Il valore probatorio del brogliaccio, il nero deve essere consistente: ci sono limiti alla ricostruzione induttiva del reddito

in caso di reperimento di contabilità in nero, il Fisco può procedere ad un accertamento induttivo, tuttavia la Cassazione ha posto alcuni paletti alla libertà di manovra dei verificatori

 

Con la sentenza n.16251 del 31 luglio 2015, n. 16251 la Corte di Cassazione ha fissato dei limiti alla ricostruzione induttiva del reddito d’impresa, in presenza di un brogliaccio.

 

Il fatto

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento, a carico del titolare di una ditta individuale esercente attività di vendita al dettaglio di articoli di abbigliamento, sulla base della rideterminazione in via induttiva del reddito d’impresa, ex art. 39, c. 2, del DPR 600/1973, sulla base di un brogliaccio rinvenuto in sede di perquisizione domiciliare presso l’abitazione del contribuente, dove, secondo l’Ufficio, venivano annotate operazioni non registrate nella contabilità ufficiale.

In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto che il brogliaccio “può definirsi … un ‘libro cassa’, contenendo tutti gli elementi idonei a “determinare la reale situazione economica della ditta, per l’anno in esame” (quali “gli incassi, le date dei versamenti effettuati e le somme da anticipare ai dipendenti), cosicché risulta possibile fare emergere, da esso, “in maniera certa ed inequivocabile, l’infedeltà dei libri ufficiali” e “valide e legittime presunzioni” a favore dell’Amministrazione finanziaria, non smentite da prova contraria da parte del contribuente, anche in riferimento alla percentuale di ricarico media applicata dall’Ufficio.

La sentenza della Corte

La Corte rileva che è vero che la C.T.R. ha fatto applicazione del principio di diritto, più volte affermato in sede di giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la “contabilità in nero“, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art.39 del D.P.R.n.600/73, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 4080/2015).

Tuttavia, osserva la Corte, che una “contabilità in nero” non legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo puro, occorrendo pur sempre la ricorrenza di “omissioni, false, inesatte indicazioni” o di “irregolarità formali“, così “gravi, numerose e ripetute” da consentire all’Ufficio di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili.

Sul punto viene richiamato un precedente (Cass. n. 13331/1992), secondo cui la compilazione di un brogliaccio, recante l’annotazione di operazioni imponibili non effettuate, “assume rilevanza … quale falsa indicazione di elementi in scritture di gravità e numero tali da rendere inattendibile la contabilità esposta” (cfr. anche Cass. 1951/2015).

Per la Corte, il secondo comma dell’art. 39 DPR 600/1973 scatta “sol quando, dal raffronto tra la contabilità regolare e quella rinvenuta dai verificatori “in nero”, emerga uno scostamento, qualitativo e quantitativo rilevante, tale da rendere la contabilità dell’impresa, nel suo complesso, del tutto inattendibile”.

Nella specie, osservano i massimi giudici, “l’analisi, in concreto, dell’entità di detto scostamento non vi è stata, da parte dei giudici d’appello, pur avendo il contribuente lamentato, anche in questa sede, che la differenza, tra i corrispettivi indicati nel ‘brogliaccio’ (costituente contabilità ‘in nero’) e quelli regolarmente annotati nella contabilità formale, di ‘sole € 8.369.555’, rappresentante una ‘lieve discrepanza, inferiore all’1%’, inidonea a giustificare la rideterminazione del reddito secondo il metodo induttivo c.d. puro”.

Le nostre riflessioni

La sentenza che si annota, in pratica, pur ponendo in risalto il valore probatorio della contabilità nera, legittima l’induttivo puro nelle ipotesi in cui le omissioni, false, inesatte indicazioni siano così gravi, numerose e ripetute da consentire all’Ufficio di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili. Quando, invece, come nel caso di specie, lo scostamento quantitativo tra ricavi accertati attraverso la documentazione extracontabile e quelli dichiarati è molto basso, non si determina solo attraverso il brogliaccio l’inattendibilità delle scritture contabili.

Al di là del caso di specie, comunque, la Corte legittima l’induttivo, in presenza di gravi omissioni, fra i quali vi rientra, a pieno titolo, il brogliaccio.

Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione, nel corso di questi anni, ha assunto una precisa presa di posizione. Riportiamo i pronunciamenti più recenti e i principi fissati.

  • Con la sentenza n. 23185 del 17 novembre 2010 (ud. del 7 ottobre 2010), la Corte di Cassazione ha rilevato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero“, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e segg. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onero di fornire la prova contraria (v. pure Cass. nn. 19329/2006, 19598/2003)”.

  • Con la sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire che il rinvenimento di documenti, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva: “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).

  • Con l’ordinanza n. 12944 del 14 giugno 2011 (ud. del 19 maggio 2011), la Corte ha ritenuto che la c.d. contabilità in nero rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

  • Con la sentenza n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud. 5 ottobre 2011) la Corte dà ancora una volta conferma della legittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità “nera”;

  • con la sentenza n.2890 del 7 febbraio 2013 la Corte di Cassazione (in assenza dell’annotazione in contabilità dell’acquisto di una azienda) ha legittimato l’accertamento induttivo utilizzato dall’ufficio.

  • Con la sentenza n. 15318 del 19 giugno 2013 (ud. 9 gennaio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di conti neridetta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. n. 24051 del 2011, n. 25610 del 2006)”.

  • Con l’ordinanza n. 27456 del 9 dicembre 2013 (ud. 28 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di una contabilità in “nero”. Nel caso specifico, l’accertamento si fondava su dei prospetti rinvenuti in sede di accesso, sui quali eranostati riportati dei dati significativi in ordine al maggior ricaricoapplicato al costo delle merci ed alle prestazioni.

  • Con l’ordinanza n. 22265 del 21 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011; Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, Cass. n. 8625/2012, Cass. n. 27456/2013; Cass. n. 4126/2013; Cass. n. 20492/13)”.

  • Con l’ordinanza n. 177 del 9 gennaio 2015 (ud. 21 novembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che la contabilità in nero, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetali, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”. Da ciò, ne consegue per la Corte, che detta “contabilità in nero“, per il suo valore probatorio, “legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli – Cass. n. 24051/2011“.

23 settembre 2015

Gianfranco Antico