Se i dipendenti costano troppo…

se il costo di dipendenti e collaboratori è così elevato da ritenere la gestione d’impresa antieconomica l’onere della prova diversa si sposta sull’imprenditore?

Con la sentenza n. 12167 del 30 maggio 2014 (ud 13 marzo 2014) la Corte di Cassazione, nel confermare che la presenza di scritture contabili formalmente regolari, non esclude l’utilizzo di presunzioni semplici, purchè gravi, precisi e concordanti, ha ritenuto sussistente l’antieconomicità, ove i risultati reddituali mediamente negativi non trovano giustificazione.

 

Il fatto

La controversia trae origine da avviso di accertamento col quale l’Amministrazione Finanziaria ha proceduto alla rideterminazione dei ricavi dichiarati nei confronti di una società, esercente l’attività di laboratorio di analisi cliniche.

Si legge nella sentenza della Suprema Corte che, “a fondamento dell’accertamento induttivo veniva posta la anomala situazione reddituale della società la quale, per cinque annualità consecutive dal 1994 al 1998 aveva realizzato un risultato di esercizio negativo, o al più modestamente positivo, continuando, tuttavia, a movimentare una notevole entità di risorse economiche, finanziarie ed umane, avvalendosi di molteplici lavoratori dipendenti e di collaboratori autonomi”.

La sentenza

La Corte, in apertura, ha ribadito il principio secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confligente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, (di recente Cass. n. 14941/2013; id n. 6929/2013; id n. 7871/2012; id n. 2616/2011 ed, in termini, Cass. n. 21536/2007 la quale ha puntualizzato che ‘la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonchè una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 660 del 1973, art. 39, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate“).

Nel caso di specie, osserva la Corte, “– in un contesto fattuale, non contestato, in cui, malgrado i risultati reddituali mediamente negativi, la Società ha mantenuto elevati costi per personale dipendente ed autonomo – l’accertamento compiuto dall’Ufficio appare legittimo laddove, al contrario, le circostanze dedotte dalla contribuente (ovvero che, nella specie, l’antieconomicità sarebbe data esclusivamente da una redditività negativa non significativa) appaiono inidonee al fine di escludere l’applicabilità alla fattispecie dei superiori principi, i quali sono stati completamente disattesi dalla Commissione Regionale”.

 

Le nostre riflessioni

La sentenza che si annota si pone sulla scia di precedenti pronunciamenti che hanno legato la presunzione di cui all’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/731, alla cd. antieconomicità, a fronte di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, spostando sull’imprenditore l’onere della prova diversa.

Infatti, con la sentenza n. 16642 del 29 luglio 2011 (ud. del 9 marzo 2011) la Corte di Cassazione aveva ritenuto che il comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività dell’impresa legittimasse l’Amministrazione finanziaria all’accertamento analitico induttivo. “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, i ricavi possono essere ritenuti falsi in base alla loro sproporzione per difetto rispetto ai costi, ed in tale contesto è ammissibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente, per ricostruire i ricavi effettivi; trattasi, in tal caso, non già di accertamento induttivo ‘tout court’, ma di accertamento analitico-induttivo, che è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione (in termini, ex plurimis, v. Cass. 31.10.2005, n. 21165)”. In tal caso “in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie” (v. Cass. 8.7.2005, n. 14428; cfr. 16.1.2009, n. 951; 26.11.2007, n. 24532; 5.10.2007, n. 20857; 18.5.2007, n. 11559).

E con la sentenza n. 26167 del 6 dicembre 2011 (ud. 6 luglio 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che la presenza di scritture contabili formalmente regolari non preclude all’Amministrazione Finanziaria di procedere, legittimamente, all’accertamento analitico induttivo dei ricavi (o del reddito d’impresa) dichiarati da un contribuente che, nel corso dell’esercizio controllato, abbia posto in essere un comportamento palesemente antieconomico, con il “conseguente spostamento dell’onere della prova a carico di quest’ultimo, il quale, dal canto suo, deve validamente motivare quelle scelte imprenditoriali non in linea con i criteri di economicità (cfr. per tutte Cass. n. 398/2003; n. 6337/2002)”.

In senso confermativo segnaliamo ancora la sentenza della Corte di Cassazione n. 1839 del 29 gennaio 2014 (una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia aziendale, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni. In difetto, sarà pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del D.P.R. n. 633/72, anche mediante il ricorso ai parametri presuntivi di cui all’art. 3 L.549/95 (Cass. 6918/13; 11599/07)”), e l’ordinanza, sempre della Cassazione, n. 9716 del 6 maggio 2014 – ud 2 aprile 2014: In tema di imposte sui redditi, inpresenza di un comportamento assolutamente contrario ai canonidell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, èlegittimo l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 1, lett. d); ad un tale riguardo il giudice di merito, per poter annullarel’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni perle quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento delcontribuente non sia sintomatico di possibili violazioni didisposizioni tributarie (Cass. n.10802/2002, n.1821/2001)”.

4 agosto 2014

Gianfranco Antico

1 Secondo il pensiero costante della Corte di Cassazione (cfr., fra le altre, Cass., Sez.I, Sent. del 28 agosto 1996, n.7931), il procedimento presuntivo consiste nella interpretazione di un fatto certo – in quanto pacificamente riconosciuto o acclarato dal giudice attraverso i mezzi di prova legittimamente acquisiti, o desumibili dalle nozioni di fatto che rientrano nell’ambito della comune esperienza – per risalire ad un fatto ignoto, che costituisce in se stesso oggetto del thema probandum e che viene ritenuto provato in quanto correlato con logica conseguenzialità al primo. Devesi tener presente al riguardo: che gravi sono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e come tali resistenti alle possibili obiezioni, precisi sono quelli dotati di specificità e concretezza e non suscettibili di diversa altrettanto (o più) verosimile interpretazione, e concordanti sono quelli non confliggenti tra loro e non smentiti da altri dati ugualmente certi. In altre parole, la gravità dell’elemento indiziario ne esprime la capacità dimostrativa in funzione del tema della prova, la precisione risponde a una esigenza di univocità, e la concordanza soddisfa la necessità di una valutazione integrata e complessiva di tutti gli elementi che presentino singolarmente una almeno parziale rilevanza probatoria positiva. Peraltro, non si richiede che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo sufficiente invece che, alla luce delle regole di esperienza e secondo l’id quod plerumque accidit, il fatto ignoto sia desumibile alla stregua di un canone di probabilità con riferimento a una connessione di accadimenti ragionevolmente verosimile in base a un criterio di normalità”.