Regime del margine ed onere della prova

troppo spesso il regime del margine è fonte di contenzioso fiscale che riguarda la corretta applicazione dell’IVA: i principi giurisprudenziali su cui si basa l’onere probatorio per tali controversie

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1577 del 28 gennaio 2015, ha stabilito importanti principi in tema di applicazione del regime del margine.

All’attenzione della Corte una vicenda relativa ad operazioni di acquisto di autoveicoli usati effettuate nell’anno 2003 da una società italiana con forniture eseguite da una ditta con sede in Spagna, rispetto alle quali l’Amministrazione Finanziaria contestava l’indebita applicazione del regime IVA del margine, in quanto la società spagnola proprietaria dei veicoli, dall’esame dei libretti di circolazione, risultava esercitare l’attività di autonoleggio senza conducente, dovendo ritenersi pertanto che, quale soggetto passivo d’imposta, aveva portato in detrazione l’IVA versata a monte sull’originario acquisto dei veicoli, con conseguente inapplicabilità del regime fiscale speciale.

Il ricorso della società contribuente veniva accolto dalla CTP di Belluno con decisione, poi riformata dalla Commissione tributaria Regionale del Veneto, con cui i giudici di secondo grado rilevavano che, a fronte di elementi presuntivi attestanti la qualità di soggetto passivo IVA della società cedente, era onere della contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti richiesti per la fruizione del regime del margine, dovendo escludersi un affidamento incolpevole sulla relativa annotazione indicata nelle fatture, attesa la intensità e frequenza dei rapporti commerciali tra le duesocietà ed essendo comunque onere di diligenza della società italiana cessionaria di verificare la documentazione a corredo delle operazioni di cessione.

Con ricorso per cassazione il contribuente sosteneva allora che i Giudici di appello avevano erroneamente ritenuto che l’annotazione del regime speciale del margine sulle fatture emesse dalla società comunitaria cedente non fosse condizione sufficiente all’applicazione della imposta sul margine di utile, non sussistendo, a suo avviso, alcun obbligo per il cessionario di controllare l’esattezza dei dati indicati dal cedente, nè di verificare la sussistenza dei presupposti legali soggettivi ed oggettivi concernenti il soggetto alienante. Conseguentemente la CTR avrebbe errato ad addossare all’acquirente italiano l’onere della prova che il cedente comunitario non aveva portato in detrazione l’IVA a monte, gravando tale prova sulla Amministrazione che intendeva contestare i dati e le annotazioni riportati in fattura.

I giudici di legittimità, tuttavia, non concordavano con tale tesi e rigettavano il ricorso.

Premesso infatti che il regime speciale cd. del margine, disciplinato dall’art. 26-bis della VI Direttiva n 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977, si configura come “regime fiscale speciale“, di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione, assume come condizione indefettibile di applicabilità l’indeducibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (rendendosi quindi necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere esercitato né avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), evidenziava dunque che il cedente deve comunque rispondere ai “requisiti soggettivi” individuati dall’art. 36, c. 1, DL n. 41/1995, convertito in legge n. 85/1995:

  • che sia un privato consumatore;

  • che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente);

  • che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro;

  • che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine.

 

Tali condizioni, sottolinea ancora la Corte nella sentenza in commento, non sono venute meno con l’art. 2 della Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001, con il quale è stato introdotto l’obbligo di “annotazione” in fattura, in caso di applicazione del regime del margine di utile, dell’espresso riferimento agli artt. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977, ovvero della specificazione “di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile”, atteso che la regolarità formale della fattura recante tali annotazioni, se assolve ad una esigenza di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, non può evidentemente surrogarsi ai presupposti di fatto e diritto che la legge richiede per l’applicabilità del regime fiscale derogatorio.

Il corretto adempimento degli oneri formali, pertanto, non esaurisce, in ogni caso, la prova della effettiva esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi che consentono l’applicazione del regime speciale dell’IVA alla operazione di cessione del bene.

Tutto ciò, evidenzia la Suprema Corte, non comporta che la documentazione contabile sia da ritenersi in assoluto irrilevante, essendo comunque necessario il possesso di tale documentazione per l’esercizio del diritto ad applicare l’imposta sulla base imponibile ridotta, ma, in ogni caso, la mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione documentale dell’operazione di cessione del bene in regime del margine e quella effettivamente realizzata dalle parti può essere certamente contestata dall’Ufficio finanziario, ove emergano elementi, anche presuntivi, che privino di attendibilità le indicazioni contenute nella fattura emessa nei confronti del cessionario.

 In tal caso, quindi, sarà a carico di quest’ultimo, quale soggetto che intende avvalersi del regime speciale in deroga al sistema ordinario di applicazione dell’IVA concernente gli acquisti interni ed intracomunitari, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti che ne consentono l’applicazione (cfr. Corte cass. V sez. 30.5.2012 n. 866; id. Sez. 5, Sentenza n. 8828 del 01/06/2012; id. V sez. 12.9.2012 n. 15219).

 

Tanto premesso, i principi che regolano nella specifica materia la ripartizione dell’onere probatorio, vengono chiaramente enunciati dalla Corte:

– il regime c.d. del margine rappresenta un regime “speciale rispetto all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari ed è pertanto onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’Amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Corte cass. V sez. 31.1.2011 n. 2227);

il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime de quo, indipendentemente dalla consapevolezza che dell’inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte cass. V sez. 31.1.2011 n. 2227);

– non vale allegare l’estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando “nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicché va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Corte cass. V sez. 12.2.2010 n. 3427).

 

Sulla base di tali principi, nel caso all’attenzione della Corte, l’assunto della società ricorrente, secondo cui non poteva essere escluso, in assoluto, che società di autonoleggio o di leasing di vetture possano acquistare, da privati o comunque in regime del margine, veicoli per rivenderli direttamente a terzi senza impiegarli neppure temporaneamente nell’esercizio dell’attività locazione, corroborava quindi e non smentiva la fondatezza dell’argomentazione presuntiva usata dall’Amministrazione Finanziaria, evidenziando, anzi, come l’ipotesi considerata costituisca per tali imprese una circostanza eccezionale rispetto “al normale esercizio della loro attività”, come tale inidonea ad inficiare la presunzione contraria.

E del resto, come riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia, la buona fede del cessionario può essere riconosciuta soltanto agli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode, in quanto solo all’esito di tali adempimenti può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni. Diversamente un soggetto che sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVAnon può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C-439/04 e C-440104, Kittel e Recolta).

L’applicazione del principio di buona fede a tutela del contribuente ingannato dall’illecito commesso dalla parte con la quale ha realizzato l’operazione risultata imponibile, è stata del resto affrontata dal Giudice comunitario proprio con specifico riferimento alle operazioni di cessione intracomunitarie, per le quali l’eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ha determinato l’insorgenza della necessità di individuare procedure idonee a consentire agli operatori di verificare “ex ante” la regolarità fiscale delle operazioni che vanno a compiere, nonché l’esigenza di definire i limiti di riparto, tra contribuente e Fisco, del rischio tributario determinato dalla condotta illecita del terzo (cfr. Corte giustizia 27.92007 causa C-409/04, Teleos, punto 58; Corte giustizia 21.2.2008 causa C-271/06, Netto Supermarkt GmbH, punto 28).

 

E il punto di equilibrio è stato individuato dalla Corte di giustizia nella duplice condizione:

 – della buona fede“,che deve desumersi non soltanto dall’oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale, ma anche dall’ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatorie attuate dall’acquirente o da terzi e che dunque rimane esclusa laddove emergano indizi tali per cui il cedente “sapeva o avrebbe dovuto sapere” che l’operazione intracomunitaria veniva ad iscriversi in una frode fiscale (cfr. Corte giustizia 11.5.2006, causa C- 384/04, Federation of Technological Industries);

 – della “preventiva” adozione da parte del contribuente di tutte le misure ragionevolmente esigibili, al fine di assicurarsi che l’operazione che deve essere effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (cfr. Corte giustizia 6.7.2006, causa C-439/04 e C-440104, Kittel punto 51), laddove tale elemento non coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione dell’operazione (come appunto l’emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali o le annotazioni nei registri contabili), che costituisce, invece, soltanto il presupposto necessario per procedere all’accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos , punti 65-66; Corte giustizia 16.12.2010, causa C- 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 38; Corte giustizia 6.9.2012 causa C-273111, Mecsek Gabona Kft , punti 48-50).

 

In conclusione il “rischio fiscale” dell’operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine, ma in difetto dei presupposti richiesti, ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore.

 

9 settembre 2015

Giovambattista Palumbo

 

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