionale devolve al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine allungato in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall’art. 37.

Per i giudici del Palazzaccio, “nulla di tutto questo risulta nella specie. Risulta essere intervenuta una denuncia penale a carico del legale rappresentante della società, per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, essendo l’imposta evasa superiore al limite individuato dall’art. 5 d.Igs. 74/2000. Peraltro, anche con riguardo alla specifica posizione del socio di società a ristretta base sociale, come chiarito dalla Consulta, il raddoppio dei termini per l’accertamento consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale (nella specie, quantomeno, il reato di dichiarazione infedele, avendo la socia, come dedotto anche in ricorso, presentato dichiarazione dei redditi a fini IRPEF per l’anno 2005), indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”.

Brevi considerazioni

L’intervento della Corte di Cassazione appare particolarmente interessante per una duplice ragione:

  • da una parte perché conferma che il raddoppio dei termini2 è sganciato dall’effettiva presentazione della denuncia penale;

  • dall’altra parte perché lega la posizione della società a ristretta base azionaria a quella del socio, nel caso in cui l’accertamento personale derivi dalla presunzione di distribuzione di utili, e legittima l’accertamento anche per l’annualità ordinariamente scaduta per il socio.

Il pronuciamento della Corte interviene, altresì, in un momento in cui è in vigore, di fatto, il regime transitorio previsto dal D.Lgs.n.128/2015.

Come è noto, il D.Lgs. n.128 del 5 agosto 2015 – che da attuazione, fra l’altro, alle parti della delega fiscale ( L.n.23/2014) volte ad assicurare maggiore certezza giuridica al sistema tributario – si occupa specificatamente del raddoppio dei termini per l’accertamento.

In forza di detta delega, l’art. 2, comma 1, ha aggiunto all’art.43, comma 3, del D.P.R.n.600/73, in fine, un periodo, in forza del quale “ Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui e’ ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”.

Allo stesso modo il legislatore è intervenuto con il comma 2, dell’art.2, del D.Lgs.n.128/2015, sull’art. 57, terzo comma, del D.P.R.n.633/72, aggiungendo, in fine, lo stesso periodo inserito nella norma reddituale.

In pratica, il raddoppio dei termini opera solo nel caso in cui la denuncia, dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza, sia inoltrata entro i termini ordinari (4 anni, in caso di dichiarazione presentata, e 5 anni, in caso di dichiarazione omessa), chiudendo così definitivamente le dure querelle di maggior rilievo (inoltro e denuncia nei termini).

Tuttavia, il legislatore delegato ha messo in sicurezza la precedente attività di controllo e accertamento, fissando nel 2 settembre 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 128/2015, il momento temporale che fa da demarcazione.

Il comma 3, dell’articolo 2, del più volte citato D.Lgs. n. 128/2015, ha:

  • fatto salvi gli effetti di una serie di atti, purchè notificati alla data di entrata in vigore del decreto (cioè, 2 settembre 2015): avvisi di accertamento; provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie; altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria;

  • fatto salvi, sottoponendoli però ad una duplice condizione, gli effetti dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, nonché degli inviti a comparire di cui all’art.5 del D.Lgs. n. 218/97, notificati alla stessa data del 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti impositivi o sanzionatori siano notificati entro il 31 dicembre 2015. In pratica: se il Pvc, per esempio, viene consegnato l’1 settembre, l’avviso di accertamento deve essere notificato entro il prossimo 31 dicembre; se il Pvc viene, invece, viene consegnato il 4 settembre si applicano le nuove regole sul raddoppio dei termini (e quindi invio della denuncia nei termini ordinari). L’esempio relativo al p.v.c. trova applicazione anche per gli inviti a comparire, alle medesime condizioni.

23 ottobre 2015

Gianfranco Antico

1La Corte di Cassazione sulla questione, sentenza 15 maggio 2015, n. 9974, ha affermato che “L’avvenuta archiviazione della denuncia presentata dalla Guardia di finanza non è di per sé stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perché non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del pm, ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di ‘doppio binario’ tra giudizio penale e procedimento e processo tributario”.

2L’art. 37, cc. 24 e 25, del D.L. n. 223/2006, convertito in Legge n. 248/2006, ha aggiunto, all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/72, dopo il comma 2, il seguente periodo : “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione“. L’intervento legislativo era finalizzato a garantire all’Amministrazione Finanziaria l’utilizzabilità degli elementi istruttori penali che emergano nel corso delle indagini condotte dall’autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto ordinariamente per l’accertamento e detto ampliamento opera a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale che consegua alla denuncia, atteso che la norma collega l’ampliamento dei termini per l’accertamento alla mera sussistenza dell’obbligo di denuncia della violazione ai sensi dell’art. 331 del C.p.p..