Percentuali di ricarico utilizzate in accertamento: la scelta della media corretta

In caso di accertamento basato sulle percentuali di ricarico, la scelta fra media semplice o ponderata per il ricalcolo dei ricavi dipende dal campione di beni oggetto di verifica.

Percentuali di ricarico e accertamento analitico-induttivo

Con la sentenza n. 9958 del 15 maggio 2015 (ud. 19 febbraio 2015) la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione delle percentuali di ricarico.

 

IL FATTO

accertamento induttivo basato sulle percentuali di ricaricoLa vicenda trae origine da un’articolata verifica fiscale eseguita, tra il 2004 e il 2005, nei confronti di una società esercente l’attività di vendita al dettaglio di carburanti per autotrazione. La verifica aveva riguardato gli esercizi 2002 e 2003.

La commissione tributaria regionale del Lazio confermava la decisione di primo grado con la quale la C.T.P. di Rieti aveva rideterminato l’ammontare dei ricavi ottenuti dalla vendita di alcuni prodotti.

Da questo punto di vista la commissione provinciale aveva evidenziato un’incongruenza nella rettifica della percentuale di ricarico, consistente nell’esser stato praticato un raffronto tra prezzi al dettaglio rilevati al momento dell’accesso (nell’anno 2005), e prezzi di acquisto (desunti da fatture degli anni 2002 e 2003).

Non ritenendo discendere da questo una nullità degli atti impugnati, la commissione aveva mandato all’ufficio di rideterminare il costo del venduto, al netto dell’Iva, utilizzando gli indici nazionali Istat di variazione dei prezzi al consumo intervenuti nel periodo 2002-2005.

Ciò posto, la commissione tributaria regionale del Lazio, confermava la statuizione sostenendo, in particolare, che il procedimento seguito dal giudice di primo grado non era inficiato dalla eccepita diversità dei soggetti gestori dell’impresa negli anni considerati, giacchè unica dovevasi ritenere la realtà operativa, essendo stata questa caratterizzata da identità di compagine, di rappresentanza legale e di attività.

Riteneva equo, inoltre, il calcolo correlato all’utilizzo degli indici Istat, in quanto applicato ai prezzi ripresi dalle fatture.

 

LA SENTENZA

Osserva la Corte, che nel caso di specie

“la sentenza d’appello non si presenta così negativamente caratterizzata. La sentenza ha infatti esplicitato la ratio in ordine alla questione del ricarico, che qui ancora rileva, affermando di condividere la ricostruzione operata dal primo giudice sulla scorta del duplice rilievo (a) che la rilevazione era stata fatta sulla base della media ponderata relativa ai prodotti omogenei presenti negli anni; e (b) che la realtà operativa della società, nel tempo, era rimasta invariata per compagine e per ambito di attività.

Ha inoltre osservato che l’utilizzo degli indici Istat al fine di aggiornare il costo del venduto era avvenuto tenendo conto dei prezzi risultanti dalle fatture”.

 

Resta, altresì, pacifico per la Corte che

“la riscontrata incongruenza nella determinazione della percentuale di ricarico da parte dell’ufficio non impone al giudice di dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento, quanto piuttosto di procedere lui alla corretta determinazione delle percentuale stessa, ove questo sia possibile – ovviamente – in base agli atti di causa”.

 

E da ultimo, osservano i giudici della Suprema Corte,

“la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico sul prezzo del venduto, in sede di accertamento induttivo, suppone l’adozione di un criterio coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame e l’applicazione di questo a un campione di beni scelti in modo appropriato (v. tra le molte Cass. n. 3197-13; n. 7653-12).

In questo caso la scelta tra la media aritmetica o ponderale va rapportata alla composizione del campione di beni selezionati (Cass. n. 26167-11; n. 21785-12), in quanto l’accertamento non soffre speciali limitazione al riguardo”.

 

 

Percentuali di ricarico e accertamento analitico-induttivo – brevi note

La Corte di Cassazione ha più volte affrontato la questione.

Rileviamo che con la sentenza n. 26312 del 16 dicembre 2009 (ud. del 21 ottobre 2009), la Corte Suprema ha fissato un punto fermo:

“l’affermazione di principio, formulata in termini assoluti, secondo la quale la presunzione formulata in base alla media semplice e non in base alla media ponderata non ha i requisiti di gravità precisione e concordanza, e quindi non può essere utilizzata ai fini dell’accertamento è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è motivo di discostarsi, secondo la quale il ricorso al sistema della media semplice, anzichè a quello della media ponderale, non è legittimo quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quello risultante dal ricarico medio (Cass. n. 979/2003).

In altri termini, non si può escludere a priori la valenza indiziaria del ricarico medio, in relazione alle vendite effettuate a nero, al fine ricostruire i margini di guadagno realizzato su queste ultime, a meno che il contribuente non eccepisca, o comunque non risulti in punto di fatto, che l’attività commerciale sottoposta ad accertamento abbia ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quello risultante dal ricarico medio.

In mancanza di questo presupposto, che nella specie non risulta invocato o eccepito, la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta sia uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente è del tutto legittima, a meno che non sia il contribuente a farsi carico di dimostrare di avere venduto a prezzi inferiori le merci non documentate.

Se così non fosse, il contribuente che produce e/o commercializza a nero e vende prodotti omogenei, beneficerebbe di un bonus fiscale per cui anche quando viene accertata l’attività clandestina non sarebbe possibile quantificare l’imposta dovuta.

Una sorta di premio per aver operato illegalmente, che, oltretutto, vanificherebbe ogni accertamento che porti alla luce attività occulte.

D’altra parte, a fronte della presunzione che anche la merce commercializzata a nero sia stata oggetto del medesimo ricarico di quella commercializzata ufficialmente, non sono stati prospettati validi argomenti di segno contrario, se non quello generico e non pertinente, per carenza del presupposto, della necessità di fare riferimento alla media ponderale.

Quindi, nell’accertamento tributario fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, il ricorso al criterio della media aritmetica semplice, in luogo della media ponderale è consentito quando risulti l’omogeneità della merce (circostanza la cui valutazione costituisce apprezzamento di merito, incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge) o non sia eccepita la disomogeneità (v. Cass. n. 14328/2009).

Sul piano dell’onere della prova, il presupposto della disomogeneità della merce, in relazione al quale è richiesta una prova più rigorose ed elaborata, deve essere provato, e prima ancora eccepito, dal contribuente”.

 

Rileviamo ancora sul punto che con sentenza n. 4952 del 28 marzo 2012 (ud. 9 febbraio 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il comportamento dell’ufficio che ha applicato, in sede di accertamento, la percentuale di ricarico praticata dal contribuente in un anno diverso rispetto a quello accertato.

La Corte rileva, innanzitutto, che già la CTR aveva ritenuto corretta la determinazione induttiva del reddito operata dall’Ufficio sulla base del costo del venduto nell’anno 2003 affermando di condividere i principi di cui alla sentenza di questa Corte n. 27008/2007.

Di seguito, la Corte fa propri i già affermati nella sentenza n. 5049 del 2 marzo 2011, secondo cui

“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i principi di inerenza dei dati raccolti ad un determinato e specifico periodo di imposta e di effettività della capacità contributiva escludono la legittimità della ‘supposizione della costanza del reddito’ in anni diversi da quello in cui è stata accertata la produzione, ma non precludono all’Amministrazione finanziaria di avvalersi, nell’accertamento del reddito (o del maggior reddito), di dati o notizie comunque raccolti, con la conseguenza che la percentuale di ricarico può essere legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all’esercizio in corso.

E ciò anche considerando che la CTR nulla motiva circa l’argomentazione sollevata dall’Agenzia con l’atto di appello circa la insussistenza tra il 2003 ed il 2006 di eventi significativi che potessero avere condizionato le scelte commerciali della ditta in ordine all’ammontare del ricarico”.

 

E con la sentenza n. 7645 del 2 aprile 2014 (ud. 27 gennaio 2014) la Corte Suprema di Cassazione ha confermato che

“in tema di accertamento induttivo nell’ipotesi in cui risulti una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, soltanto quando raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità (Cass. 20201/10). Inoltre, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva deve avvenire adottando un criterio che sia:

(a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame;

(b) applicato ad un campione scelto in modo appropriato;

(c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni (Cass. 3197/13)”.

 

31 luglio 2015

Roberta De Marchi