Accertamento induttivo contro accertamento analitico-induttivo: cosa cambia per il contenzioso nell'ottica della difesa del contribuente? Consigli pratici per la predisposizione di un ricorso vincente

senza adeguati elementi probatori l’accertamento analitico-induttivo si trasforma di fatto in induttivo puro o extracontabile? l’articolo propone utili spunti difensivi in base al diverso grado di validità delle presunzioni a favore del fisco

Principi

Il discrimine tra l’accertamento analitico e quello induttivo va individuato nella parziale o assoluta inattendibilità e conseguente inutilizzabilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nell’ipotesi dell’analitico-induttivo l’ufficio è legittimato solo a completare le lacune riscontrate e deve utilizzare, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi del reddito non dichiarati, presunzioni gravi, precise e concordanti. Per l’induttivo, invece, l’amministrazione finanziaria può determinare l’imponibile in base ad elementi indiziari, prescindendo dai risultati della contabilità. Senza adeguati elementi probatori l’accertamento analitico –induttivo si trasforma di fatto in induttivo puro o extracontabile per il quale sono previsti degli specifici requisiti normativi.

Il contribuente, ai fini di una idonea difesa, deve appurare innanzitutto la natura delle presunzioni e secondariamente evidenziare, nell’ipotesi di assenza di gravità, precisione e concordanza, che di fatto si è trattato di un accertamento induttivo per il quale l’ufficio non ha fornito motivazione e prova. Se l’ufficio sceglie il metodo analitico-induttivo non può poi di fatto accertare il reddito con un criterio induttivo puro in assenza degli specifici requisiti normativi richiesti.

Si tratta di accertamenti per i quali l’onere della prova è differente e pertanto occorre che nell’atto sia chiara la scelta operata.

Nel caso di adozione di accertamento induttivo puro o extracontabile, l’ufficio può calcolare il reddito avvalendosi anche di metodi analitici previsti dall’articolo 39 e il contribuente non ha titolo per contestare l’emissione di un accertamento analitico.

Tuttavia, ove decida di determinare il reddito attraverso il metodo analitico-induttivo, senza quindi disconoscere l’attendibilità delle scritture, non può più ricorrere al metodo induttivo puro. Una volta che l’ufficio ha operato la determinazione del reddito su base analitica, adottando in concreto il relativo procedimento e limitandosi a una rettifica selettiva delle scritture contabili del contribuente, non è possibile il recupero con il metodo induttivo puro, facendo cioè valere presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Nell’accertamento analitico infatti, l’onere della prova è a carico in via primaria dell’ufficio e solo una volta assolto, vi è lo spostamento in capo al contribuente.

In definitiva, gli uffici non possono emettere accertamenti analitici-induttivi, pur in totale assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Tali interessanti principi sono stati precisati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16979 del 19 agosto 2015.

Vicenda

Il fisco ha emesso un accertamento per la mancata contabilizzazione di ricavi da parte di una società, sulla base della differenza tra i corrispettivi indicati negli atti di vendita degli immobili e quelli desunti in base all’Omi. I giudici di merito tributari hanno confermato l’infondatezza della pretesa erariale. In particolare, il giudice del gravame, ha statuito che l’ufficio non aveva fornito indizi gravi, precisi e concordanti a sostegno della propria pretesa, non essendo sufficiente lo scostamento dai valori dell’osservatorio immobiliare. Inoltre la società aveva provato i ricavi conseguiti dalla vendita.

Pronuncia

Gli Ermellini, in ordine ai poteri dell’ufficio nelle ipotesi di accertamento induttivo puro o analitico-induttivo e precisamente una volta riscontrato che l’Agenzia aveva rettificato il reddito della società attraverso il metodo analitico induttivo, previsto dall’articolo39 comma 1 lettera ) del Dpr 600/73, hanno puntualizzato quanto sopra esposto.

Metodi

A fronte della dichiarazione del contribuente, l’Ufficio può rettificare in aumento l’imponibile esposto nella dichiarazione con tre metodi, quello analitico-contabile, quello extracontabile o induttivo e quello misto, analitico-induttivo. Il metodo analitico o contabile, è previsto dalle lettere a, b, c, del comma 1, dell’articolo 39, DPR 600/73 e dal comma 1 dell’articolo 54, DPR 633/72; tale accertamento si basa esclusivamente sulla contabilità ufficiale del contribuente, ovvero su errori sostanziali nell’applicazione delle disposizioni tributarie Il metodo analitico-induttivo, è previsto dal comma 1, lettera d, dell’articolo 39, DPR 600/73 e dal comma 2, dell’articolo 54, DPR 633/72, in presenza di determinate condizioni come l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione sulla base di documenti o notizie raccolte dall’amministrazione finanziaria. Il metodo induttivo, è previsto nel comma 2, lettere a, c, d, d-bis, dell’articolo 39, e dell’articolo 41 DPR 600/73, nonché ai commi 1 e 2, dell’articolo 55, DPR633/72, in presenza di:

omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o dell’Iva1;

presentazione di dichiarazione dei redditi nulla;

omessa dichiarazione del reddito d’impresa;

omessa tenuta, sottrazione all’ispezione di una o più delle scritture contabili obbligatorie, risultante dal verbale d’ispezione;

mancata emissione di fatture per una parte rilevante delle operazioni risultate dal verbale d’ispezione, ovvero di omessa conservazione, rifiuto di esibizione o sottrazione all’ispezione, in tutto o in parte rilevante, delle fatture emesse, risultanti dal verbale d’ispezione;

omissioni, false o inesatte indicazioni, ovvero di irregolarità formali gravi,numerose e ripetute tali da rendere inattendibile la contabilità nel suo complesso per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica;

omessa risposta agli inviti dei verificatori, ai sensi degli artt. 32, c 1, nn. 3 e 4, DPR 600/73 o 51, c. 2, nn. 3 e 4, DPR 633/72

Analitico –induttivo

Nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, c. 1, lett. d, in tema di imposte reddituali, la rettifica in aumento dell’imponibile esposto in dichiarazione è possibile se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti (Cass. 04-09-2013 n. 20255 sez. T). Con tale metodologia, la determinazione (o meglio, la rettifica) del reddito viene effettuata sempre nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata aliunde l’inesattezza o la mancanza.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili all’apparenza regolari non esclude la legittimità dell’accertamento analitico–induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600 del 1973, qualora la contabilità stessa possa considerarsi nel complesso inattendibile, perché confliggente coi criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. Quindi, in tali casi è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla scorta di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente (Cass. 09-11-2012 n. 19550).

Nell’ ‘accertamento analitico-induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, c. 1, lett. d, “l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse” (Corte di Cassazione sentenza 4 febbraio 2015, n. 1951).

Gli accertamenti analitico-induttivi possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. L’Ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte gravi incongruenze, può procedere all’accertamento induttivo anche in presenza di una contabilità formalmente in regola (Cass. civ. Sez. VI, Ordinanza, 18-11-2014, n. 24482).

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento sempre che la contabilità “possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. L’accertamento con metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/1973, presuppone l’esistenza di scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale ma, tuttavia, contestabili in virtù di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. La legittimità della rettifica analitico-induttiva non è subordinata necessariamente all’irregolare tenuta della contabilità quando la stessa contabilità contrasta “con i criteri di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità, essendo in tali casi, consentito all’Ufficio di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché chiari, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente”.

Scelta

L’accertamento analitico, rispetto a quello induttivo, offre maggiori garanzie al contribuente, in quanto vengono chiariti i motivi delle singole riprese permettendo un più puntuale esercizio del diritto di difesa, consentendo un contraddittorio su base analitica e non presuntiva. Inoltre, non esiste alcuna disposizione di legge in forza della quale in presenza dei presupposti di fatto che consentano sia l’accertamento analitico che quello induttivo, debba essere privilegiato il secondo, potendosi al contrario sostenere come la regola generale debba essere quella di privilegiare sempre e comunque il primo, in quanto garante di maggiore certezza.

Il passaggio dall’accertamento analitico a quello induttivo si determina, infatti, in ragione della progressiva diminuzione di attendibilità delle scritture contabili in ragione delle violazioni contestate.

Nel caso in cui, dunque, vengano rinvenuti elementi extra contabili dai quali sia possibile dedurre l’incompletezza, la falsità, o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, è data facoltà (ex art. 39, c. 1, D.P.R. n. 600/1973) all’Ufficio di procedere ad un accertamento analitico-induttivo, che dunque assume come base del ragionamento presuntivo le risultanze delle scritture contabili quando ritenute affidabili. Il ricorso al metodo induttivo ex art. 39, c. 2, seppur giustificato dall’assoluta inattendibilità delle scritture contabili, e legittimante un accertamento “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza” dell’ufficio, non comporta il sorgere in capo all’Ufficio dell’obbligo di disattendere la documentazione ufficiale, che costituisce comunque il termine di raffronto rispetto alla ricostruzione del reddito effettuata aliunde. Riguardo al ricorso al metodo induttivo, si parla di facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze documentali, non di obbligo in tal senso. In sostanza, in presenza dei presupposti che consentano il ricorso all’accertamento induttivo, all’Ufficio non è preclusa la possibilità di procedere ad accertamento analitico,rinunciando ad una sua facoltà, mentre non può dirsi il reciproco, nel senso che al ricorrere dei presupposti per l’accertamento in via analitica non può procedersi ad accertamento induttivo2.

Discrimine: parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili

Il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo c.d. analitico-induttivo o misto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, c. 1, lett. d) e quello condotto con metodo c.d. induttivo puro o extracontabile (D.P.R. n. 600 del 1973 art. 39, c. 2 lett. d) in materia di imposte dirette (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, c. 2, n. 3, in materia di imposte indirette) va ricercato, rispettivamente, nella “parziale” o “assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la ’’incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, le cui lacune possono essere colmate dall’Ufficio accertatore utilizzando anche presunzioni semplici (praesumptio hominis) rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., per dimostrare l’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, ovvero l’inesistenza di componenti negativi dichiarati; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” inficiano più radicalmente l’attendibilità (e dunque l’utilizzabilità dell’accertamento) degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. 14-11-2014 n. 24278 sez. T)3.

Irregolarità formali delle scritture contabili gravi, numerose e ripetute

In caso di irregolarità formali delle scritture contabili è legittimo il ricorso al metodo induttivo (puro od analitico-extracontabile) di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento (Cass. 14-12-2012 n. 23096 sez. T).

In caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, c. 2, lett. d; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, c. 2, n. 3), è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziarla, nonché l’Impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento“.

In caso di irregolarità formali delle scritture contabili cosi’ come nel caso in cui i dati contabili (alla stregua dell’esame dei documenti commerciali o di prove presuntive) evidenzino una infedeltà o un difetto di veridicità è, pertanto, legittimo il ricorso (secondo la gravità ed estensione del deficit di attendibilità) al metodo induttivo puro od analitico-extracontabile di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento” (Corte Cass. 5′ sez. 06.08.2002 n. 11813), specificandosi ulteriormente che “la rideterminazione del ricarico, operata in base a dati non privi di concretezza – quali i prezzi unitari di acquisto e di vendita, l’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto, il ricarico medio riscontrato nel settore di appartenenza sulla scorta di un’analisi a campione per gruppi merceologici omogenei e il raffronto con i prezzi di vendita – costituisce operazione senz’altro legittima in quanto finalizzata alla ricostruzione del volume di affari, salva la eventuale riduzione da parte del giudice tributario del maggior reddito accertato in caso di insufficienza o inadeguatezza del campione” (Corte Cass. 5′ sez. 18.09.2003 n. 13816).

22 ottobre 2015

Ignazio Buscema

1 Nel caso in cui vi sia stata una omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Ufficio è abilitato a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e quindi a determinarlo anche con metodo induttivo, non escludendo l’utilizzazione, in deroga alla regola generale, di presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’art. 38, c. 3, d.P.R. 600/1973. In particolare, a fronte dell’omessa dichiarazione dei redditi, il potere/dovere dell’Amministrazione, ex art. 41 d.P.R. 600/1973, comporta che, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o conosciuti, l’ente impositore è abilitato a determinare il reddito complessivo del contribuente, con facoltà di fare ricorso a presunzioni cosiddette “supersemplici” comportanti l’inversione dell’onere della prova.

2 In tema di accertamento delle imposte sui redditi, allorquando ricorrano i presupposti sia dell’accertamento analitico che di quello induttivo, l’amministrazione finanziaria può legittimamente utilizzare sia l’uno che l’altro metodo (Sentenza del 22/05/2001 n. 6945, Corte di Cassazione, Sezione 5).

3 Il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile e quello condotto con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. Nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità, e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento, anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.(Cass. 14-11-2014 n.24278 sez. T).