Elementi di prova per le cessioni intracomunitarie: i rifornimenti di carburante all'estero

in caso di contestazione dell’effettiva esistenza delle operazioni intracomunitarie, anche gli attestati di rifornimento di carburante presso una stazione stradale estera possono costituire prova del trasferimento effettivo della merce da uno Stato membro all’altro

Regime di prova delle cessioni intracomunitarie – Premessa

cassazione reato indebita compensazioneCon la corposa sentenza 19747 del 28 agosto 2013, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del regime di prova delle cessioni intracomunitarie.

Sebbene la pronuncia sia stata forse sottopesata dagli addetti ai lavori, essa costituisce un valido strumento operativo per i contribuenti che effettuano operazioni intracomunitarie, atteso che nella parte motiva viene delineata una vera e propria guideline che può assistere passo a passo gli operatori nella corretta predisposizione delle transazioni, al fine di evitare possibili contestazioni postume del Fisco.

 

 

La cessione intracomunitaria

L’articolo 41, comma 1, del DL 331/1993 – nel riprendere il testo della Direttiva della Comunità Europea del 17 maggio 1977 n. 388 (Sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari.

Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme), oggi rifusa nella Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – stabilisce, alla lettera a) del primo comma, che costituiscono cessioni non imponibili le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta.

Come rilevato anche nella giurisprudenza della Corte UE1, gli elementi costituivi della cessione intracomunitaria sono:

  1. il trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario;
  2. la spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro (diverso da quello del soggetto cedente);
  3. l’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente.
    Quest’ultimo elemento comporta “un movimento fisico di un bene da uno Stato membro verso un altro” e non consente alcuna ipotesi surrogatoria di tipo virtuale, quale, ad esempio, l’intenzione delle parti espressa in un accordo o convenzione di effettuare detto trasferimento: in proposito è stato ripetutamente affermato dal Giudice comunitario che le nozioni di cessione ed acquisto nelle operazioni intracomunitarie “hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi”, essendo contrario al principio di certezza del diritto ed agli scopi della direttiva ogni indagine psicologica sulla “effettiva volontà” del soggetto passivo.

 

 

Il caso della frode del cessionario

La controversia esaminata dagli Ermellini, con la pronuncia odierna, riguarda una srl che aveva ceduto dei beni ad una società tedesca con sede in Germania.

Il trasferimento della merce sarebbe avvenuto, secondo la srl, mediante corriere, a cui era stata affidata la spedizione.

A conferma di ciò, tuttavia, l’operatore italiano allegava soltanto i buoni di consegna della merce al predetto corriere, che, come osservato dai giudici, dimostravano soltanto che i beni erano stati affidati allo spedizioniere, ma non che avessero effettivamente lasciato il territorio dello Stato.

La contestazione del Fisco, non a caso, era proprio relativa all’assenza di trasferimento delle merci, atteso che era emerso nel corso delle attività ispettive che il cessionario tedesco, di fatto, operava in Italia presso i locali di un’altra società.

La srl cedente si difendeva, però, affermando che non avrebbe potuto sapere che si trattava di una frode poste in essere dal cessionario e che, invero, l’esistenza dei buoni di consegna e dei pagamenti della merce proveniente da banche tedesche erano sufficienti a dimostrare la sua buona fede.

 

 

Esimente della “buona fede” con prova rigorosa

La Cassazione ha ricordato che, in base alla giurisprudenza comunitaria, se i documenti probatori esibiti dal cedente appaiono “prima facie” sufficienti a dimostrare il trasferimento dei beni, non può farsi gravare sul cedente l’imposta evasa, a condizione che questi abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere alfine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode2.

In sostanza, il cedente, per poter invocare la propria buona fede, deve dimostrare di aver adottato tutte le misure possibili per controllare che la merce fosse effettivamente spedita fuori del territorio dello Stato membro.

Ne consegue che, nel caso in cui sia accertato che la merce venduta non ha subito movimentazione intracomunitaria, la disciplina dell’art. 28-quater della direttiva 77/388/CEE, e successivamente dell’art. 138 par. 1 della direttiva 2006/112/CE, non osta a che il beneficio del diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria sia negato al venditore, purché sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che quest’ultimo non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in materia di prova (e dunque non ha fornito alcun documento “prima facie” attestante l’eseguito trasferimento materiale dei beni dallo Stato membro di partenza quello di destinazione) o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente (estraneità alla frode ed ignoranza incolpevole indispensabili per comprovare la buona fede) o non ha adottato tutte le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere (non ha osservato il grado di diligenza richiesto nel caso concreto ad un operatore) per evitare la propria partecipazione a detta evasione3.

 

 

Prova del transfer mediante attestati di rifornimento di carburante

Nel caso della pronuncia in commento, la Commissione tributaria regionale, secondo la Suprema Corte, si era effettivamente attenuta ai principi comunitari sopra esposti, stabilendo che:

  • in presenza di accertata frode dell’acquirente, l’estraneità del cedente non assolve quest’ultimo, per ciò solo, dall’obbligo d’imposta, occorrendo dimostrare con ulteriori prove la effettività della operazione intracomunitaria, ai fini dell’esenzione dall’imponibilità;

  • in particolare nella ipotesi di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente non assolve al proprio onere probatorio con la mera presentazione della lettera di vettura, ma per provare il diritto alla esenzione IVA deve produrre un diverso documento rappresentativo della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione.

 

A quest’ultimo proposito, è stato osservato che, ai fini della prova del transfer delle merci:

  • potrebbe essere esibito, ad esempio, il documento di scarico della merce, redatto secondo i modelli predisposti per il trasporto internazionale, sottoscritto dal destinatario;

  • potrebbe altresì essere fornita la prova anche mediante “fatti secondari”, dai quali desumere la presenza fisica delle merci in territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente il cedente: ad esempio, nel caso di trasporti stradali, le ricevute di pagamento – recanti data, timbro ed indicazione del chilometraggio dell’automezzo – sottoscritte dal titolare della stazione di rifornimento carburante che risulti ubicata fuori del territorio di partenza ovvero nel territorio di destinazione delle merci.

 

La disponibilità della documentazione necessaria ai fini della prova del trasferimento delle marce potrebbe dipendere anche da soggetti terzi, i quali potrebbero anche non collaborare, rendendo indisponibili i documenti.

La Cassazione ha stabilito che, in tal caso, il cedente dovrà allora fornire adeguata prova:

  1. di aver espressamente dedotto in obbligazione nei contratti stipulati con il vettore, spedizioniere, cessionario, l’obbligo di consegna del documento in questione;

  2. di aver richiesto inutilmente l’adempimento di tale obbligazione, esperendo ove necessario le opportune iniziative giudiziarie;

  3. di non essere stato in grado di acquisire alcun altra documentazione neppure da soggetti diversi dal vettore e cessionario (eventualmente la società assicuratrice con la quale ha stipulato polizza assicurativa del carico).

 

 

Al Fisco basta un indizio per soddisfare l’onere probatorio

Dai fatti di causa relativi alla controversia in oggetto emerge che la srl cedente aveva fornito soltanto i buoni di ritiro della merce da parte degli spedizionieri, nonché i documenti comprovanti l’avvenuta verifica del codice identificativo Iva della società cessionaria tedesca. La Suprema Corte ha stabilito che tali elementi:

  • non forniscono certamente la prova della movimentazione fisica della merce attraverso i territori degli Stati membri;

  • non dimostrano che la società sia stata impossibilitata ad acquisire ulteriore e diversa documentazione probante dell’effettivo transito della merce;

  • non esauriscono l’obbligo di diligenza richiesto al cedente per assicurarsi che l’operazione intracomunitaria non venga a risolversi in una attività fraudolenta volta ad evadere l’IVA.

Tale conclusione non collide con i principi recentemente enunciati dalla stessa Suprema Corte4, secondo cui spetta alla Amministrazione finanziaria fornire la prova, anche indiziaria, che il contribuente “sapesse o dovesse sapere” con l’uso della appropriata diligenza della evasione d’imposta o della frode perpetrata da altri soggetti, atteso che, nel caso di specie, dalle attività d’indagine era emerso che la società cessionaria tedesca operava di fatto stabilmente in Italia presso l’unità locale di una srl.

Secondo la Cassazione, tale circostanza deve ritenersi del tutto sufficiente ad integrare l’onere probatorio della Amministrazione finanziaria in ordine alla esistenza al tempo della conclusione della operazione di elementi di sospetto sulla irregolarità della cessione intracomunitaria, e conseguentemente a riversare sul contribuente l’onere della prova contraria.

 

 

Check-list per evitare addebiti d’imposta e sanzioni

Alla luce di siffatto quadro normativo e giurisprudenziale, come indicato nella parte motiva della sentenza in commento, il contribuente, quando pone in essere delle cessione intracomunitarie, deve tener conto di poter essere chiamato ad assolvere l’onere probatorio circa l’effettività dell’operazione e soprattutto il trasferimento dei beni da uno Stato membro all’altro, secondo la sequenza che può così riassumersi:

  1. il cedente effettua l’operazione adempiendo agli oneri formali richiesti dalla legge e fornisce i documenti “prima facie” attestanti l’avvenuto trasferimento materiale dei beni;

  2. l’Amministrazione finanziaria contesta che la merce sia stata effettivamente trasferita, riscontrando la falsità dei predetti documenti o deducendo elementi indiziari che avrebbero dovuto indurre a sospettare del rischio di irregolarità della operazione intracomunitaria;

  3. il cedente dovrà fornire la prova della propria buona fede e della osservanza dell’appropriato grado di diligenza per assicurarsi che la operazione intracomunitaria si sia effettivamente realizzata5.

 

2 ottobre 2013

Alessandro Borgoglio

 

NOTE

1 cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos, punti 38 e 39 e 40; Corte giustizia 16.12.2010, causa C- 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 29.

2 cfr. Corte giustizia sentenza Teleos punto 68.

3 cfr. Corte giustizia, causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punto 55.

4 cfr. Cass. 20.12.2012 n. 23560.

5 Cfr. anche Cass. n. 6229 del 13/03/2013.