Le operazioni delle società sportive dilettantistiche nei confronti degli associati

le società di capitali non lucrative, esercenti attività sportive dilettantistiche, si caratterizzano per il fatto che i frequentatori degli impianti (gli sportivi dilettanti) non sono soci non detenendo, solitamente, alcuna quota di partecipazione in seno alla società sportiva

 

La legge n. 289/2002 (Finanziaria del 2003) ha previsto per la prima volta espressamente la possibilità di costituire una società di capitali senza scopo di lucro a condizione di esercitare un’attività sportiva dilettantistica.

La novità è stata a suo tempo apprezzata e consente agli amministratori di operare con tranquillità trovando applicazione il principio secondo cui non si risponde con il patrimonio personale dei debiti contratti dalla società non lucrativa. Viceversa, nell’ambito delle associazioni sportive dilettantistiche gli amministratori (componenti del consiglio direttivo) che hanno agito sono solidalmente responsabili dei debiti contratti dall’associazione anche con il patrimonio personale.

In tale ipotesi i creditori, ivi compreso il Fisco, non sono obbligati ad escutere preventivamente il patrimonio del debitore, ma possono agire indifferentemente nei confronti dell’associazione o degli amministratori senza che sussista alcuna priorità.

 

La costituzione delle società di capitali non lucrative presenta, quindi, il vantaggio della limitazione della responsabilità. Si è posto però il problema, se a fronte di tale vantaggio l’adozione di questa forma giuridica potesse determinare la perdita delle agevolazioni fiscali previste per gli enti di tipo associativo. I dubbi principali riguardavamo l’applicazione dell’art. 148 del TUIR avente ad oggetto la decommercializzazione di talune prestazioni di servizi.

Si tratta delle prestazioni di cui al comma 3 dell’articolo 148 citato. La disposizione prevede che “non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamenti di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali…”.

L’applicazione della disposizione sopra riportata è subordinata alla circostanza che le “società sportive” recepiscano all’interno dei propri statuti le clausole di cui al successivo comma 8. Tuttavia, le indicazioni previste da tale comma sono state concepite per gli enti di tipo associativo e devono essere “adattate” al fine di sostenere l’applicabilità dell’art. 148 in rassegna anche nei confronti delle società non lucrative.

In particolare, l’operazione può risultare difficile per ciò che riguarda la clausola di cui al comma 8, lettera c. Secondo la disposizione citata lo statuto deve prevedere la “disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione”.

Le società di capitali non lucrative, esercenti attività sportive dilettantistiche, si caratterizzano per il fatto che i frequentatori degli impianti (gli sportivi dilettanti) non sono soci non detenendo, solitamente, alcuna quota di partecipazione in seno alla società sportiva. Conseguentemente, in questa situazione, cioè in mancanza dello status di socio, gli sportivi non possono partecipare all’assemblea dei soci al fine di eleggere gli amministratori. Secondo un’interpretazione letterale della disposizione, che individua la “clausola in commento, le società sportive aventi forma giuridica di società di capitali non lucrative non potrebbero mai applicare l’art. 148 del TUIR. La possibilità di non considerare commerciali le prestazioni effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici sembra circoscritta ai servizi resi nei confronti degli sportivi che, oltre a frequentare gli impianti, siano allo stesso tempo anche soci della medesima società. In base a questa interpretazione rigorosa la possibilità di limitare la rilevanza commerciale dei compensi sarebbe circoscritta ad un numero molto limitato di casi.

 

L’Agenzia delle entrate, invece, ha interpretato la normativa meno rigorosamente ritenendo che l’art. 148 del TUIR fosse applicabile anche nei confronti dei soggetti che frequentano l’impianto sportivo (gli atleti dilettanti) pur non detenendo alcuna quota di partecipazione e quindi nella concreta impossibilità di esprimere il proprio voto nell’assemblea dei soci.

Il chiarimento è stato fornito con la Risoluzione n. 38/E del 17 maggio 2010. In particolare, è stato precisato che “Con riferimento alle attività effettuate dalle società sportive dilettantistiche nei confronti dei frequentatori e/o praticanti che non rivestono la qualifica di soci, si ritiene che la disposizione agevolativa” di cui al combinato disposto dell’art. 148 Tuir e 4 dpr. 633/72 “si applichi a condizione che i destinatari delle attività risultino tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (Coni, Federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva).”

 

Pertanto, il rapporto di tesseramento equivale nella sostanza al vincolo associativo o, nel caso delle società di capitali, alla qualifica di socio. I corrispettivi relativi alle prestazioni rese da una società a responsabilità limitata dilettantistica nei confronti di tesserati non soci non sono commerciali ai sensi dell’art. 148 in rassegna. Viceversa sono commerciali i corrispettivi conseguiti con le medesime prestazioni rese nei confronti dei frequentatori dell’impianto sportivo non tesserati.

 

7 novembre 2014

Nicola Forte