Il nero fatto dal dentista

come è oramai noto, il rinvenimento di documenti ‘extracontabili’ rende possibile per il Fisco procedere ad accertamento induttivo: il caso della ricostruzione del reddito del dentista

Con la sentenza n. 20492 del 6 settembre 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’accertamento dell’ufficio fondato su brogliacci rinvenuti, che celavano il “ nero” del dentista.

 

LA SENTENZA

La Corte, innanzitutto, ribadisce il consolidato principio secondo il quale, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi (così come dell’IVA), la ‘contabilità in nero’, o ‘parallela’, costituita da appunti personali (brogliacci, block notes, agende, ecc.) ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 (e, per l’IVA, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetali, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta; ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39 (e 54), incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr., tra le altre, Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, 24051 del 2011, 8625 del 2012)”.

Nel caso di specie, è stato accertato dal giudice di merito che il contribuente non ha addotto alcun elemento probatorio “che possa ricondurre quanto indicato nelle annotazioni reperite presso la sua abitazione a spese di carattere personale“, laddove, anzi, i riscontri operati dalla Guardia di finanza “lasciano chiaramente intendere che trattasi di annotazioni afferenti compensi percepiti e non contabilizzati“; ha aggiunto, quindi, che le dette annotazioni “sono riconducigli all’attività professionale esercitata dal contribuente“, costituendo “elementi gravi, precisi e concordanti ex art. 2729 c.c. su cui fondare l’accertamento“, a fronte dei quali il contribuente stesso “non ha offerto prova alcuna” per vincere la presunzione.

 

Analisi

Come abbiamo avuto modo di vedere in nostri precedenti interventi, la posizione della Corte di Cassazione è ormai consolidata.

  • Con la sentenza n. 5947 del 12 marzo 2009 (ud. del 12 febbraio 2009) la Corte di Cassazione ha osservato “che, se il verbale, che il giudice tributario aveva il diritto di esaminare, non era stato allegato all’atto impositivo dall’Ufficio, che ne aveva il dovere, il giudice stesso avrebbe potuto chiederne l’esibizione, dall’altro, rilevava che i dati emergenti dagli appunti, dalle agende e dai brogliacci non rappresentassero elementi gravi, precisi e concordanti che legittimassero la rettifica dei ricavi”. Per la Corte, il ricorso dell’Amministrazione fiscale si rivela manifestamente fondato, dovendosi confermare il consolidato orientamento, secondo cui gli “appunti riportati su agende” costituiscono adeguato mezzo di prova. Infatti, “la cosiddetta contabilità ‘in nero’, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dell’art. 39 d.p.r. n. 600 del 1973 (sentenze n. 17627 del 2008; n. 1987 del 30 gennaio 2006; 6 settembre 2001 n. 11459). Deve ritenersi, cioè, che tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 seguenti vanno ricompresi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta”. Inoltre, ribadisce la Cassazione, “spetta al contribuente fornire prove in senso contrario (Cass. 1° dicembre 2006 n. 25610; Cass. 8 settembre 2006 n. 19329; Cass. 20 dicembre 2003 n. 19598). Nel caso di specie, gli elementi posti a base dell’accertamento, legittimamente effettuato a norma dell’art. 39 d.p.r. n. 600/73, sono stati ritualmente portati a conoscenza della contribuente attraverso la notifica del p.v. di verifica; mentre la sussistenza e la natura di detti elementi comportavano che incombeva alla contribuente fornire la prova contraria, con conseguente rispetto dei requisiti dell’atto impositivo e della disciplina dell’onere probatorio”.

  • Con la sentenza n. 15536 del 2 luglio 2009 (ud. del 29 aprile 2009) la Corte ha confermato i principi finora espressi in precedenti pronunce sul valore indiziario dei brogliacci: “la presenza di una contabilità formalmente regolare non impedisce l’accertamento in rettifica dell’Ufficio operato in base a metodo logico induttivo quando in virtù di valutazioni di congruità fondato su presunzioni gravi precise e concordanti la suddetta contabilità risulti affetta da incompletezze, inesattezze, infedeltà tali da giustificare il motivato uso del potere di rettifica (Cass. nn. 5977/07, 2613/07)”.Infatti “il rinvenimento di una contabilità informale riportata su un brogliaccio in uno ad agende – calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari etc. rappresenta un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo (Cass.n.6949/06)”.

  • Con la sentenza n. 17365 del 24 luglio 2009 (ud. dell’8 maggio 2009) la Corte ha ritenuto che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una “contabilità parallela” legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo. Infatti, la cd. contabilità “in nero“, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore ovvero come nella specie in indicazioni contenute in floppy disk, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge. Di conseguenza, si ribalta sul contribuente l’onere della prova: “spetta invero al contribuente, in tale ipotesi, fornire prova contraria ”. Nel caso in esame, alla stregua delle emergenze dalla documentazione concernente “n. 1413 pratiche relative a visure immobiliari svolte nell’esercizio di impresa nei confronti dei vari committenti” ed i “dati nominativi rilevati da floppies disk in possesso della ditta” nonché quelli “desunti presso la conservatoria dei RR.II. di Av.”, incombeva allora alla società contribuente odierna controricorrente fornire la prova contraria idonea a vincere la prova presuntiva a suo sfavore. Nessun elemento risulta tuttavia dall’impugnata sentenza essere stato al riguardo in contrario dalla medesima dedotto e provato, e pertanto il giudice è tenuto a ritenere sussistente quanto oggetto di prova presuntiva (v. Cass., 27/11/1999, n. 13291).

  • Con la sentenza n. 23585 del 6 novembre 2009 (ud. del 2 ottobre 2009) la Corte di Cassazione ha confermato il suo indirizzo in materia di brogliacci. In ordine all’attendibilità della documentazione extra contabile viene richiamata la giurisprudenza della Corte “che ha ritenuto la piena attendibilità di un brogliaccio (ma anche di agende, calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini IVA (Cass., 15.5.92, n. 5786) ed ha affermato che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante della esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale e, perciò, l’Amministrazione Finanziaria può procedere ad accertamento induttivo (v., per tutte, Cass. civ. sent. n. 6949 del 2006)”.Nè, peraltro, nella specie, è stato violato il principio del contraddittorio o il diritto di difesa della contribuente, garantito dall’art. 24 Cost., dato che nel testo del ricorso si fa più volte riferimento ai fatto che le risultanze della verifica eseguita presso lasocietà A.C., della quale M.M.G., attuale resistente, era concessionaria della vendita in esclusiva dei prodotti, erano state trasfuse nel p.v.c. della ditta odierna intimata anche in contraddittorio con la stessa.

  • Con la sentenza n. 23185 del 17 novembre 2010 (ud. del 7 ottobre 2010), la Corte di Cassazione ha rilevato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero“, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e segg. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onero di fornire la prova contraria (V. pure Cass. nn. 19329/2006, 19598/2003)”.Inoltre, la sentenza ritiene che “il ritrovamento, da parte della Guardia di finanza, nei locali dell’impresa che aveva stretti rapporti commerciali con il soggetto sottoposto a verifica, di una ‘contabilità parallela’ a quella ufficialmente tenuta dalla stessa, sottoposta pure a verifica fiscale, legittimava, di per se, il ricorso al c.d. accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 2 e 3 a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento (Cfr. anche Cass. nn. 1575/2007, 7045/1999)”.Invero in tema di I.V.A., o di imposte dirette, “l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non violadisposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, e che l’art. 54, comma 2, del citato D.P.R. dispone che gli Uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di ‘verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti’ (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4) (Cfr. anche Cass. nn. 10205/2003, 9100/2001)”.

 

8 novembre 2013

Francesco Buetto