BOOKMAKERS: un percorso normativo e giurisprudenziale durato 25 anni (parte seconda)

continuiamo l’analisi della normativa relativa alla raccolta di scommesse sportive: in questa seconda parte poniamo l’attenzione sulle problematiche amministrative connesse con tale attività imprenditoriale che presenta alcuni particolari e specifici profili di rischio (a cura Fabrizio Stella e Elena Galiberti)

 

Per leggere la prima parte clicca qui

 

  1. Premessa.

Il precedente intervento si concludeva affrontando il concetto di “espansione controllata” del settore dei giochi d’azzardo, un “giusto” equilibrio tra la necessità di attirare giocatori all’interno di circuiti controllati ed il fornire una alternativa economicamente attraente.

In tal senso, lo Stato, come abbiamo visto, può in modo discrezionale raggiungere gli obiettivi di tutela scegliendo alternativamente tra la concessione di diritti esclusivi ad un organismo pubblico, la cui gestione sia soggetta alla vigilanza diretta dello Stato, ovvero ad un operatore privato, sulle cui attività i pubblici poteri sono in grado di esercitare uno stretto controllo.

Esaminiamo ora l’articolata giurisprudenza amministrativa.

  1. La giurisprudenza amministrativa.

A supporto dei precedenti ragionamenti, sono intervenute le sentenze del TAR Friuli datata 28 novembre 2012, n. 449 del TAR Campania Sez. Salerno datata 31 gennaio 2013, n. 310 e soprattutto del TAR Lazio datata 20 febbraio 2013, la n. 1884.

In particolare la decisione del TAR Lazio, intervenuta nell’ambito del contenzioso con le società Stanley International Betting Limited e Stanleybet Malta Limited, è da ritenersi sia per l’ampiezza ed esaustività della motivazione, che per la provenienza della sede giudiziaria, fonte giurisdizionale primigenia cui fare riferimento.

Si rammenti, in tal senso come, ai sensi dell’articolo 9-ter del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), al TAR Lazio spetti la competenza esclusiva in materia di controversie concernente i provvedimenti sui giochi pubblici con vincita in denaro adottati dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato o dell’Autorità di polizia.

Nel dettaglio, si tratta della sentenza pronunciata a seguito dell’espletamento di una procedura di gara1 per l’affidamento in concessione di 2.000 diritti per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici, ai sensi dell’articolo 10, comma 9-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44).

Obiettivo del bando era l’eliminazione delle ragioni di discriminazione addotte da alcuni allibratori stranieri, parificando le rispettive società a tutte le altre che vogliono operare nel settore, provvedendo altresì ad aggiornare le disposizioni di cui all’articolo 24 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011), per adeguarle al contenuto della sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012 nelle cause riunite C-72/10 e C 77/10 (sentenza Costa-Cifone).

Sentenza, quest’ultima, con la quale era stata dichiarata l’incompatibilità con gli articoli 43 CEE e 49 CEE e con i principi di parità di trattamento e di effettività della normativa nazionale (cfr. art. 38, cc. 2 e 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), che protegge le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti, prevedendo distanze minime tra gli esercizi degli operatori nuovi concessionari e quelli esistenti, stabilisce l’applicazione di sanzioni per operatori non muniti di concessione o autorizzazione perché legati ad un operatore estero escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione europea, contempla la decadenza dalle concessioni in base a disposizioni, come quelle dello schema di convenzione nell’ambito delle procedure avviate nell’agosto 2006, formulate in materia non chiara, né precisa ed univoca.

In tale ambito l’amministrazione ha inteso attuare, nell’immediato e fino ad una più organica revisione della materia dei giochi, il riordino delle disposizioni riguardanti l’assetto distributivo dei giochi pubblici, estendendo la durata delle concessioni per l’esercizio delle scommesse ippiche e sportive, rinnovate nel corso del 2006, fino al 30 giugno 2016, in modo da allinearle cronologicamente a quelle affidate in esito alla gara espletata a norma dell’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto-legge n. 223 e dell’articolo 1-bis del decreto-legge n. 149 del 2008 e dare applicazione alla normativa sopravvenuta di cui all’articolo 1, comma 78, della legge di Stabilità per il 2011, relativamente all’individuazione dei requisiti di capacità finanziaria, organizzativa, tecnologica e di affidabilità morale e degli obblighi convenzionali che i concessionari per l’esercizio della raccolta dei giochi pubblici su rete fisica dovranno assumere, nonché all’articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 115); per quanto attiene alla definizione delle cause ostative all’assegnazione ed alla conservazione delle concessioni medesime.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sul proprio sito web, ha comunicato l’elenco definitivo delle società che si sono aggiudicate l’ultimo bando e, in virtù di ciò, deve ritenersi che tutte le società non ricomprese nel citato elenco e che non siano titolari di diritti concessori rilasciati nei precedenti bandi di gara, debbano considerarsi non autorizzare ad operare quindi, perseguibili ai sensi delle disposizioni contenute nella legge n. 401 del 1989.

Tale nuova scenario è stata richiamato ed argomentato dal TAR Lazio nella sentenza n. 1884 del 20 febbraio 2013, della quale si riportano di seguito alcune delle principali affermazioni, necessarie alla comprensione della posizione assunta dalla favorevole giurisprudenza in argomento ed all’interpretazione della normativa in materia.

Innanzitutto, la portata delle citate sentenze della Corte di Giustizia ha effetti, quanto alla posizione delle società ricorrenti rispetto all’ordinamento italiano, solo con riguardo alla non applicabilità delle sanzioni penali per l’esercizio del gioco nei confronti di loro esponenti aziendali o titolari dei CTD in quanto illegittimamente esclusa dalle precedenti gare a causa di una disciplina riconosciuta contraria ai principi del Trattato, senza che venga in alcun modo scalfito il sistema italiano che prevede una concessione governativa ed una autorizzazione di polizia, da ritenere non in contrasto con il diritto comunitario (sentenza TAR Lazio, pag. 48 e segg.).

Non viene, quindi, affermata, nelle citate pronunce della Corte di Giustizia, la conformità al diritto interno italiano del modus operanti della Stanley attraverso i propri CTD, alla quale non è riconosciuta alcuna esenzione dall’assoggettamento alla disciplina interna basata su detti atti concessorio ed autorizzatorio, che non possono considerarsi irragionevolmente limitativi della libertà di stabilimento e di esercizio dell’attività economica risultanti (sentenza TAR Lazio, pag. 49 e 53).

Infatti, nel settore non vi è armonizzazione comunitaria, sicché le notevoli diversità delle normative dei vari Stati membri consentono che ciascuno di essi possa legittimamente ritenere non sufficienti i controlli cui l’operatore estero soggiace in altro Paese dell’Unione e che lo facoltizzano allo svolgimento di operazioni transfrontaliere, non essendo contraria ai principi dell’Unione l’imposizione di specifici e ulteriori meccanismi di controllo e di abilitazione, purché giustificati da motivi imperativi di interesse generale e a condizione che siano rispettati i criteri di effettiva finalizzazione, proporzionalità ed effettività, equivalenza e non discriminazione (idem. Pag. 50).

Conseguentemente, non può essere sostenuta alcuna sottrazione delle società ricorrente al regime italiano alla luce delle pronunce della Corte di giustizia, poiché, da queste ultime, discende il solo effetto della esclusione, per il passato, della punibilità per i soggetti che non hanno potuto ottenere la concessione in ragione della contrarietà al diritto comunitario di taluni profili della normativa nazionale disciplinante le relative gare di affidamento.

L’articolo 88 del TULPS non risulta contrario al diritto comunitario e non è suscettibile di alcuna disapplicazione automatica nel punto in cui subordina il rilascio della licenza di polizia al possesso della concessione governativa, tenuto altresì conto che l’eventuale disapplicazione determinerebbe una situazione di ingiustificato privilegio a favore della società ricorrente e a danno delle imprese che operano nel rispetto del regime concessorio/autorizzatorio nazionale (sentenza TAR Lazio, pag. 53).

Una volta indetta una nuova gara per l’affidamento di nuove concessioni, le società ricorrenti sono state poste in grado di competere con gli altri concorrenti al fine di ottenere le necessarie concessioni per poter esercitare, in Italia, le attività di gioco alle medesime condizioni cui sono sottoposti tutti i soggetti, anche se appartenenti ad altri Stati membri dell’Unione.

Si estende, quindi, nei loro confronti, l’assoggettamento all’ordinamento interno, anche sotto il profilo sanzionatorio atteso che, da un lato, la nuova disciplina di gara sottesa all’affidamento di concessioni di gioco ha eliminato, in coerente applicazione con le indicazioni comunitarie, i profili di ritenuta incompatibilità comunitaria della precedente regolamentazione, e, dall’altro, le condizioni di non punibilità affermate dalla Corte di Giustizia valevano unicamente per il periodo anteriore all’indizione di una nuova gara e all’attribuzione di nuove concessioni, non avendo la stessa Corte in alcun modo pienamente legittimato le attività svolte dalle società ricorrenti in Italia attraverso i CTD (sentenza TAR Lazio, pag. 54 e segg.);

D’altra parte, non può riconoscersi, in capo alle stesse società, una posizione giuridica che le autorizza ad operare, successivamente all’indizione della nuova gara, sulla base delle modalità operative e gestionali sinora attuate, né esse possono ritenersi esenti per un tempo indefinito dall’assoggettamento alla disciplina interna ormai divenuta conforme ai principi comunitari, quasi fossero titolari di un “bonus”, equivalente ad una concessione italiana, da riscuotere in qualsiasi momento (V. sentenza TAR Lazio, pag. 57 e segg. nonché, in particolare, la sentenza TAR Friuli V.G.);

In ogni caso, l’eventuale contrasto, sostenuto dalle imprese ricorrenti, tra le regole nazionale e quelle comunitarie lederebbe gli eventuali concessionari e non coloro che, proponendosi quali intermediari di queste nella raccolta delle scommesse, devono far riferimento comunque ad un concessionario (V. sentenza TAR Friuli V.G.)

Più in generale, si deve rammentare che il quadro giurisprudenziale è altresì completato dalla sentenza n. 712/2012, dell’11 aprile 2012, con la quale il TAR per la Puglia, Sez. II, ha altresì affermato che la questione relativa alla legittimità, anche comunitaria, degli atti di gara andava dedotta in sede di ricorso avverso il relativo bando e che, in sede di impugnazione del diniego di licenza da parte del Questore, non può formare oggetto di cognizione la questione afferente la legittimità della procedura di gara, attesi i vincoli derivanti dal doveroso rispetto delle regole proprie del processo di impugnazione, in specie con riguardo alla non valutabilità incidenter (altre che d’ufficio) dei profili di illegittimità, anche comunitaria, degli atti adottati nel contesto di procedure del tutto autonome e diverse.

  1. Quadro attuale

All’indomani della sentenza del TAR Lazio, la più volte richiamata Stanleybet adì il Consiglio di Stato affinché lo stesso si pronunciasse sulla violazione degli articoli del TFUE sulla libertà di stabilimento, in riferimento al contenuto del nuovo bando AAMS cui la stessa non aveva partecipato ed in particolare chiese al Consiglio di pronunciarsi sulla eventuale incompatibilità della durata delle concessioni concesse da AAMS con i principi comunitari.

Il Consiglio di Stato in merito decise di rinviare la questione di interpretazione alla Corte di Giustizia.

Parimenti all’esito di controlli effettuati da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di alcuni CED irregolari i titolari dei punti interessati adirono la Corte di Cassazione in merito alle violazioni al TULPS riscontrate ed alla incompatibilità del nuovo bando AAMS con i principi contenuti negli articoli TFUE, chiedendo la possibilità di disapplicare la normativa nazionale in nome di una non sanata violazione nei confronti del TFUE da parte del nuovo concorso AAMS.

La Suprema Corte rinviava alla decisione della Corte europea la parte inerente la presunta violazione degli articoli TFUE in merito alla durata delle concessioni mentre manteneva fermo il principio riferito alla obbligatorietà da parte del concessionario di dotarsi di autorizzazione di PS.

Nel contempo molti procedimenti penali avviati per mancanza dei requisiti ai sensi del TULPS venivano sospesi in attesa della pronunzia della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

In data 22 gennaio 2015 la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Terza Sezione), si è pronunciata in merito alla causa C-463/13 avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta dalla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato con decisione del 2 luglio 2013, nel procedimento Stanleybet International Betting Ltd Stanleybet Malta Ltd, contro Ministero dell’Economia e delle Finanze ed Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato.

Alla presenza di rappresentanti di SNAI SpA, Lottomatica Scommesse Srl, Sisal Match Point SpA, Avvocati dello Stato italiano, belga, portoghese e rappresentanti della Commissione europea la Corte ha adottato una decisione in riferimento ai due quesiti sottopostigli inerenti, ovvero se:

  • l’interpretazione degli articoli 49 e 56 del TFUE ed i principi affermati dalla Corte nella sentenza Costa Cifone vadano interpretati nel senso che essi ostano a che vengano poste in gara concessioni di durata inferiore a quelle in passato rilasciate, laddove la detta gara sia stata bandita al fine di rimediare alle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare;

  • gli articoli 49 e segg. e 56 e segg. TFUE ed i principi affermati dalla Corte nella medesima sentenza vadano interpretati nel senso che essi ostano a che l’esigenza del riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni costituisca giustificazione causale adeguata di una ridotta durata delle concessioni poste in gara rispetto alla durata dei rapporti concessori in passato attribuiti

La Corte in merito al primo quesito ha evidenziato come mentre nella prima sentenza Costa Cifone si era resa necessaria la disamina della normativa nazionale in riferimento ai principi della trasparenza e della certezza del diritto, tale disamina non si rendeva ora necessaria in quanto in base a quanto espresso dal giudice del rinvio la stessa si connotava, questa volta, per avere una grado di chiarezza sufficiente e la stessa risulta formulata in modo chiaro preciso ed univoco.

A fronte delle doglianze espresse dalle ricorrenti in merito a presunte violazioni riferibili al rispetto del principio di parità di trattamento, la Corte ha precisato come non potesse decidere in merito ad una normativa nazionale dichiarata dal giudice del rinvio quale normativa ove le disposizioni:“… non mancano più chiarezza, riguardano tutti i partecipanti, compresi i precedenti concessionari, e trovano applicazione anche alle precedenti concessioni già in essere, senza concedere agli operatori esistenti ‘ulteriori’ vantaggi concorrenziali…”.

La Corte ha, inoltre, precisato che:“Peraltro, si deve prendere in considerazione altresì il fatto che, come risulta dalla decisione di rinvio, le ricorrenti nel procedimento principale operano in territorio italiano tramite i CTD da circa quindici anni senza essere in possesso di titoli concessori e senza autorizzazione di polizia, sicché non possono essere propriamente qualificate come ‘nuovi entranti sul mercato’”.

In conclusione quindi si afferma il pieno rispetto dei principi di parità di trattamento e di effettività del risultato garantito.

In merito alla presunta violazione degli articoli 49 e 56 del TFUE la Corte ha, poi, ribadito come effettivamente una normativa di uno Stato membro che subordina l’esercizio di una attività economica all’ottenimento di una concessione costituisce essa stessa un vincolo alle libertà fondamentali garantite dai precitati articoli, ma a parere della Corte nel caso di specie e in riferimento alla peculiarità della materia trattata non ha ritenuto possibile considerare la normativa di specie in senso derogatorio.

Difatti la materia del gioco d’azzardo secondo quanto richiamato dalla Corte può giustificare una normativa stringente per “…motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco…”.

Questo principio unito ad un richiamo espresso circa l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata a tali giochi si qualifica secondo la Corte come idoneo a giustificare eventuali restrizioni della libertà fondamentali, ed in tale ottica è stato valutato il “motivo imperativo di interesse generale” addotto dalle Autorità italiana in merito alla differente durata delle concessioni.

La Corte, dunque, ribadisce come, nello specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un “…ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le esigenze che la tutela del consumatore e dell’ordine sociale comporta…”, lasciando ampia facoltà ad ogni singolo Stato membro di decidere se e come autorizzare o vietare le attività riconducibili ai giochi ed alle scommesse.

La Corte conclude con il seguente dispositivo: “Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di trattamento e di effettività devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che preveda l’indizione di una nuova gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni.”.

 

Possiamo quindi definire la questione chiusa definitivamente?

Chi scrive è molto combattuto nel fornire una risposta netta, difatti da un lato la questione parrebbe essere stata ampiamente sviscerata dalla Corte di Giustizia e chiara appare anche la posizione della giurisprudenza amministrativa, tuttavia occorre (forse) riflettere ulteriormente sulla natura della sentenza stessa, potendo ragionevolmente apparire come una mera riedizione di principi comunitari, non entrando nel merito dell’attività in concreto svolta.

30 aprile 2015

Fabrizio Stella e Elena Galiberti

1 Vedasi il bando di gara n. 2012/S 145-242654, pubblicato sulla G.U. 5^ serie speciale – Contratti pubblici – n. 88 del 30 luglio 2012.