Il commercialista tra responsabilità penali e obblighi antiriciclaggio: il mancato esonero nell’ipotesi di voluntary disclosure

in caso di reati tributari del cliente, la responsabilità del consulente fiscale può essere estremamente ampia, si può essere chiamati in causa anche a titolo di concorso nei reati commessi dai clienti!

La Corte di Cassazione ritorna ad esaminare “la posizione” del commercialista, nell’ambito dell’ambito del reato dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

Il tema non è nuovo già nel settembre del 2013, con la sentenza 39873, la Corte si era espressa su questo tema.

Contrariamente alla precedente sentenza, nella sentenza n. n. 19335 del 11 maggio 2015, viene fatto espresso riferimento ad un’imputazione a titolo di concorso del professionista nello specifico “consulente fiscale delle società”.

In sentenza i Giudici, ancora una volta, evidenziano quegli indici rivelatori di frode fiscale per l’ emissione di false fatture che avrebbero dovuto fare “insospettire il professionista” come l’assenza di sedi operative adeguate, l’ inconsistenza di trattative commerciali con operatori della “cartiera” e l’ esistenza, al contempo, di rapporti diretti tra la società intracomunitaria cedente e l’effettiva cessionaria dei beni a cui si aggiungevano date estremamente ravvicinate delle operazioni, evidenza di operazioni commerciali caratterizzate dal c.d. “costo inverso”.

Non è la prima volta che la Cassazione valorizza questi elementi, in particolar modo l’assenza di una sede operativa e di una struttura, tuttavia se nella sentenza del 2013 essi avrebbero dovuto insospettire “un commercialista appena avveduto”, ora “nei confronti di un soggetto professionalmente esperto” quale viene ritenuto l’imputato “corrispondono alla piena conoscenza dell’intento fraudolento della fatturazione e del conseguente recepimento in bilancio di documenti irregolari, dal chiarissimo scopo, per i titolari della società, di frode fiscale.”

Tuttavia nel caso in esame l’elemento più pesante a carico del professionista che, a quanto si legge in sentenza, aveva curato tutti gli aspetti societari e contabili della società sin dalla sua costituzione, è “anche dopo la revoca dell’incarico dagli amministratori francesi, egli si è adoperato nel loro interesse per reperire acquirenti della società, ben consapevole da un lato che essa doveva essere abbandonata dagli originari gestori e che poteva essere utilizzata anche dai nuovi per operazioni illecite.

Appare evidente che, in questo contesto, la posizione del commercialista, rectius consulente fiscale, non potesse dirsi marginale, e, proprio per questo, la Corte ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato in quanto il professionista aveva redatto i bilanci e le dichiarazioni fiscali della società ben consapevole del ruolo “cartiera” della società.

Si deve sottolineare che, ai sensi dell’articolo 37, comma 18, D.L. 4. 07. 2006, sono stati previsti, per le società richiedenti l’attribuzione di partita IVA dal 1 novembre 2006, appositi controlli, dove gli indici più volte indicati dalla Corte di Cassazione per la classificazione delle società come “cartiere” vengono presi in considerazione, poiché, come specificato nella C.M. 4 agosto 2006, n. 28/E, trattasi di “una procedura volta a verificare la ricorrenza sostanziale dei requisiti che giustificano l’attribuzione del codice identificativo di cui trattasi e, in particolare, dell’effettivo esercizio dell’attività dichiarata”.

Non può condividersi oggi, i fatti oggetto di sentenza si riferisco agli anni 2005 e 2006, l’opinione di chi ritiene che il commercialista sia chiamato solo a contabilizzare i documenti fiscali e non a sindacare nel merito il contenuto – perché altrimenti di fatto si sostituirebbe al fisco – perché la genericità della descrizione in fattura, unita alla carenza di mezzi ed organizzazione che il commercialista/consulente è in grado di verificare sono elementi che il professionista deve valutare e considerare anche ai fini della normativa antiricilaggio alla quale lo stesso è sottoposto: le stesse comunicazioni della Banca d’Italia in particolare dell’UIF pongono sempre più attenzione ai reati tributari ed in particolare alle c.d. frodi carosello.

Va da sé che tutto questo, deve indurre il professionista ad una maggior consapevolezza e spingere lo stesso a farsi avveduto anche nei confronti del cliente.

Tuttavia, non può rilevarsi che nel momento in cui vengono previsti obblighi di segnalazione per il professionista qualora si pensi a procedure particolari, che richiedono un’assistenza qualificata, devono prevedersi le relative esimenti: il Legislatore in occasione della voluntary disclosure non ha previsto nessun esonero dagli obblighi antiriciclggio.

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili nell’audizione tenuta al Senato in data 20 novembre 2014, sul disegno di legge S. n. 1642 – da cui è scaturita la vigente disciplina -, aveva sostenuto l’opportunità che, nell’ambito del provvedimento in esame, venisse sancito espressamente l’esonero dall’obbligo di segnalazione di operazioni sospette da parte dei professionisti incaricati di assistere i propri clienti nella procedura di collaborazione volontaria.

Questo perché il professionista che assume detto incarico non può sapere, nel momento in cui viene a conoscenza di informazioni “rilevanti” ai fini antiriciclaggio, se il contribuente, una volta esaminata la sua posizione, decida di avvalersi o meno della procedura di regolarizzazione volontaria.

Sul punto, si ricorda che il Dipartimento del Tesoro (Direzione V) del Ministero dell’economia e delle finanze, con una nota del 9 gennaio 2015, ha espressamente previsto che “ L’approvazione delle norme sulla cosiddetta collaborazione volontaria non ha alcun impatto sull’applicazione delle sanzioni e dei presidi previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo che pone obblighi di collaborazione attiva strumentali alla prevenzione dei fenomeni di circuitazione di capitali di provenienza illecita.

Anche rispetto alle attività volontariamente dichiarate al fisco, che beneficiano della speciale procedura disegnata dalla legge in oggetto, resta pertanto immutato l’obbligo di attivare le procedure di adeguata verifica della clientela, incluso l’obbligo di identificazione del titolare effettivo e l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, nel caso di elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.” 1

Questa posizione è stata successivamente ribadita dal MEF a seguito di apposito quesito il 23 gennaio non ritenendo sussistente alcuna ipotesi di esonero in capo al professionista.2

Sul punto si registra la risoluzione 7/00584 presentata dai parlamentari Giovanni Sanga e Marco Causi alla commissione Finanze della Camera in data 5 febbraio 2015 per impegnare il governo a chiarire che “nel caso in cui un professionista consigli a un soggetto di non accedere alla procedura di collaborazione volontaria per l’emersione e il rientro di capitali detenuti all’estero, o comunque fornisca una consulenza circa l’eventuale adesione alla predetta procedura, preventiva rispetto all’attribuzione di un incarico professionale, a seguito della quale il soggetto stesso decida autonomamente di non accedere alla medesima procedura di voluntary disclosure, l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette a carico del professionista stesso è escluso, in virtù dell’esonero di cui all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n. 231 del 2007

Un intervento legislativo, a questo punto, si ritiene necessario, vista la posizione assunta dal Ministero, non solo per la tutela dei professionisti, ma anche per la riuscita della voluntary disclosure, vivamente caldeggiata, senza falsi pudori, dall’Agenzia della Entrate nella risposta del 25 febbraio 2015, n. 5-04814, sull’ utilizzo da parte della stessa dei dati contenuti nella c. d. “lista Falciani”.

Abbiamo a disposizione un ottimo file per la simulazione del costo della Voluntary Disclosure

19 maggio 2015

Valeria Nicoletti

1 Nello stesso senso si era espresso il Direttore della UIF nell’audizione al Senato del 25 novembre 2014 sul disegno di legge S. n. 1642.

2 Il quesito dice: “Nel caso in cui un professionista consigli al proprio assistito di non accedere alla procedura di collaborazione volontaria ovvero l’assistito decida autonomamente di non accedere alla procedura di voluntary, l’obbligo si segnalazione di operazione sospetta è escluso in virtù dell’esonero di cui all’art. 12 co. 2 del D.Lgs. 231/2007?“. E la risposta: “L’obbligo di segnalazione di operazioni sospette non si applica all’esame della posizione giuridica del cliente in relazione a un procedimento giudiziario, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento. L’esonero di cui all’art. 12 co. 2 del D.Lgs. 231/2007 non si estende quindi a tutti i casi di consulenza ma solo a quelli collegati a procedimenti giudiziari.”